Dopo aver pestato un senzatetto e aver fatto a botte con i membri di una gang rivale, i drughi di Arancia meccanica montano sulla Durango 95 e corrono nella notte immersi in “un buio nero, da campagna” fino ad approdare a un vialetto illuminato da due lampade e da un’insegna con la scritta “home”. L’inquadratura successiva mostra una serie di volumi in pietra svettanti su un un giardino giapponese, che i teppisti attraversano con circospezione. Stacco.

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Arancia meccanica
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All’interno dell’abitazione un uomo batte sui tasti di una IBM rossa; un movimento verso destra della macchina da presa svela uno spazio dominato dal legno, in cui una donna legge raccolta in una seduta ‘a baccello’. Suonano alla porta, la donna abbandona la poltrona e si dirige verso l’ingresso, dove spicca il pavimento a scacchi bianco e nero.

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Arancia meccanica
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Seguirà l’irruzione dei drughi e l’ultraviolenza sulle note di Singin’ in the Rain. Per questa sequenza Kubrick ricorre a due edifici diversi: l’esterno appartiene alla New House firmata nel 1964 da Roy Stout e Patrick Litchfield a Shipton-under-Wychwood, nell’Oxfordshire.

Gli interni, invece, sono quelli della Skybreak House, progettata tra il 1965 e il 1966 nell’Hertfordshire dal collettivo Team 4, composto da Su Brumwell, Wendy Cheesman, Richard Rogers e da Sir Norman Foster, tra i maggiori progettisti contemporanei.

La Skybreak House (nota anche come Jaffe House) fu sviluppata perché soddisfacesse tre parametri principali: una flessibilità estrema che consentisse alla casa di poter essere utilizzata per occasioni sociali diversificate, estendendo o riducendo, per mezzo di pannelli scorrevoli, le tre macro aree in cui era suddivisa; la centralità della luce naturale, garantita da finestre a tutta altezza appositamente inclinate per catturare al meglio i raggi del sole; infine, la possibilità di ingrandire l’abitazione senza alterare la relazione della stessa con il paesaggio, grazie alla scelta di non inserire muri strutturali nell’area orientale (quella dedicata alla zona notte).

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A imprimersi nella memoria degli spettatori è l’open space dell’ala ovest, disposto su tre livelli differenti che, collegati da una serie di rampe in legno, consentivano prospettive di visioni multiple verso l’esterno. Espressione di quell’architettura hi-tech di cui Foster diverrà uno dei massimi esponenti, Skybreak House anticipa elementi di versatilità che avrebbero condotto nei decenni successivi ad abbandonare le strutture ‘pesanti’ per abbracciare la prefabbricazione e i materiali leggeri. La dimora tornerà alla fine del film quando Alex, picchiato dal barbone che aveva brutalizzato all’inizio e quasi annegato da due dei suoi ex sodali diventati poliziotti, vi si imbatterà per caso vagando nottetempo.

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Kubrick presenta la stessa inquadratura del vialetto con la scritta “home”, poi la medesima vista della struttura dall’esterno, resa stavolta sinistra dalla pioggia scrosciante. Uno stacco conduce nuovamente all’interno, dove lo scrittore lavora su una IBM (in questo caso azzurra); un movimento della macchina verso destra rivela la presenza di un culturista che si allena su una panca, sostituendo la donna che leggeva nella seduta. Quando suonano alla porta, il giovane compie il percorso già noto verso l’ingresso per accogliere un Alex in pessime condizioni.

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Da qui in avanti tutto sarà diverso, e la casa che il ragazzo aveva violato, come farà col corpo della donna, diventerà il luogo della sua prigionia, delle torture che gli saranno inflitte (l’ascolto forzato della Nona di Beethoven) e del suo tentato suicidio. Kubrick usa la Skybreak House come un tempio di bellezza ottusa e insensibile alla violenza, che prima riceve e poi restituisce: un organismo sociale che, esattamente come il senzatetto, come i drughi diventati poliziotti e come lo scrittore, si vendica del suo protagonista ripagandolo con la stessa moneta, sancendo il fallimento di una cura demenziale, di ogni istituzione e, naturalmente, di un’intera società.

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Arancia meccanica

Arancia meccanica

Grottesco - Gran Bretagna 1971 - durata 137’

Titolo originale: A Clockwork Orange

Regia: Stanley Kubrick

Con Malcolm McDowell, Patrick Magee, Michael Bates, Warren Clarke, John Clive, Adrienne Corri

Al cinema: Uscita in Italia il 29/11/2021

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