In Ô saisons, ô châteaux, cortometraggio di Agnès Varda risalente al 1957 (poco successivo quindi al suo debutto nel lungometraggio con Le pointe courte), la compianta regista di Cleo dalle 5 alle 7 e Il verde prato dell’amore ci conduce in un breve viaggio attraverso la Loira, esplorando non solo la storia e l’architettura dei suoi celebri castelli, ma regalando uno scorcio di quello che sarebbe stata la sua idea di cinema per il resto della carriera. 

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Ô saisons, ô châteaux

Ô saisons, ô châteaux (letteralmente: “Oh stagioni, oh castelli”, titolo mutuato da una poesia di Arthur Rimbaud) va oltre la semplice documentazione della storia delle strutture (mostrate in ordine cronologico di costruzione) per intrecciare la testimonianza al suo taglio apertamente formalista, focalizzandosi sui rapporti tra le singole inquadrature e gli imponenti edifici. Il film si trasforma così in una serie di quadri dove l’elemento umano è marginalizzato a favore dell’ambiente, ma in ogni caso evocato costantemente: lo studio dei castelli, infatti, in pieno stile Varda, si fonde con quello della natura circostante e con l’evocazione lirica degli esseri umani che li hanno popolati (attraverso una scarna aneddotica).

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Ô saisons, ô châteaux

Varda ci invita a immergerci nelle corporature rocciose dei castelli (più all’esterno che all’interno, a dire il vero) ponendo l’accento sulla loro dimensione estetica, enfatizzando i dettagli architettonici e creando una connessione tra di loro attraverso un montaggio che sembra mimare una serie di passi di danza (non a caso, richiamati dalle dame talvolta riprese a danzare lungo i corridoi). Grazie, soprattutto, all’ambientazione autunnale, la regista connota i suoi paesaggi di un estremo (spudorato) lirismo, passando dalla malinconia delle foglie marroni che cadono dagli alberi a quella per la caducità della vita umana, sempre sullo sfondo.

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Ô saisons, ô châteaux

Il periodo autunnale, con le sue foglie che si muovono nell’aria e si posano con grazia sul terreno, diventa un simbolo eloquente (per quanto semplice) della transitorietà della vita. Varda, con maestria, utilizza il paesaggio mutevole come sfondo per la sua narrazione, così sottolineando la bellezza effimera che permea ogni aspetto dell’esistenza. Le foglie che cadono diventano metafore di vite trascorse, di storie interrotte a cui i castelli hanno fatto da contenitore, ma la regista dedica spazio (e non poteva che essere così) anche allo spazio attorno, all’ambiente naturale della Loira.

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Ô saisons, ô châteaux

Quelli che la popolano non sono solo castelli isolati, ma strutture che sorgono in armonia con la bellezza bucolica circostante che ha segnato e scandito la vita degli abitanti. Non è la Varda a svelarci direttamente il chiaro intento del film, quanto le inquadrature che si susseguono con grazia e precisione, coreografando un balletto tra passato e presente, dove le pietre antiche portano al loro interno la verità dello scorrere del tempo: mentre la macchina da presa si muove tra le mura e i prati, la regista cattura non solo la solidità e la grandezza di queste strutture, ma anche la loro intrinseca vulnerabilità in una specie di dialogo con il fluire inarrestabile del tempo.


Ô saisons, ô châteaux
 di Agnès Varda è disponibile in streaming gratuito su Arte.tv.

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.