Tra i registi più radicali del panorama cinematografico italiano contemporaneo, Michelangelo Frammartino ha da sempre fatto giostrata la sua opera tra videoarte (es. Presenze s-connesseAlberi) e cinema, collezionando riconoscimenti critici e premi nei maggiori festival italiani ed europei, l’ultimo dei quali alla 78esima Mostra del cinema di Venezia, quando Il buco (2021), ritratto dell’esplorazione dell’Abisso di Bifurto da parte di un gruppo di speleologi e del contemporaneo travalico dalla vita alla morte di un pastore, si è aggiudicato il Premio speciale della giuria.

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Il dono

Nella sezione Cinema, Arte.tv propone Il dono (2003), il pluripremiato lungometraggio d’esordio del regista milanese, capostipite di una filmografia invero ancora breve, completata da Le quattro volte (2010) e una manciata di cortometraggi. Ambientato a Caulonia, il piccolo paese della Calabria che ha dato i natali alla sua famiglia e dove sarà ambientato anche Le quattro volte, il film segue, alternando una serie di iterati mezzi busti e primi piani statici oltre che numerosi campi lunghi che ne mettono in risalto i movimenti compassati, la vita eremitica di un vecchio (interpretato da Angelo Frammartino) che per salvare una ragazza disabile (Gabriella Maiolo) dalla vita di prostituzione nel paese a cui è obbligata per chiedere dei passaggi agli abitanti, decide di comprarle un motorino, scatenando così le ire dei compaesani.

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Il dono

Il regista segue le vicende di un villaggio desertico, spoglio di vita (a cui sembra collegarsi una totale assenza di umanità) con fare documentaristico e un piglio che non si potrebbe definire distaccato perché ammanterebbe l’aura dell’opera di un cinismo che non gli appartiene, nonostante i temi toccati e il finale brutale.

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Il dono

Il cinema di Michelangelo Frammartino è un cinema di soglie, di cornici e quadri, di inquadrature nelle inquadrature che sembrano formarsi autonomamente di fronte agli occhi dello spettatore e dove il dispositivo cinematografico, reso il più neutro possibile dalla camera fissa e da un aspect ratio 1.37:1 che restituisce l’idea dello sguardo da un foro, da punti macchina mai invasivi e da lunghissime inquadrature che permettono alle  azioni di esaurirsi nel proprio intestino, vive di rime interne, di rimandi formali, di accostamenti e nessi estetici tra luci e soprattutto rocce, animali, corpi, piante (elementi che torneranno prepotentemente in Le quattro volte).

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Il dono

Non è da meno quest’opera prima, in cui alla stasi della macchina da presa corrisponde una stasi dell’anima (guardate la gloria di quelle navi da trasporto arenate sulla spiaggia, statuarie, immobili e in lentissima decomposizione), e all’aridità delle azioni mostrate l’austerità della loro rappresentazione. Nulla è celato agli occhi dello spettatore, per quanto crudo o per quanto ostile questo possa essere, dalla solitudine dei protagonisti, alle angherie che sono costretti a subire, alla monotonia di una vita ritualistica che la dilatazione temporale a cui il regista obbliga il pubblico priva di ogni ieraticità e facile lirismo, lasciando solo i contorni stanchi di una vita che si trascina con fatica al suo termine. 

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Il dono

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.

Il film

locandina Il dono

Il dono

Drammatico - Italia 2003 - durata 80’

Regia: Michelangelo Frammartino

Con Michelangelo Frammartino, Gabriella Maiolo