Per guidare la visione di questo Cina e lavori forzati – SOS da un prigioniero, non possiamo prescindere dalle parole con cui la voce narrante ci introduce al film, commentando la ricostruzione immaginifica del momento essenziale da cui scaturisce la necessità della pellicola: “Cari amici, sapete che, dietro la vostra vita tranquilla, ci sono detenuti cinesi che lavorano nelle carceri di Tientsin dalle 12 alle 15 ore al giorno? Qui, noi abbiamo fame. Dormiamo solamente 5 o 6 ore per notte. Le persone con opinioni politiche diverse possono essere incriminate. Costruzione della prigione e bonus della polizia dipendono tutti dalla manodopera dei detenuti e questo richiede di creare il massimo valore con la minima quantità di cibo e consumo quotidiano. I sorveglianti usano i criminali per regnare sui detenuti. Loro dicono che combattono il male con il male e la violenza con la violenza. Volevo firmare questa lettera per denunciare le loro azioni ma, se l’avessi fatto, avrei rischiato la mia vita. Vorrei morire rapidamente”.

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Cina e lavori forzati - SOS da un prigioniero

È questo il testo della lettera, della richiesta d’aiuto scritta in lingua cinese ma ritrovata da due ragazze per pura casualità all’interno della confezione di un test di gravidanza venduto in una farmacia francese. Sul retro del foglio, tre lettere: SOS. Un simbolo sfacciato, una metafora della speranza in una nuova vita che all’interno di un film di finzione avrebbe probabilmente avuto del grottesco, ma che in Cina e lavori forzati – SOS da un prigioniero sorprende per la crudezza della verità che rivela. Il manoscritto è stato redatto nella città di Tietsin (una delle metropoli cinesi più popolate) e ha rivelato il folto sottobosco delle aziende-prigione mascherate dallo stato cinese, veri e propri centri di tortura dove i detenuti sono costretti a lavori sfiancanti al fine di fabbricare prodotti destinati all’esportazione internazionale.

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Cina e lavori forzati - SOS da un prigioniero

Il documentario (frutto di un’indagine durata circa due anni), diretto dalla regista francese Laetitia Moreau si mette sulle tracce dell’autore dell’SOS nel tentativo di portare alla luce i drammi della filiera produttiva: per farlo, fa leva su una lunga serie di interviste a chi l’orrore delle prigioni cinesi lo ha conosciuto in prima persona (come, ad esempio, Marius Balo, recluso in Cina per otto anni, condannato nel 2014 per frode commerciale, oppure Peter Humphrey che, dovendo vagliare l’affidabilità di alcuni partner aziendali cinesi fu incarcerato per essersi avvicinato eccessivamente agli interessi di un membro del Partito comunista) fino a rivelare veri e propri documenti in cui viene esplicitamente detto dalla polizia al detenuto che questi nelle mura del carcere smetterà di essere un umano per diventare mera forza lavoro al servizio dello stato, più macchinico che organico. Ne esce un quadro sfaccettato che analizza i metodi di tortura psicologica delle guardie e l’ingerenza del potere politico in ogni aspetto della società, recuperando immagini inedite e testimonianze o rimaste in ascoltate (come i diversi appelli al Parlamento europeo) o scientemente sepolte nel corso degli anni.

 


Cina e lavori forzati - SOS da un prigioniero di Laetitia Moreau è disponibile in streaming gratuito su Arte.tv fino al 12 marzo 2024

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.