Per una volta, niente case di archistar o arredi di design. Questo è un tentato omaggio a un regista amatissimo e da poco scomparso. E che, tra le altre cose, è stato anche un prodigioso intagliatore di location. Si pensi a L’esorcista. Per me l’Iraq settentrionale sarà sempre quel Paese allucinato e continuamente minaccioso mostrato nel suo prologo. E Georgetown, Washington DC, rimarrà, nonostante lo abbia visitato, un luogo congelato in un autunno eterno, compendiato nella casa di mattoni rossi in cui Regan finirà posseduta da Pazuzu.

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L'esorcista

Un edificio di cui Friedkin utilizzerà solo l’esterno – facendo costruire una finta facciata che lo ‘avvicinasse’ alla celeberrima scalinata, nella realtà troppo lontana perché potessero cadervi dei corpi scagliati dalla finestra della ragazzina – girando le scene di interni in un teatro di posa newyorchese. Dove, ancora una volta, saprà creare un ambiente capace di imprimersi a fuoco nella memoria (e nell’inconscio) di ogni spettatore: la camera dell’indemoniata, quella sentina di ogni vizio in cui terminava il corridoio del secondo piano e che, con intelligenza registica superiore, il regista inquadrerà sempre chiusa dalla porta bianca.

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L'esorcista

Uno spazio che i personaggi dovranno ogni volta scegliere di varcare per approdare alla dimensione dell’orrore collocata appena al di là. Piccola nota personale: la prima volta che non vidi L’esorcista ero troppo piccolo. Alzai bandiera bianca dopo la scena in cui Regan afferrava lo scroto dello psichiatra, poi corsi a letto. Per anni, i miei incubi legati al film si sono aperti e chiusi sull’immagine di quella porta incisa da quattro cassettoni (due quadrati in alto e quattro rettangoli), tremando al pensiero di quale ignominia potesse esservi dall’altra parte, quale Male assoluto, quale abominio.

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L'esorcista

E, come dichiarato dal suo regista, L’esorcista è anche un inno a Washington: “Non credo che la storia sarebbe stata altrettanto efficace se fosse stata ambientata a Los Angeles. Georgetown, l’università, la chiesa, la tradizione, i vecchi edifici, la scalinata... sono tutti piccoli tasselli visivi di un puzzle più grande che, quando inizi a esplorarli, prendono a sommarsi nel subconscio del pubblico e a creare l’atmosfera del film”. Una scelta non casuale, quella della Capitale statunitense: è la città in cui Blatty – nel bene e nel male co-autore del capolavoro friedkiniano – aveva compiuto gli studi in un collegio di gesuiti; e dove, durante un corso sul Nuovo Testamento, aveva sentito parlare per la prima volta di quell’esorcismo praticato nel 1949 su un ragazzo del Maryland che avrebbe dato la stura al suo fortunatissimo best seller.

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William Peter Blatty - The Exorcist

Nel film, oltre alla Holy Trinity Catholic Church, sono riconoscibili diverse aree del campus (come la Healy Hall) di quella che è l’università cattolica più antica degli Usa. Friedkin ha anche raccontato di aver girato diverse sequenze in cui Chris e Regan visitavano alcuni luoghi storici della città, fra cui la Tomba del Milite Ignoto nel cimitero di Arlington, ma di non averle potute montare perché la colonna sonora con i dialoghi era andata smarrita. Nell’Esorcista, in ogni caso, Georgetown è eternata da due set: la casa di mattoni rossi e, soprattutto, la scalinata tra la 36esima e Prospect Street, nei pressi del fiume Potomac.

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L'esorcista

Settantacinque gradini scuri, croce e delizia dei runner, meta di pellegrinaggio per colonie di fan e, dal 2015, attrazione turistica ufficiale della città, la scalinata è già presente nel libro. Blatty la descrive come “un precipitoso tuffo di vecchi gradini di pietra”. Nel film viene prima evocata dai dialoghi tra il tenente Kinderman e Karras, poi viene percorsa dallo stesso detective. Quando Kinderman la scruta, dal basso, la scala sembra un’entità opprimente, stretta da un muro di pietre a vista. Da quella prospettiva, i gradini sembrano ripidi in maniera vertiginosa e la cima, distante come un miraggio, è chiusa da un ritaglio di cielo attraversato dai rami di un albero.

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L'esorcista

La scala è l’elemento architettonico principe dell’Esorcista, contribuisce a definirne l’impalcatura visiva e a propagarne il mito. Friedkin lo aveva capito, tanto che la sua versione – quella uscita in sala nel 1973 – si chiudeva con l’immagine di padre Dyer, che dopo averla osservata, se ne allontanava lasciandola sullo sfondo insieme al Key Bridge. A seguito di un’infinita querelle tra il regista e lo scrittore su quale fosse il final cut più pertinente (lite protrattasi per decenni, e che in qualche modo ha finito beffardamente per rispecchiare le ‘visioni inconciliabili’ del demone e dei due sacerdoti), nel 2000 Blatty ha ottenuto di normalizzare quel finale, aggiungendo un dialogo tra lo stesso Dyer e Kinderman.

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L'esorcista

E rinunciando così a una cesura perfetta, sospesa, perturbante, su quelle scale che, come ha scritto Ann Hornaday, critica del Washington Post, “fanno paura per la loro apertura architettonica,  per il modo in cui invitano all’ascensione ambiziosa o alla discesa all’inferno. Perché una scalinata buia e ombrosa rappresenta sia una possibilità allettante (“Cosa c’è lassù?”) sia un’eventualità terrificante (“Cosa c’è laggiù?”). Le scale sono lo spazio liminale per eccellenza; a seconda dell’angolazione, sono piene di possibilità o piene di pericoli”. Amen. E arrivederci, Bill.

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina L'esorcista

L'esorcista

Horror - USA 1973 - durata 120’

Titolo originale: The Exorcist

Regia: William Friedkin

Con Ellen Burstyn, Max Von Sydow, Linda Blair, Jason Miller, Lee J. Cobb