Il rapporto che Jake Scully, il protagonista di Omicidio a luci rosse, intrattiene con le case in cui si trova ad abitare è drammatico, almeno nella prima parte del capolavoro depalmiano. Dalla prima – borghese, linda, anonima – viene brutalmente estromesso nel momento in cui, muovendosi tra le stanze per inseguire dei misteriosi gemiti, scopre la flagrante infedeltà della moglie.

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Del disagio che vive invece nella seconda – quella dell’amico che lo ospita – è possibile farsi un’idea vedendolo girarsi e rigirarsi sul divano in cui prova vanamente a prendere sonno. Le cose cambiano radicalmente quando incontra il misterioso collega aspirante attore Sam Bouchard, che lo elegge ad house-sitter di una dimora letteralmente straordinaria, a cui i due accedono attraverso l’unico mezzo possibile: una funicolare progettata ad hoc. Mentre si avvicinano alla struttura, ripresa dal basso come un UFO adagiato sugli alberi, Jake è comprensibilmente sbigottito.

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L’abitazione in questione è la modernista Chemosphere (a cui si accede realmente solo grazie alla sua funivia), progettata nel 1960 da John Lautner, già definita dall’Enciclopedia Britannica “la casa più moderna del mondo”, dichiarata Monumento Storico-Culturale losangelino nel 2004 e infine inclusa nell’elenco delle 10 top house della città da un sondaggio tra esperti lanciato nel 2018 dal Los Angeles Times.

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L’idea della Chemosphere nasce quasi come una scommessa: un ingegnere aerospaziale, Leonard Malin (da cui l’altro nome con cui è conosciuta la costruzione, Malin Residence), eredita dal suocero un terreno considerato inutilizzabile perché penalizzato da un’impossibile pendenza di 45°. Malin però si incaponisce e decide di vivere lì. A risolvere la questione viene chiamato Lautner, tra i più brillanti discepoli di Frank Lloyd Wright, il quale accetta la sfida ‘fisica’ convinto com’è che “far sparire lo spazio sembra essere la più durevole, sopportabile e vivificante qualità in architettura”. La soluzione escogitata è quella di collocare l’intera casa in cima a un ‘fungo’ di cemento alto 15 metri, poggiato a sua volta su una colossale piattaforma (ancora di cemento) di sei metri di diametro e dello spessore di 90 centimetri. Partendo da questa base, Lautner utilizza otto raggi d’acciaio utili a sostenere e a stabilizzare il bordo esterno dell’alloggio, il quale ha pianta ottogonale e la cui facciata è interamente scandita da otto grandi finestre affacciate sulla San Fernando Valley.

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Ecco perché quando Jake vi si imbatte dichiara di non aver mai visto nulla di simile. Dopo la vista dall’esterno, uno stacco porta all’interno della Chemosphere, in un tripudio di piante, neon, angolo bar, sauna, jacuzzi e un letto rotondo e rotante. L’entusiasmo dell’ospite tracima quando l’amico gli mostra lo spettacolo incluso nel prezzo: quello che, per mezzo di un telescopio opportunamente direzionato, mostra una donna ballare seminuda in una delle residenze di fronte. L’uomo ha finalmente trovato la casa ideale, per quanto provvisoria sia. E che questo perfetto connubio tra abitante e abitazione non sia reso tale solo dal lusso di quest’ultima, dal suo comfort e dalla sua bellezza stravagante, lo rivela un’altra scena, cruciale: Jake è sdraiato sul letto che ruota su se stesso quando improvvisamente decide di bloccarlo per non perdersi un secondo dei trailer dei film hard trasmessi alla tv.

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Un gesto preciso, che certifica come la Chemosphere, con la sua vista a 360° gradi sul circondario e il suo telescopio pieno di possibilità, abbia portato alla superficie un aspetto centrale della personalità del protagonista, spingendolo progressivamente a scendere a patti con la sua natura di voyeur (o di “peeper” come lo definirà il detective McLean) e, contestualmente, mettendogli a disposizione tutti gli strumenti perché questa natura, appena rivelatasi, possa venire blandita e soddisfatta come meglio non si potrebbe.

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Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Omicidio a luci rosse

Omicidio a luci rosse

Thriller - USA 1985 - durata 115’

Titolo originale: Body Double

Regia: Brian De Palma

Con Craig Wasson, Melanie Griffith, Gregg Henry, Deborah Shelton, Dennis Franz

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