Non è un segreto che parte della fantascienza contemporanea si stia interrogando sulle future condizioni di abitabilità del pianeta. La recente serie Apple TV+ Extrapolations - Oltre il limite ipotizza i futuri scenari causati dal cambiamento climatico. Crimes of the Future di David Cronenberg mette in scena l’assestamento biologico del corpo umano a delle nuove condizioni di vita. Interstellar di Cristopher Nolan ipotizza un viaggio alla ricerca di nuovi sistemi da poter colonizzare.

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Seed of Hope

E proprio dal film del regista di The Prestige sembra partire Seed of Hope, cortometraggio - disponibile su arte.tv - del 2019 di Claude Kongs, generalmente autore di effetti visivi e qui alla regia di un breve sci-fi estremamente debitore di Gravity di Cuaròn nelle premesse narrative, di High Life di Claire Denise, nella ricostruzione dell’ambiente interno alla nave, nel suo viaggio scientifico alla ricerca dell’ignoto spazio profondo e di, guardando indietro, 2001. Odissea nello spazio, in particolar modo nella rappresentazione del rapporto uomo-macchina, uomo-sistema automatizzato.

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Seed of Hope

In un futuro imprecisato, un astronauta, il tenente Schweiger, biologo in missione interplanetaria, è improvvisamente risvegliato dal sonno profondo a cui lo costringeva la criogenesi. A parlargli è la voce femminile di un’intelligenza artificiale priva di corpo che controlla il funzionamento dell’astronave su cui l’uomo si trova e che lo informa della richiesta di un suo intervento: la tenente Lucia Sanchez, che si rifiuta di tornare all’interno della navicella, avrebbe bisogno del suo aiuto per riparare i pannelli solari danneggiati.  L’uomo è così costretto ad affrontare il Cosmo per mettersi alla ricerca di Sanchez e portare a termine la sua missione.

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Seed of Hope

A colpire, del corto, è in particolar modo l’integrazione di una pluralità di sguardi in cui umano e macchinico si intrecciano fino a confondersi, restituendo le differenti visioni e prese di posizione che si verranno a strutturare durante i dieci minuti di durata e che investiranno il futuro della missione. Allo sguardo oggettivo della macchina da presa, che spesso si sofferma sul volto meravigliato del protagonista, si alternano le sue soggettive, interne al casco, come go-pro che restituiscono la pericolosità dei movimenti da attuare all’esterno dell’astronave, l’equilibrio precario con cui l’uomo attraversa i ponti o si aggrappa alle componenti esterne della struttura per non precipitare nel vuoto; a questo punto di vista interno, però, si deve aggiungere anche quello dell’astronave, con i suoi occhi macchinici, che tutto scrutano e che vivono di logiche proprie, indipendenti dalla volontà umana.

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Seed of Hope

È chiaro il riferimento ad HAL 9000 e a quell’incredibile soggettiva con cui Stanley Kubrick riprendeva la lettura del labiale da parte dell’IA, ma con uno scarto significativo, per quanto leggero: se nel film del cineasta newyorkese l’opacità cremisi dell’occhio di HAL 9000 lo rendeva un elemento in cui era impossibile rispecchiarsi, l’occhio robotico in Seed of Hope è una superficie riflettente, che non esclude, ma include l’umano e lascia spazio al dialogo e a una decisione definitiva da prendere di comune accordo.

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.