Come ha opportunamente scritto Enrico Cassini su Officinasedici a proposito di Il processo di Orson Welles “la ‘forma’ che disciplina il cosmos del film e le peregrinazioni di K. è quella del nomadismo. Più ancora che quello kafkiano, il Josef K. cinematografico vaga per spazi che si compenetrano senza soluzione di continuità: l’intero film è una sorta di fluido tracciato”. La geografia del film wellesiano è inaudita: il protagonista passa da un luogo a un altro che, dal punto di vista della logica spaziale, non dovrebbe trovarsi lì, in ambienti dove tutti gli interni sono caratterizzati da soffitti assurdamente bassi, utili a opprimere i personaggi, o viceversa altissimi, così da schiacciarli, come fossero rimirati dall’occhio di dio.

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Il processo
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Il processo

Coerentemente con l’ispirazione kafkiana, alcune tra le location scelte per questo capolavoro sono state interessate nella realtà da una serie di radicali metamorfosi. Si pensi alla principale, l’aula in cui Josef K. subisce il suo processo. Si tratta della stazione di Parigi Orsay, nel VII arrondissement, progettata nel 1900 da Victor Laloux e nata perché i viaggiatori potessero approdare a una stazione più centrale rispetto a quella di Austerlitz. Prestigioso esponente dell’accademismo (art pompier per i detrattori), Laloux immagina la stazione come una costruzione monumentale, la cui struttura in vetro e metallo viene celata dietro una mastodontica facciata in pietra calcarea, così da scongiurare una disarmonia architettonica con gli altri illustri edifici del circondario, il Louvre e le Tuileries.

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Della decorazione della gare (come di quella del lussuosissimo hotel al suo interno) si occupa lo stesso Laloux, che immagina tutto come un trionfo di stucchi, affreschi, pietre e fontane, secondo un dovizioso eclettismo che miscelava vari stili del classicismo francese. La grandeur degli interni trovava riscontro in quella degli esterni, marchiati dalla presenza di due enormi orologi collocati nei rosoni e di tre statue sormontanti la facciata. L’inaugurazione fu un trionfo, ed ebbe un’eco internazionale talmente rilevante che, alla gare d’Orsay, guardarono anche celebri stazioni statunitensi come la Grand Central Terminal di New York e la Union Station di Washington. Ma la gloria fu di breve durata e il successo presto minato dal fatto che, per non danneggiare i suoi stucchi, l’accesso a Parigi Orsay fu riservato solo ai treni a trazione elettrica, mentre ulteriori innovazioni tecnologiche a cui rimase estranea la resero presto obsoleta; così, già nel 1939, il traffico delle linee principali fu trasferito nella stazione di Austerlitz.

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Negli anni, come affetta da un processo di metamorfosi inarrestabile, l’opera di Laloux sarà adibita alle più disparate funzioni: durante la seconda guerra mondiale si prestò a fungere da centro di spedizione e, dopo la Liberazione, di accoglienza per i convogli dei prigionieri che arrivavano dalla Germania; nel 1961 ne venne decretata addirittura la demolizione, poi scongiurata dall’iscrizione nel registro dei monumenti storici. Quindi si reinventò ancora: come scenario di un teatro mobile e poi come sala per esposizioni e vendite di una casa d’aste. Finalmente, nel 1977, la stazione assumerà la ‘forma’ che conserva attualmente: quella di un museo che aprirà i battenti nel 1986 e i cui allestimenti interni porteranno la firma di Gae Aulenti mentre, nei suoi antichi sotterranei, sarà edificata la stazione nota oggi come Musée d’Orsay. Ma quella parigina non è l’unica location del Processo a divenire oggetto di cambiamenti radicali.

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Nell’immaginifico, straordinario lavoro sui set concepito da Welles e dallo scenografo Jean Mandaroux, la facciata della sede in cui avviene il processo – inquadrata solo per una manciata di secondi – ha i connotati del Palazzo di Giustizia che sorge nel quartiere Prati di Roma, realizzato tra il 1889 e il 1911 su progetto di Guglielmo Calderini declinando lo stile umbertino in una colossale costruzione in travertino. Per il palazzo romano i mutamenti avvengono sia nel passaggio dal progetto alla realizzazione (Calderini aveva immaginato un terzo piano ma la scarsa resistenza del terreno lo costrinsero a rinunciarvi e a modificare radicalmente le proporzioni dell’edificio), sia nelle sue destinazioni d’uso: in origine sede del Tribunale di Roma e poi di quello fascista, diventa postazione per le fucilazioni durante l’occupazione, e oggi ospita i locali della Corte Suprema di Cassazione.

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Inaugurato in pompa magna alla presenza di Vittorio Emanuele III e presentato come una delle maggiori opere realizzate dopo la proclamazione di Roma capitale, il Palazzo di Giustizia conoscerà anche la più crudele delle metamorfosi, quella relativa alla sua valutazione estetica, alla distanza subito venutasi a creare tra ambizione e ricezione (da una parte della critica ma più ancora da quella dei cittadini): forse a causa delle sue dimensioni inconsuete, o per un eccesso di decorazione, o per i lunghissimi tempi necessari alla sua realizzazione, l’opera di Calderini fu ben presto ribattezzata il Palazzaccio, crudele (e immeritato) nomignolo con cui è ancora oggi conosciuta. Una leggenda popolare voleva che il suo architetto si fosse addirittura suicidato a seguito di questi giudizi sprezzanti. Certo è che Lionello Venturi, critico e storico dell’arte, ne parlò come di “una massa di travertino in preda al tetano”. Si parva licet, è come andare a dormire uomini e risvegliarsi tramutati in scarafaggi.

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Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Il processo

Il processo

Drammatico - Italia/Germania/Francia 1962 - durata 118’

Titolo originale: Le procès

Regia: Orson Welles

Con Anthony Perkins, Jeanne Moreau, Romy Schneider, Orson Welles, Elsa Martinelli, Suzanne Flon