Come una macchina da cucire che prova a tenere insieme diversi brandelli di tessuto attraverso un sottile filo rosso. Così i titoli di testa di Mme C (come cercassero il bandolo della matassa, una verità intima, o semplicemente si sforzassero di riavvolgere la memoria e tenere stretti a sé ricordi frammentari, dispersi nel tempo) legano disegni e voce, guidano lo spettatore alla scoperta di una vita grazie alle splendide animazioni di Emil Karimov.

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Mme C

Una chiesa stilizzata ci introduce al racconto della morte di un padre, vittima di un bombardamento ferroviario. Schermo nero, filo rosso. Il tratteggio attorno alla fotografia di una sorella che trova lavoro alla voce narrante. Schermo nero, filo rosso. Un’altra fotografia di donna, una mano cucitale addosso che saluta lo spettatore oltre lo schermo.

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Mme C

E poi sempre il filo rosso che tratteggia la sagoma di una ragazza, una figura sinuosa mostrata nell’atto di camminare lungo uno schermo nero, come una versione pulp di La linea di Osvaldo Cavandoli che ci conduce in un mondo fatto di taglia e cuci, di toppe e rammendi. È la mente di Madame C., l’anziana protagonista che riflette e ci informa sulla sua vita, sulla sua giovinezza. Un’esistenza riassunta nell’atto del cucire, passata a vestire uomini, preti, soldati, sindaci, ufficiali, persone ricche. Madame C. faceva pantaloni, giacche, gilet.

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Mme C

Con i suoi capi vestiva tutta la famiglia per le grandi occasioni, i momenti di celebrazione, matrimoni e battesimi, una tradizione mantenuta fino al funerale del marito per il quale, come a chiusura di un ciclo, ha scelto l’ultimo abito, senza cucirne uno nuovo. Una vita da sarta, spesa a contatto con le pelli e le superfici, e la cui verità non può quindi che essere ritrovata in un movimento orizzontale, verso l’alto o verso il basso, ma mai verso il centro, in profondità.

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Mme C

La verità non sta quindi tanto nelle immagini, ma nel tratto che conduce da una parte all’altra, nel nesso logico del trapunto e del ricamo. È così che in questo cortometraggio, una produzione francese del 2021, la regista Elise Sintot decide di dare forma alla vita della sua protagonista, con una sorta di piano sequenza composto di carrellate orizzontali e verticali che lasciano progressivamente spazio a vecchie fotografie commentate dalla voce narrante della donna e alle lacune colmate dal gesto con cui verrà ricordata.

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Mme C

Il dispositivo di visione viene anche reso formalmente quando, per poter ammirare del found footage di famiglia, i punti macchina compongono tre sedie per una piccola sala cinematografica dove le immagini scorrono una dopo l’altra accompagnate dal suono di un vecchio proiettore.

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Ed ecco, allora, che l’animazione può lasciare spazio al cinema duro, al live action, al primo piano della donna che, con uno stacco netto (interessante che la regista non opti per un raccordo, il rammento del cinema narrativo, il ricamo di montaggio in grado di donare coerenza e senso a due inquadrature giustapposte, quasi a dire che la verità di Madame C. la si può trovare solo nel suo racconto), viene alternato alla carrellata dall’alto verso il basso sulle sue giacche riposte nell’armadio che sfociano nei titoli di coda a scorrimento verticale. Punto. O meglio, punto croce.

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Mme C

Mme C di Elise Sintot è disponibile in streaming gratuito su arte.tv in questa pagina.

Autore

Pietro Lafiandra

La prima epifania cinematografica la ebbe a quattro anni con Pomi d’ottone e manici di scopa. La seconda in adolescenza con Cosmopolis. Ora, in età adulta, prova a trovare un’improbabile sintesi tra questi due lati di sé muovendosi faticosamente tra un dottorato in visual studies, deepfake, cinema horror, film d’animazione per bambini e musica elettronica. I componenti della sua band, Limonov, dicono che è colpa dell’ascolto compulsivo dei Radiohead. Gli amici che è colpa del suo segno zodiacale, i gemelli. I dottori della schizofrenia. Lui pensa sia più cool dire che è un intellettuale post-moderno. Ai posteri l’ardua sentenza.