Tre paralisi

Una madre, una figlia: Rose non può camminare, costretta da anni sulla sedia a rotelle a causa di una misteriosa malattia, ma pure la ventiseienne Sofia è immobile, tra l’accudimento dell’esigente mamma e gli studi in antropologia lasciati a metà.

È durante un’estate in Almería che le due provano a sciogliere questo stallo familiare: Rose si affida alle cure del dottor Gomez, convinto che il suo problema non sia fisico, ma psicologico; Sofia invece vive una sorta di risveglio intrecciando una relazione con l’affascinante Ingrid, sfuggente come un sogno (ha infatti i contorni di una fata Morgana il loro primo incontro sulla spiaggia). A plasmare la materia del romanzo Come l’acqua che spezza la polvere di Deborah Levy (Garzanti) è Rebecca Lenkiewicz, qui all’esordio da regista ma già penna esperta nel cesellare figure di donne tribolate e faticosi percorsi di emancipazione al femminile (la Ida di Pawlikowski, le protagoniste queer di Disobedience di Lelio e quelle del #MeToo di Anche io di Schrader).

In Hot Milk, Lenkiewicz scandaglia gli abissi di tre donne paralizzate dal dolore, offrendo l’occasione per intense, drammatiche prove d’attrice - soprattutto alla tagliente madre Fiona Shaw e alla figlia repressa Emma Mackey, mentre Vicky Krieps è intrappolata in un ruolo da dream girl spirito libero fricchettone. Lenkiewicz ricama simmetrie (le sorelle di Rose e Ingrid) e simboli (non sempre fini: il cane incatenato, prigioniero come le protagoniste), lasciando che sulla storia aleggi un senso di ambiguità (non solo sul finale), lavorando su una tensione (erotica, ma anche rabbiosa) trattenuta e un tempo sospeso, come a voler dare forma all’impalpabile dimensione del trauma.

Il film