Per alzata di mano: a chi non piace il cinema dei fratelli Coen? Domanda ulteriore per chi dovesse aver alzato la zampa: come mai avete dei gusti così errati, bestie che non siete altro? Pardon, è scappata la frizione e de gustibus continuano assolutamente a essere non disputandum. Però, perdiana, portate pazienza: sapreste indicarmi qualche altro autore cinematografico o televisivo in grado di abbracciare il senso cervellotico-emotivo della vita (spoiler sbrigativo: non c’è, la nostra esistenza è un bellissimo e terribile caso fortuito e questa consapevolezza non può che essere affrontata con ironia e filosofia accettando il mistero) come hanno fatto i Coen in tutti questi anni, attraversando i generi, le ambientazioni e i modi per raccontare una storia? A me vengono in mente solo alcuni epigoni. E sono praticamente tutti impresentabili a parte tre, che sono molto molto bravi.

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Fargo (2014) locandina

Uno è Noah Hawley, a cui i Coen in persona hanno affidato l’universo espanso di Fargo permettendogli di creare una magnifica serie antologica. Gli altri due sono giovani padawan inglesi, creatori, sceneggiatori e registi di serie tv ancora piuttosto sconosciuti in Italia – la prima stagione di The Tourist si è vista su Paramount+, Liar - L’amore bugiardo è stata sepolta sul Nove, mentre a Fleabag hanno partecipato giusto come produttori. Harry e Jack Williams, però, sono sul serio composti al 60% di acqua e al 40% di fratelli Coen. Guardando il pilota di Boat Story (uscita lo scorso novembre su BBC) senza sapere che fosse stato realizzato dagli stessi autori di The Tourist, bastano pochi minuti per individuare l’allegorico altare costruito per venerare le bizzarre serissime storie di idiozia dei fratelli Coen.

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Boat Story

Dice, Boat Story, che alcuni prologhi sfruttano gli epiloghi. Dunque questa storia su una barca inizia con la testa mozzata del personaggio di nome Samuel, che ci era appena appena stato introdotto da una voce off profonda, molto british, che tende ad apprezzare l’ironia della sorte e la buffoneria di come il fato, certe volte, intervenga sulla stupidità delle vite umane. Siamo nella città fittizia di Applebury, non propriamente un posto che muori dalla voglia di vedere; è più il posto dove scegli di andare a morire perché probabilmente gli affitti costano poco e ti puoi permettere una dignitosa casa sul mare con la tua pensione da lattaiə.

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Boat Story

Janet Campbell ha del blu nei capelli, è una pittrice a cui la vita ha impedito di dipingere, guida un motorino, ha un ex compagno spocchioso che ha votato la propria vita alla fede, l’ha lasciata per mettersi con una bionda più giovane e non le permette di vedere il figlio adolescente, e lavora stancamente (ma non approssimativamente) in una fabbrica di piatti e stoviglie. La mano sinistra di Janet finisce spappolata da uno dei macchinari per colpa dell’errore stronzo di un supervisore distratto; lo stesso supervisore stronzo distratto che poi la fregherà impedendole di avere la giusta remunerazione per l’orribile infortunio sul lavoro: peggior giovedì di sempre, come fa notare la voluttuosa voce onnisciente del narratore fuori campo.

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Boat Story

Ora occupiamoci dell’imbarcazione del titolo, un peschereccio-bagnarola battente bandiera francese che, in una nottata di tempesta, viene fermato dalla guardia costiera inglese per un controllo. Essendo che, oltre allo sgombro, la catapecchia galleggiante trasporta anche un buon tot di cocaina, c’è uno scontro tra guardia e malvivente. Il destino vuole che lo scontro finisca pari, ovvero con entrambi i contendenti morti, lasciando senza un tutore tutta quella costosissima sostanza stupefacente.

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Boat Story

Il Samuel di cui sopra, invece, ha una moglie, una figlia adolescente sordomuta, un cane toporagno e un gatto di nome Major Tom che è andato perso proprio mentre la famigliola prendeva armi e bagagli e si trasferiva da Londra ad Applebury – il più peloso buco di culo d’Inghilterra, come lo descrive Janet – perché il patriarca ha sperperato al gioco tutti i propri risparmi. Samuel e Janet si incontrano per caso una mattina prestissimo sulla spiaggia e scovano i resti arenati del peschereccio. Ancora prima di presentarsi tra di loro e di decidersi a chiamare la polizia per segnalare i due morti, la strana coppia scova le decine di milioni di sterline in cocaina spiaggiate insieme a rottami e cadaveri. È il destino che ci ha premiati, dice Samuel.

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Boat Story

Stacco improvviso su un sarto francese, finto gentile e dall’eloquio forbito, che nel retro del suo negozio ha un uomo legato e imbavagliato a cui staccare la lingua. Il sarto è il gentiluomo a cui appartiene la spedizione di cocaina andata a ramengo e non sembra essere un tizio con cui è possibile ragionare particolarmente. L’episodio pilota si conclude con tre loschi figuri alla Guy Ritchie ma molto meno fessi, che si giocano il ruolo di guidatore designato proponendo un sasso-carta-forbice prima di penetrare nel commissariato di Applebury e fare una strage di poliziotti. Perché lo fanno, vi chiederete voi. La risposta assolutamente sbagliata è “Perché no?”.

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Boat Story

Quella giusta è che si sono presi la briga di sterminare un’intera squadra di polizia per avere accesso all’ufficio reperti del commissariato e sottrarre qualcosa che non riescono nemmeno a trovare: la cocaina scomparsa dal carico imbastito per conto del sarto. Anzi, di The Tailor, come si presenta al telefono ad Arthur, il compagno del poliziotto ucciso dal fato. Anzi ancora, di Le Tailleur. Perché molte cose suonano meglio in francese che in inglese, e ci mancherebbe. Trattandosi del secondo carico andato perduto, Le Tailleur presume che Arthur e il suo amato avessero messo in piedi una mini contro-organizzazione a due per intercettare i carichi del sarto e farli propri. Certi sgarri non si fanno, e se si fanno c’è da pagarne le conseguenze.

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Boat Story

Dice, Boat Story, che alcuni epiloghi sfruttano i prologhi. E questo episodio pilota finisce con Samuel che raccoglie la sua stessa testa. Urca. Harry e Jack Williams: mi avete, ancora una volta, più che convinto. Perché quel coenismo l’avete reso vostro sia nella scrittura, sia nella messa in scena. Siete stati in grado di trasportarlo nella provincia inglese, che volevate raccontare in tutta la sua disperazione che non si piange addosso.

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Boat Story

Janet, interpretata dalla sempre irresistibile Daisy Haggard, è un personaggio devastato dalla sfortuna, che però rimane dignitosamente a galla pur senza manifestare irreali entusiasmi da squilibrio chimico nel cervello. Samuel, interpretato dallo scespiriano Paterson Joseph, è un pesce fuor d’acqua che trova in Janet una persona con cui essere finalmente se stesso, anche se è stato un capriccio del fato a scegliere per lui. Attorno a loro, una serie di personaggi (ma anche di macchiette che durano il tempo di una scena) azzeccati e stilizzati con cura. Una di quelle serie che meriterebbero un’inutile petizione online per ottenere distribuzione anche in Italia.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.