Vincitore del premio al Miglior cortometraggio di fiction ai César 2022, One and Thousand Nights, disponibile nella sezione Giro d’Europa in cortometraggi di arte.tv, è il ritratto di una solitudine, la tragedia in tre atti di due cuori infranti alle prese con altrettante notti insonni. Elie Girard, al suo esordio alla regia di un cortometraggio (del quale figura anche come sceneggiatore), segue in una città francese illuminata dalle luci calde dei lampioni, due notti di Cyprien (Aurélien Gabrielli) e Guillaume (Raphaël Quenard) che succedono all’annuncio della futura paternità da parte del terzo membro del gruppo, Victor, il vincente, l’uomo riuscito e uscito dal gruppo per realizzare l’amore della vita e con il quale sarà sempre più difficile organizzarsi per vedersi, fosse anche solo per una bevuta, il che obbliga gli amici a confrontarsi con lo stato attuale della propria realtà sentimentale.

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One and Thousand Nights

In queste notti, scandite attraverso dei capitoli che sono volti, certo, a indicare lo scorrere dei mesi e, quindi, il progressivo avvicinarsi al giorno del parto, ma che soprattutto diventano testimoni dei rituali a cui Victor si sottrae per prestare fede agli impegni sopraggiunti con la maternità della compagna, Victor diventa lo specchio di un passato (i tre erano amici sin dal liceo) al quale i due non riescono a non guardare con malinconia, mentre il procedere della sera e un formato schermico che esclude le periferie del quadro (e quindi le persone che, potenzialmente, affollano la città e i bar a cui non si fermano per tornare sempre nello stesso luogo, il kebab di fiducia) sembrano costantemente ricordar loro la condizione di isolamento in cui vivono e l’incapacità, o il terrore, di guardare a un futuro di coppia.

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Uno, Guillaume, introverso e spaventato dalle relazioni al punto di non provarci mai con una ragazza e di sabotare l’unico appuntamento Tinder avuto negli ultimi mesi mentendo a una donna con un figlio, raccontandole di essere anche lui un genitore, sforzandosi di immaginarne i risvolti più astratti, ma venendo poi smascherato perché incapace di fornire informazioni pratiche sul figlio inesistente.

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L’altro, Cyprien, più estroverso, flirtante e infantile, ma comunque minacciato da un’ex compagna di liceo, esausta dell’insistenza con cui la invitava a uscire attraverso infiniti messaggi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Avviliti per le sue costanti assenze, per Cyprien e Guillaume l’amico diventa un fantasma (e di fantasmi, appunto, parleranno): la sua presenza corporea, la sua immagine, viene sostituita dalla voce mediata dal telefono di Nora, la futura madre, che comunica ai due come Victor non potrà essere presente alla partita di basket perché impegnato in farmacia a causa di una sua contrazione, oppure dalla foto della figlia appena nata, a ribadire l’acquisito status di genitore, prima ancora che amico. C’è, però, in fondo a questo spaccato di un dolore

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One and Thousand Nights

trattato dal regista con una delicatezza che ricorda il sottovalutato I figli degli altri di Rebecca Zlotowski, una consolazione, da ricercarsi nella solidità del legame di amicizia che lega i tre e nella nascita di una figlia come un simbolo di speranza e cambiamento, non importa per quanto in maniera vicaria. 

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.