Se nella novella la location è lasciata chiaramente intuire ma mai direttamente citata, nella trasposizione cinematografica di Morte a Venezia il set principale è, apertamente, l’Hotel des Bains, eccellenza alberghiera sorta sul Lido di Venezia nel 1900, otto anni prima rispetto all’altrettanto celebre Excelsior, che sarà invece lo sfondo parziale di un altro grande film del nostro cinema, C’era una volta in America. L’albergo appare dopo pochi minuti dall’inizio: la sua facciata liberty è parzialmente nascosta dalle siepi di bosso, mentre uno zoom accompagna il protagonista, il von Aschenbach interpretato da Dirk Bogarde, al suo interno dove, con uno stacco, viene proiettato anche lo spettatore.

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Morte a Venezia

Nella ‘pancia’ del des Bains, una clientela internazionale si muove tra colonne, vasi, enormi lampadari in vetro (si suppone di Murano) e piantane con paralumi in tessuto. Il musicista è raggiunto dall’untuoso direttore interpretato da Romolo Valli che lo conduce nella sua stanza, “il migliore appartamento dell’albergo”.

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Morte a Venezia

La camera di von Aschenbach, con vista sul mare, è lussuosa e piena di specchi collocati ovunque: a muro, sulla parte superiore della scrivania/credenza e sull’anta esterna dell’armadio, mentre il letto presenta una testiera in legno finemente intagliata.

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Morte a Venezia

Poco dopo, l’uomo incontrerà Tadzio, il giovane che gli cambierà la vita e lo accompagnerà alla morte e che, almeno negli interni dell’hotel, Visconti riprende come se fosse un’opera d’arte, con il volto sovente ‘ritagliato’ da elementi scenografici, per esempio dalle cornici rettangolari che si susseguono sulle pareti della struttura. D’altra parte, la versione di Visconti è uno sfinito trattato sull’inafferrabilità, la fuggevolezza e la corruttibilità della bellezza, mentre il breve romanzo di Mann (come già I Buddenbrook) focalizzava le sue riflessioni sulla decadenza di una classe sociale, la borghesia, e di un’intera cultura, quella mitteleuropea.

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Morte a Venezia

Il des Bains, con la sua storia, sembra confermare quell’inesorabilità della decadenza narrata da Mann (che vi aveva soggiornato, come, tra gli altri, Hitler, il coreografo Djagilev che addirittura vi morì, Elsa Maxwell e lo scià di Persia), e di far proprio questo disfacimento, soffrendolo sulla propria ‘pelle’. Progettato dai fratelli Raffaello e Francesco Marsich secondo un austero stile Art Nouveau, l’Hotel des Bains – un corpo centrale issato su sei piani e affiancato da due blocchi laterali a cinque piani, edificato negli spazi di un bosco secolare e quini non direttamente affacciato su una spiaggia, come Visconti lasciava immaginare (le scene sulla riva sono state girate sempre al Lido, ma agli Alberoni) – fu, al suo apparire, una creazione pressoché avveniristica, dotata com’era di telefoni, ascensori, acqua potabile, illuminazione elettrica, frigoriferi e bagni privati. Servizi che, negli anni a venire, avrebbero dovuto essere ampliati con la costruzione di un futuristico tunnel che, correndo sotto la laguna, avrebbe collegato il Lido con Venezia, accogliendo al proprio interno addirittura tram, cavi telegrafici e telefonici e servizi di posta pneumatica.

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Hotel des Bains

Ma se l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale fece accantonare il progetto, una serie di sciagure (tra cui una violentissima mareggiata, nel 1966) decretarono il decadimento di un albergo che, negli anni della Belle Époque aveva contribuito a fare del Lido una stazione balneare tra le più gettonate al mondo, in grado di attirare il non plus ultra dell’aristocrazia italiana ma anche americana, inglese e tedesca. Entrato inizialmente a far parte della catena Starwood Hotels, il des Bains, che già ai tempi delle riprese di Morte a Venezia aveva cessato le attività, è attualmente chiuso dopo il tentativo di trasformarlo in un complesso di appartamenti lussuosi, le Residenze des Bains.

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Hotel des Bains

E mentre la politica, con Sgarbi in testa, cerca di rilanciarne i destini promuovendo comitati, l’albergo riposa lì, come se fosse il nostro Overlook: del ‘mostro’ kinghiano condivide il fatto di essere stato totalmente devastato da un incendio nel 1916, mentre un anno prima, quando i suoi locali furono serrati per la guerra, a vigilare sulle sue stanze fu lasciato un unico custode di cui non conosciamo le sorti. Un Overlook da cui non riuscirà a fuggire neppure lo stesso von Aschenbach nella finzione viscontiana (un disguido con i suoi bagagli lo tratterrà lì nonostante avesse provato ad abbandonare quei luoghi funestati da un insalubre scirocco), andando incontro a una morte grottesca su una spiaggia ‘inesistente’.

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Morte a Venezia

Morte a Venezia

Drammatico - Italia 1971 - durata 130’

Regia: Luchino Visconti

Con Dirk Bogarde, Silvana Mangano, Björn Andresen, Romolo Valli, Marisa Berenson, Carole André

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