C’è il sapore di Lubitsch, Wilder e Kafka in questa raffinata ma spietata satira del “socialismo reale” e dei processi stalinisti d’epoca Rakosi, osservati però dal punto di vista proletario di un militante comunista di base, onesto ma ingenuo con il potere. Un po’ come Alberto Sordi nel Vigile.
Girato da Péter Bacsó nel 1969 in Ungheria, ma congelato dal regime fino al 1979, Il testimone (A tanù) ha anticipato di 6 anni il trionfo internazionale di L’uomo di marmo di Andrzej Wajda, ed è diventato uno stracult mondiale dopo la proiezione a Cannes del 1981, grazie anche al best seller scritto dallo stesso regista, che diffuse battute e modi di dire ironici, entrati nel linguaggio comune anti-regime dell’epoca. È il sesto e più celebre lungometraggio di Bacsó (1928-2009), cineasta della generazione sulfurea di Miklos Jancso e Andrej Kovacs, specializzato in commedie sulla classe operaia e sulla democrazia in fabbrica (Rompere il cerchio, Tempo presente, L’ultima possibilità, girati tra il 1970 e il 1973).

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Il testimone

Scrittore, sceneggiatore, prima che regista e manager, nato in Cecoslovacchia, a Kosice (attuale Slovacchia), figlio del romanziere Boris Pilotai, Bacsó ha scritto 47 sceneggiature, diretto 36 film dal 1960 al 2008, e guidato per anni uno dei 5 studi di produzione magiari, il “Dialog”, restando sulla breccia anche dopo il crollo del comunismo. Fu Zavattini a spingerlo verso la regia: “Lo sceneggiatore - diceva - paga tutto, fa tutto per una bella donna, le fa la corte, le prende l’appartamento, i vestiti. Poi arriva il regista e fa la parte determinante. Così ho deciso anche io di fare la parte più determinante”. (*)

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Il testimone

Questo film, scritto con János Ujhelyi, è ambientato durante lo scontro tra l’ala stalinista e collettivista di Matyas Rakosi e quella riformista e neutralista di Imre Nagy. Un piccolo uomo si trova di fronte a meccanismi processuali incomprensibili e a una macchina di potere assurda, convinta come è che “solo tutto ciò che non è sospetto, è sospetto”.
Uno scrupoloso custode di diga, casetta affacciata sul bel Danubio blu, József Pelikán (Ferenc Kallai), che fu torturato dai fascisti durante la guerra, cresce da solo 8 figli perché la moglie è fuggita con un marinaio rumeno. Ma viene imprigionato, dopo una scena involontariamente tarantiniana, per aver macellato illegalmente il suo maiale Dezso, visto che la carne non si trova più e la pesca privata è illegale. In carcere ritrova il fascista che gli ha rotto la faccia, lasciandolo senza denti, e un prete, sicuro che la Chiesa Cattolica che viene da lontano, durerà ben più dei regimi rossi.

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Il testimone

Ma Pelikan viene inaspettatamente liberato e promosso - grazie a un ex borsaro nero ora boss dei servizi segreti, il compagno Virág Arpad - prima come direttore di un parco di divertimenti (perfezionerà un tunnel degli orrori sostituendo a scheletri e fantasmi lo “spettro del comunismo”, con tanto di icone orrorifere di Marx e Lenin), poi della piscina pubblica e infine di un centro sperimentale agroalimentare che dovrà creare l’arancia magiara. Ma un giorno, “poiché la situazione internazionale si complica e le macchinazioni dell’imperialismo aumentano” dovrà restituire il “favore” come testimone volontario contro un amico e compagno di lunga data, l’attuale ministro comunista riformista Daniel Zoltan (interpretato dal regista Zoltan Fabri) in un processo farsa, purtroppo verosimile. Tradisce o andrà al capestro? “Lo stalinismo – commentò Bacso - non è semplicemente una categoria storica, ma un pericolo sempre incombente”.


(*) Dall’intervista contenuta nel libro Cecoslovacchia/Polonia/Ungheria immagini di una cinematografia di Foriana Joannucci e Silvana Silvestri 1983 ed. De Luca Roma)

Autore

Roberto Silvestri

Al cinema sono transgender (da Lloyd Kaufman a Straub-Huillet passando per Claudia Weil e Jerry Lewis). Primo film visto Scaramouche, primo film perso I cavalieri della tavola rotonda. Tessera Filmstudio dal 1968. Cofondatore del Politecnico cinema nel 1974. Critico del manifesto dal 1977 al 2012. Nato a Lecce. Studi con Garroni, Brandi, Abruzzese. Registi preferiti Bunuel e Rocha (sia Paulo che Glauber), Aldrich e Siegel. De Antonio e Grifi. Diop Mambety e Ghatak. Dorothy Arzner e Stephanie Rothman (nata a Paterson come Lou Costello), Fassbinder e Aki Kaurismaki, Russ Meyer e… Rivista di cinema preferita Velvet Light Trap/Camera Obscura. E oggi Trafic. Consigli ai giovani appassionati di cinema? Partire dai formalisti russi.