Dice: no dai, davvero? Dove l’avete tirata fuori un’altra commedia un po’ depressa, un po’ disperata, un po’ grottesca – e per di più animata – ambientata in un’azienda? Dalla quale se per forza debbo dedurne qualcosa di non detto è che l’ufficio è un posto alienante e il mondo del lavoro terziario è strutturato in dinamiche talmente assurde da fare il giro e diventare buffe o financo cringe/? Allora, nell’ordine. Sì. L’abbiamo tirata fuori da HBO, che è tipo il canale a cui dobbiamo la rivoluzione della tv di qualità degli ultimi vent’anni, mica la Rete 3 Manila di Sacramento che trasmette la Telenovela californiana.

Ultimo ma non meno importante: eh, perdiana, non avete tutti i torti; anch’io pensavo che, dopo la sitcom ambientata nell’ultimo Blockbuster del mondo, questo sottogenere avesse un po’ terminato gli argomenti. Mi sbagliavo. E in effetti non era così complicato fare il collegamento successivo. Se abbiamo finito le idee, ma rimane lo stimolo a raccontare un ambiente del lavoro aziendale che è sempre più alienante, avulso dalla realtà e, più spesso che no, caratterizzato da un’atmosfera tossica, il trucco è transustanziare questi tre elementi e da metaforici farli diventare reali. Insomma: l’ufficio lo mettiamo su Marte. Lapalissiano e allo stesso tempo sottile.

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Fired on Mars

“Penso di avere finalmente un’idea di come funzionino le cose quassù”, dice l’esemplare di homo aziendalis Jeff (che in originale ha la voce da adorabile pirlotto di Luke Wilson) ad Hannah, la fidanzata che ha lasciato sulla Terra. Spoiler neanche troppo spoiler: non è così, Jeff non ha la minima idea di come funzionino le cose lassù e sta per prendersela dritta sui denti. Jeff è uno dei tanti impiegati che la multinazionale Mars.ly ha spedito sul pianeta rosso come parte di una colonia di cui non si capisce bene lo scopo. I nuovi marziani sembrano stare lì solo per il gusto di esserci (tanto che lo slogan ufficiale dell’azienda è: “Marte: sì dai, ci siamo andati”) arrabattandosi dentro a grandi uffici – open space, vetrate ariose, innumerevoli briefing schedulati dai team leader, crocifissione in sala mensa abolita per statuto, molte piante a foglia lunga – che non sembrano avere uno scopo particolare.

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Fired on Mars

Anzi sì. Esistono per la soddisfazione dei dirigenti, che possono dirigenteggiare tra una partita di golf (e una pausa porno-aliena di verhoeveniana memoria) e l’altra. Esistono per riempire il vuoto nelle vite delle persone che ci lavorano pur senza fare niente di sostanziale e/o effettivo, che non hanno letteralmente altro con cui impiegare il loro tempo. L’importante è avere un ruolo all’interno dell’organigramma, un titolo che giustifichi la propria presenza in quegli uffici e gratifichi il proprio ego. All’esemplare omega Jeff, convintissimo e scellerato tifoso di quelle stesse politiche aziendali che stanno per catalogarlo come scarto, viene tolta l’etichetta e, con essa, l’unico scopo della sua vita. Senza contare che, effettivamente, al di fuori della colonia/ufficio non c’è molto da fare su Marte.

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Fired on Mars

Ah. E pare inutile sparare sulla croce marziana, ma ad Hannah non importa nulla di Jeff. Anzi, come tutto il resto del mondo mal sopporta la sua energia da labrador che ha sbattuto la testa da piccolo. Cosa ne sarà del povero Jeff? Non lo so mica. E non so nemmeno la strada che prenderà quest’affilata commedia animata, visto che l’episodio pilota si conclude con il nostro licenziato protagonista che viene catapultato fuori dalla colonia. Ma quantomeno è riuscito a indossare la tuta spaziale. Mazziato, cornuto, però con una discreta quantità di ossigeno per riflettere sulle sue miserie mentre vaga nel deserto della superficie marziana.

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Fired on Mars

Più che a The Office, per dare riferimenti su questo Fired on Mars – creato dagli showrunner esordienti Nate Sherman e Nick Vokey, i quali hanno gonfiato a serie un cortometraggio animato che avevano scritto e diretto nel 2016 – funziona meglio il paragone con la visione apocalittica (ma pur sempre divertita) che Mike Judge fornisce sul mondo del lavoro (e sul futuro della società) in Impiegati... male e in Idiocracy. Il livello di satira pura è abbassato di qualche tacca, sostituito da un alto tasso di compassione per quel buon idiota tartassato di Jeff.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.