Filadelfia, 1996. La civettuola e bianca Diana (Guinevere Turner) chiede a Cheryl, prestante commessa di videonoleggio (Cheryl Dunye, origine liberiana, regista del film): «Cosa abbino a Cleopatra Jones? Amicizie pericolose o Due donne in gara?». «Cleopatra Jones è divertente, direi Repulsion: paghi uno e prendi due». Con lo scambio erotico di sguardi incandescenti tra Cheryl e Diana parte come rom com The Watermelon Woman (omaggio al pionieristico pamphlet black Watermelon Man di Melvin Van Peebles, 1970), il primo lungometraggio diretto da una cineasta nera e lesbica, pietra miliare del Nuovo cinema queer.

Diana, all’inizio diffidente («ho appena cambiato casa, Polanski è spaventoso...»), accetta infine il consiglio di Cheryl, aspirante regista che intanto filma matrimoni in stile “realismo urbano” con la migliore amica Tamara (Valarie Walker), commessa black nello stesso store. Ma Cheryl già ci inganna. A Tamara, “grip girl ” (sul set smorza le luci coi pannelli di polistirolo riflettenti), nega parte della paga: «Non hai visto Go Fish? Se vuoi fare cinema devi sacrificarti!». Proprio Turner/Diana era la star di tale commedia “bulldagger” (termine gergale per lesbica, ndr) di Rose Troche. Alla sua storia personale Cheryl pensa meno che al progetto poetico-politico.

Non mancano le nottate nei locali per “sapphic sisters” a far pettegolezzi su Spike Lee, o scene di autentico erotismo e giocosa intimità bicolore tra Dunye e Turner, prive di quella oggettivazione che domina le scene di sesso lesbico mainstream. Ma Cheryl vuole risarcire un’attrice nera anni 30, costretta al perenne ruolo di cameriera e indicata nei credit solo come “Donna anguria”. Segue, con rabbia e umorismo, diverse piste: analizza sequenze di vecchi film e cinegiornali sopravvissuti; fa cinemaverità coi passanti; incontra studiosi (di black cinema maschile), ricorda le umiliazioni razziali subite dalle star nere Louise Beavers e Hattie McDaniel, litiga e chiede alla femminista Camille Paglia di autoparodiarsi in un elogio divertente dello stereotipo “mammy”: «Mi ricorda la grassa e generosa massaia italiana di una volta: l’anguria è come il tricolore». Scopre che la bellissima cameriera era Fae Richards e che la regista bianca dei suoi film, Martha Page (una sorta di Dorothy Arzner), era sua amante.
Più che in un mockumentary (mai esistita Fae Richards, è l’attrice Lisa Marie Bronson a impersonarla, e i materiali di repertorio sono falsi della fotografa Zoe Leonard) siamo in un “Dunyementary”, ibrido di fiction, doc, film-saggio, fake news, commedia, urlo e autobiografia, una sfida al black cinema macho e al cinema queer commerciale, che ricorda tragedie vere con il sorriso sferzante. «Perché» afferma Dunye «una queer nera non è solo la drag queen, ma anche un meraviglioso arcobaleno di identità». Scandalizzato dalle canne e dal sesso “impuro” l’attuale ambasciatore di Trump in Canada Pete Hoekstra chiese (senza successo) che il National Endowment for the Arts non finanziasse più «sconcezze simili».
Il film
The Watermelon Woman
Drammatico - USA 1996 - durata 90’
Titolo originale: The Watermelon Woman
Regia: Cheryl Dunye
Con Cheryl Dunye, Guinevere Turner, Valarie Walker, Lisa Marie Bronson, Cheryl Clarke, Irene Dunye
in streaming: su MUBI Amazon Channel MUBI
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