Non bisogna avere il pollice verde per amare l’ultimo antieroe di Paul Schrader. Sopravvissuto al suo terribile passato, coltiva il suo giardino e attende la primavera in un purgatorio fiorito. Perché la civiltà, come i fiori, nasce dal chimerico progetto di contenimento della barbarie. Tra natura e cultura, Schrader rivisita la storia dell’America.

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Il maestro giardiniere

Una varietà incredibile di fiori sboccia in rapida successione su fondo nero, i petali si schiudono a scoprire il loro cuore mirabile, gli steli si tendono solenni per sostenerlo mentre i credits sfilano in split-screen introducendo l’autore di Il maestro giardiniere: “A film by Paul Schrader”, niente di più, niente di meno. Quella che vediamo schiudersi davanti ai nostri occhi è la nuova metafora di un regista che ha prodotto una filmografia visionaria e calvinista, probabilmente la più monomaniaca del cinema americano contemporaneo.

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Il maestro giardiniere

Un’infinita variazione sulla figura dell’uomo solo e tormentato, all’incrocio tra il Travis Bickle di Taxi Driver (sceneggiato da Schrader), i personaggi di Robert Bresson (suo modello assoluto) e le memorie di Dostoevskij. Dopo cinquant’anni di attività, le sue metafore narrative e visive sono diventate da sole il motivo del suo cinema, traslazioni attraverso cui lo spettatore deve passare se vuole comprendere il problema centrale dei suoi personaggi: tutti uomini, tutti soli, tutti stoici, tutti con un passato violento che trova salvezza in un’esistenza monastica e ritualizzata.

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Il maestro giardiniere

In Il maestro giardiniere è la cura di un giardino francese, governato con mano ferma da una ricca ereditiera (Sigourney Weaver), figura fantasmatica che protegge i suoi fiori come una specie minacciata e riattiva, in un décor dell’America pre-abolizionista, il ricordo di una lunga storia di dominazione di classe e di razze.

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Il maestro giardiniere

I fiori di mille colori come i taxi gialli o i tavoli da gioco verdi formano una costellazione di titoli e di immagini a cui l’autore si interessa non per quello che sono ma per quello che significano nell’esistenza dei suoi personaggi. Gli opening credits chiariscono l’idea centrale di Il maestro giardiniere invitandoci a infilare i guanti da lavoro e a cercare la radice di questo terzo atto schraderiano. Dopo First Reformed e Il collezionista di carteIl maestro giardiniere completa magnificamente una trilogia sulla punizione e la redenzione. Orchidee, tulipani, fiori di pesco... i titoli di testa fioriscono sullo schermo e sulle armonie musicali di Dev Hynes, annunciando il programma ‘botanico’ prediletto da Schrader: i semi di un cinema corrosivo e sempre sensibile ai fiori del male americani. Al prete e al giocatore succede l’orticoltore Narvel Roth (Joel Edgerton), ultimo avatar di questa schiera di antieroi schraderiani sospesi tra due orizzonti permanenti - la realizzazione e il fanatismo, l’amore e la violenza, la colpa e il perdono - per spingerli meglio sull’orlo della distruzione e di una morale che deciderà del loro annientamento o della loro emancipazione.

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Il maestro giardiniere

La semplicità qui è essenziale: un bouquet di fiori, un pugno di personaggi, una sola scenografia (la Candyland immaginata da Tarantino per Django Unchained), il motivo di base della redenzione, che Paul Schrader riporta instancabilmente in vita. Le scelte registiche contano altrettanto, ogni gesto, ogni taglio, ogni sguardo contribuisce a portare il dramma a destinazione. La pratica del giardinaggio, l’arte di far crescere i fiori (oggetto della bella sequenza d’apertura), è presa molto sul serio da Schrader e dal suo disciplinato protagonista, per Narvel Roth è soprattutto una questione di apprendimento e di etica, si tratta di un rapporto sobrio e trascendentale con il mondo. “Il giardinaggio è un atto di fede nel futuro”, scrive Narvel alla fine dei titoli di apertura, come i precedenti protagonisti di Schrader fa un esame di coscienza redigendo note esistenziali sul suo diario. La germinazione è la chiave della metafora: l’anima umana, come il seme, porta con sé qualcosa che aspetta solo di crescere. Ma le condizioni devono essere quelle giuste e sono condizionate dal tempo. Il tempo che ci vuole per fiorire.

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Il maestro giardiniere

La bellezza floreale del principio, che si celebra e si dona allo spettatore, prepara il terreno e ci prepara all’immersione in un contesto chiuso, come tagliato fuori dal mondo, separato, quasi senza tempo. Un ‘Eden’ che non lasceremo per tutta la prima metà del film e in cui resiste un immaginario ancora razzista.

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Il maestro giardiniere

È la magnifica tenuta di Mrs. Norma Haverhill, ricca tenutaria che fa il buono e il cattivo tempo sul suo giardino e sul suo guardiano, che ha raccolto dal limbo di un programma federale per la protezione dei testimoni e trasuda un passato che rimane sfumato come i riferimenti temporali e spaziali del racconto. Dalle architetture e dal clima afoso potremmo essere in Louisiana. Dal debutto fino all’ultima inquadratura, il film ci ricorda che la purezza e la bellezza della natura sono indecifrabili. L’autore non smette di confrontarsi col senso di colpa bianco ma sembra aver trovato nell’orticoltura il materiale per un falso film giustizialista, dove la redenzione non passa per un sanguinoso pentimento ma nella delicata germinazione di un seme: quello di una fragile speranza che ha bisogno di essere nutrita per sbocciare. Supportata da numerosi travelling verticali, i movimenti di macchina partono dalla natura e salgono ad altezza d’uomo, la metafora di Schrader è limpida: il nostro stato primario, che qualcuno chiama naturale, non è una fatalità e può essere corretto e condotto dove ci sembra più giusto. Proprio come un giardino, questa attitudine si coltiva.

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Il maestro giardiniere

Principio e fine confermano il carattere ottimista del nuovo cinema di Schrader, meno interessato questa volta a mettere in scena un uomo pericoloso in azione. Il suo leitmotiv è diventato un totem che conserva celato come i tatuaggi di Narvel, quasi a ricordargli un momento passato della sua filmografia che tocca conservare per dire meglio quello che ha da offrire di nuovo. Se la posta in gioco per l’autore risiede sempre nella mutazione dei suoi personaggi, che passano da uno stato vegetativo a uno d’azione, la natura di questa azione è cambiata, non si tratta più di una brutale scarica di violenza ma di una sorta di sobrietà esistenziale. Il fuoco d’artificio dei suoi film volge nel semplice atto fisico dello sbocciare o di un amplesso, una scena carnale che l’autore filma come una cerimonia sacra, piena di mistero e di pudore.

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Il maestro giardiniere

Schrader scende in ‘campo’ e prova la sua gamma di colori, spingendola fino a una forma di derealizzazione teorica. Degli archetipi del suo cinema, i personaggi di Il maestro giardiniere sono i meno incarnati, quasi fossero i fantasmi dei predecessori. Sono l’impronta fossile o il ‘sogno fiorito’ di una filmografia che contraddice il suo programma fino al lieto fine. Seduto nella sua camera (o)scura - come Travis prima di lui, Taxi Driver è la matrice - Narvel toglie la ‘divisa’ (il grembiule) che nasconde i marchi infamanti del suo passato (il suo torso, la sua schiena e le sue braccia sono costellati di tatuaggi alla gloria del nazismo) e dischiude il suo cuore, come annunciato dai titoli. L’ex suprematista bianco si è fatto orticultore per trovare l’equilibrio tra ordine e caos. Forse la definizione dell’arte secondo Schrader.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

Il film

locandina Il maestro giardiniere

Il maestro giardiniere

Thriller - USA 2022 - durata 107’

Titolo originale: Master Gardener

Regia: Paul Schrader

Con Joel Edgerton, Sigourney Weaver, Quintessa Swindell, Eduardo Losan, Esai Morales, Rick Cosnett

Al cinema: Uscita in Italia il 14/12/2023

in streaming: su Rakuten TV