Quando si pensa al debordante Scarface di De Palma/Pacino/Stone la mente corre subito a Miami, come per un riflesso condizionato. È inevitabile. Ed è quasi sconcertante scoprire come questo capolavoro, di Miami utilizzi in realtà solo qualche sparuto esterno perché, per il resto, è quasi completamente girato a Los Angeles. Per De Palma, la città della Florida avrebbe dovuto essere l’unico set, se non fosse stato per le proteste scomposte di giornalisti e notabili locali che, dopo aver letto la sceneggiatura e spaventati dall’immagine negativa che il film avrebbe potuto restituire del capoluogo, si coalizzarono per allontanare la produzione. Salvo compiere poi una parziale marcia indietro davanti alle proteste degli attori cubani locali, indignati perché vedevano svanire una concreta possibilità d’impiego.

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Il risultato finale è un compromesso: Miami poté essere impiegata molto parzialmente come location, ma solo per ambientarvi quei momenti (chissà quali, a ben pensarci) che non la mettessero in cattiva luce, e inoltre solo a patto di inserire la dichiarazione presente alla fine dei titoli di coda, in cui si chiarisce più o meno che: “Scarface è un racconto di finzione e i suoi personaggi non rappresentano la comunità cubano/americana e sarebbe sbagliato sostenere che lo faccia. L’ampia maggioranza dei cubano-americani hanno dimostrato una dedizione, una vitalità e uno spirito d’iniziativa che hanno arricchito la società americana”. Così, De Palma e il suo geniale visual consultant Ferdinando Scarfiotti mostrano appena qualche accenno della metropoli (per esempio l’hotel di South Beach in cui Tony tenta di portare a termine l’affare con i colombiani, anche se gli interni sono ricreati presso gli studi della Universal), utile però a catturarne l’estetica art déco e tropicale. La superficie insomma, quasi un tributo anticipato a un decennio che della superficie ha fatto la propria ragione di esistenza, quasi una questione identitaria.

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Per il resto – tolta la sequenza del mancato attentato al giornalista boliviano in cui è riconoscibile New York, come da sceneggiatura – ogni ripresa avviene a Los Angeles, con un paio di puntate a Santa Barbara. La casa in cui vive la mamma di Tony con la figlia Gina (quella specie di bungalow racchiuso da uno steccato bianco) era localizzata a Wilmington, mentre a Sunset Plaza è ancora presente l’edificio in stile revival greco sede della Montana Management Co.

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Un’altra delle scene più famose, quella all’interno del locale in cui il protagonista viene piantato dalla moglie e aggredisce verbalmente i presenti, è stata girata all’interno di un ristorante storico sul Wilshire Boulevard (ormai da anni demolito), il Perino’s, amatissimo dalle star e più volte impiegato come set per la sua fotogenia.

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Svetta invece tuttora a Montecito, Santa Barbara, la magione in cui Montana perde la vita in uno dei finali più violenti e folgoranti di sempre. La proprietà, che vanta oltre 100 anni di vita e si chiama El Fureidis, in arabo “piccolo paradiso”, fu progettata dall’architetto Bertram Goodhue su richiesta di tale James Waldron Gillespie, ricchissimo ereditiere. Prima dell’edificazione, i due partirono per un tour di sette mesi attraverso quei luoghi che avrebbero potuto ispirare lo stile dell’enorme villa: l’Europa meridionale, l’India dei Moghul, e un lunghissimo tragitto (pare percorso a cavallo) compreso tra il Mar Caspio e il Golfo di Persia. La tenuta, di ben quattro ettari, assume una commissione di stili in cui prevale quello classico, da villa romana, con evidenti influenze di architettura spagnola barocca e neo moresca.

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Tra giardini di ispirazione islamica e quattro piscine disposte attorno a una fontana centrale si innalza, nel cuore della proprietà e su una superficie di oltre 900 metri quadri, il palazzo principale di stile neoclassico, con quattro camere da letto, altrettanti bagni, un’alcova in stile bizantino sormontata da una gigantesca cupola, un atrio centrale e un salone sul tetto che offre una vista di 360 gradi.

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Nella sala da pranzo, invece, è presente un soffitto a botte dipinto in foglia d’oro che raffigura momenti della conquista di Persepoli da parte di Alessandro Magno. Ma nella finzione, i veri interni della creazione di Goodhue non si vedranno mai, e gli stessi sconfinati spazi esterni del “piccolo paradiso” sono mostrati molto parzialmente, in inquadrature rapide che permettono appena di immaginarne la magnificenza.

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Ciò che si vedrà sullo schermo sono gli ambienti genialmente immaginati da Scarfiotti per stabilire l’equivalenza tra la smodata volgarità del gangster arricchito e quella di cui ha scelto di circondarsi: lo studio interamente nero con una profusione di dettagli dorati, l’immenso living con un mobile basso dove, stretti fra due colonne, sono inseriti un televisore e alcuni monitor, la grande piscina circolare a centro stanza incassata nel pavimento. E tutto intorno un profluvio di colonne e di putti dorati impiegati come lampade.

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L’ingresso, invece, è un soffocante tripudio di velluto rosso, steso a pavimento, sulle pareti, sul divano circolare, sui gradini, mentre la doppia rampa curva di scale conduce al piano superiore, all’ufficio del boss. Una scenografia, sguaiata e quasi oscena, con cui, come ha ben rilevato Sergio Sozzo su Film Tv, “De Palma sembra quasi voler annettere il protagonista alla magniloquente scenografia kitsch anni Ottanta che regna sulle immagini, farne una sorta di escrescenza che si origina proprio dall’opulenza di quella Miami, come nell’iconica sequenza in cui Montana è immerso nella sua jacuzzi incastonata nel pavimento di casa, e sembra davvero una creatura mostruosa interamente fusa con l’arredamento a 24 carati della stanza.

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Uccidere il boss, inevitabilmente, farà alla fine il paio con il ridurne in macerie la villa, sfregiarne violentemente l’abitazione come il volto del protagonista: in questo senso, Scarface inventa gli anni Ottanta a Hollywood (“the world is yours”...)”.

Sbertucciato alla sua uscita e oggi quasi unanimemente riconosciuto nel suo immenso valore, il film di De Palma definisce l’estetica di un intero decennio praticamente all’alba dello stesso (nel 1983) e, a dire del genio del suo autore e di Scarfiotti, è indissolubilmente, visceralmente, iconograficamente identificato con una città (e viceversa) di cui non mostra nulla, perché l’ha reimmaginata altrove.

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Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Scarface

Scarface

Gangster - USA 1983 - durata 170’

Titolo originale: Scarface

Regia: Brian De Palma

Con Al Pacino, Steven Bauer, Michelle Pfeiffer, Robert Loggia, Mary Elizabeth Mastrantonio, Miriam Colon

Al cinema: Uscita in Italia il 08/04/2024

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