Ormai è il ciclo naturale di ogni bizzarra storia di cronaca che si rispetti. Prima succede il fatto – ovviamente. Poi c’è il libro scritto da uno dei protagonisti del fatto e/o da uno scribacchino locale che ha vissuto di seconda mano gli eventi e non riesce a credere alla botta di fortuna che ha avuto: addio reportage sulla fiera della mietitrebbia, benvenuto bestseller di exploitation sulla setta incestuosa satanista mormona lefevriana che vende gli organi dei bambini nella cantina di un bowling. Poi arriva il documentarista e/o l’autore di podcast con in mano un contratto pre-compilato per l’adattamento in serie true crime e/o film documentario non più lungo di 95 minuti. E infine arriva la tv, quella narrativa e con i soldoni, a romanzare il tutto e dare alla faccenda un tocco di glamour seriale hollywoodiano. Non solo gli eventi vengono messi in fila, riscritti e riaggiustati a seconda dell’effetto drammatico richiesto da un professionista che ha fatto un sacco di anni in una scuola di sceneggiatura piuttosto costosa; ma oltretutto la mamma si trasforma nel premio Oscar Anna Paquin, il babbo si tramuta nel figlio di premio Oscar Colin Hanks, e il vicino di casa con problemi diventa il fascinoso Jack Lacy (The White Lotus).

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A Friend of the Family

 A parte essere pienamente in linea con la catena di montaggio della filiera true crime – fattaccio capitato nel bel mezzo degli Stati Uniti negli anni ‘70, libro raccontatutto scritto dalla vittima insieme alla madre, documentario uscito su Netflix (Rapita alla luce del sole) nel 2019 e miniserie lussuosa a chiudere il ciclo – A Friend of the Family ha, sulla carta, validi motivi per essere atteso con il giusto fomento. Del cast si è detto, ma vale la pena ribadire un’ultima volta che si tratta di gente incredibilmente capace e in grado di rendere espressiva la lettura del bugiardino di un diuretico, figurati una sceneggiatura scritta come gli dèi delle serie tv comandano. Poi c’è che la miniserie l’ha co-scritta e creata il giovane virgulto Nick Antosca, che dopo l’inaspettato successo di Al nuovo gusto di ciliegia è uno degli showrunner più trasversalmente ricercati sul mercato – su Hulu è uscita a maggio, ed è appena arrivata da noi, la sua miniserie Candy. E infine c’è che A Friend of the Family è uscita, in patria, su Peacock, il servizio di streaming di NBC che ha un canale distributivo diretto su Sky, rendendo ampiamente probabile una pronta trasmissione italiana.

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A Friend of the Family

Che la storia raccontata in questa serie sia assolutamente vera ci viene prontamente ed emotivamente ribadito, appena prima dell’inizio dell’episodio pilota, dalla vittima stessa, Jan Broberg, oggi attrice e cantante dal discreto curriculum. Ed è molto interessante come faccenda. Molto più interessante dei pannelli post titoli di coda con i fermi immagine delle facce della gente vera a cui un film o una serie si sono ispirati. In questo caso, invece, Broberg parla e si rivolge direttamente al pubblico, quasi mettendo le mani avanti. Dice che la storia è verissima, anche se non sembra; dice che negli anni ‘70 il mondo era un posto diverso, e che quello che è successo a lei e alla sua famiglia non dovrebbe capitare mai più. È un ottimo sentimento, cara Broberg, ma vagamente ingenuo in un paese come il tuo, dagli spazi infiniti, in cui non esistono servizi sociali e in cui le patologie mentali vengono trattate con un fucile da caccia in omaggio per ogni tre scatole di xanax acquistate.

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A Friend of the Family

Il pilota si apre con una ragazzina, Jan, che è fin troppo spaventata dal buio per essere una che vive in un posto noioso come Pocatello, Idaho. Capite? Pocatello. Idaho. Avete presente dov’è l’Idaho? Appunto. Ella, la ragazzina, ci dà l’impressione di essere traumatizzata. Ma da cosa? Torniamo indietro di pochi anni, venite con noi. Nel 1972, quando la bimba aveva 12 anni, la famiglia di Jan – madre e padre bravi e mormoni, più due sorelline – era l’idillio, l’immagine più bucolica che la fantasia di Pocatello, Idaho potesse partorire. Un bel giorno, la famigliola perfetta al completo va a conoscere un’altra famigliola perfetta al completo, i nuovi vicini di casa che sono patriarcati dall’affascinante capofamiglia Bob. Tutto sembra fin troppo meraviglioso, e tutti sembrano non solo felici ma proprio soddisfatti: ognuna di queste persone ha realizzato il sogno americano fatto di sobborghi residenziali, villetta con giardino, famiglia numerosa, chiesa a portata di schioppo, vicini perfetti. Tutto vero tanto quanto la doratura sulle statuine di gatto portatrici di soldi che fanno su e giù con la zampina.

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A Friend of the Family

E mentre il palco della finta perfezione viene tenuto in piedi con grande sforzo e talento innato da entrambe le parti, il nuovo vicino Bob comincia a piantare il seme della seduzione nelle gonadi di tutta la famiglia vicina di casa. E quando dico tutta, intendo tutta. Comincia a manipolare, a insinuarsi, a sussurrare, a infilarsi, a erodere lentamente e subdolamente ogni rapporto che crea per mezzo del suo narcisismo calcolatore. Bob, ci dicono verso la fine del pilota quando l’uomo ha già rapito per la prima volta Jan, è bipolare.

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A Friend of the Family

Ma è più importante mantenere le apparenze, piuttosto che affrontare il problema e cercare di risolverlo. Si cercano giustificazioni e spiegazioni contestuali, piuttosto che ammettere la debolezza. Di più. In America, al tempo, quasi non si poteva parlare di pedofilia. Un tabù troppo violento da potercisi lambiccare con quel cervello collettivamente così bigotto. Non vi sto a raccontare l’assurdo risultato di queste dinamiche oscurantiste, giusto per non rovinarvi la sorpresa nel caso in cui non conosceste il fatto di cronaca o non aveste visto il documentario di Netflix. Come tanti dei colleghi che si ispirano al true crime, di quelli equipollenti nella raffinatezza dell’approccio al genere e nelle ambizioni di messa in scena, A Friend of the Family parte dal caso di cronaca per raccontare un paese e un popolo, applicando un filtro moderno a una storia vecchia di 50 anni nella speranza di poterne (oggi) trarre un senso che ieri invece sfuggiva.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.