Di questa serie qui, uscita il 4 maggio su Peacock (il servizio streaming di NBC) e il cui destino distributivo sul nostro mercato è ancora piuttosto ignoto, ho letto cose strane. Recensioni buone, ma terribilmente generiche. Come se ci fosse da fare un favore a un ufficio stampa. E almeno una recensione arrabbiata, ma che vale doppio perché è uscita sul Guardian ovvero l’epitome della pubblicazione come si deve. La recensione, scritta molto bene, dice che Bupkis è un bel casino incoerente che non porta a nulla. E mi è sembrato strano, visto che ancora prima di vederla sono andato a informarmi sul suo titolo. Bupkis. Sembra il rumore che fa il mio piloro quando bevo troppo caffè e parte il reflusso, mi intriga. È il modo in cui chiamano i pasticciotti nell’Europa dell’est? Sarà il nome del protagonista? Sarà il cognome del co-protagonista? Salta fuori, invece, che bupkis è molto più che un cibo, un nome di battesimo o un titolo. È una netta dichiarazione d’intenti. È una parola yiddish (originariamente scritta bobkes) entrata nello slang dei bro con il significato di “assolutamente nulla di nulla, zero, niente di importante”.

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Bupkis

Pete Davidson è un tipo particolare. Negli Stati Uniti è diventato celeberrimo (non esagero) dall’oggi al domani dopo aver debuttato al Saturday Night Live a soli 20 anni, nel 2014. Il pubblico l’ha accolto a braccia aperte e l’ha adottato all’istante perché è bravo, ha il carisma dello spacciatore simpatico, ha la faccia, l’incarnato e la tenuta fisica di uno di cui vorresti prenderti cura stile passerotto con la zampa rotta e soprattutto ha sempre tenuto in bella vista, su un vassoio, senza filtri e con ingenuità quasi invidiabile, la sua vita privata e il suo ego problematico e traumatizzato. Pete Davidson è il comico dei ventenni (ormai quasi trentenni) con un buon rapporto con gli psicofarmaci che dice “io, io, io” ma senza incensarsi, bensì dandosi costantemente addosso. È, in buona sostanza, il Jerry Seinfeld di cui gli anni 2020 avevano bisogno. Ed è anche uno dei pochi a cui credi quando scrive e interpreta una serie vagamente autobiografica e decide di intitolarla “assolutamente nulla di nulla, zero, niente di importante”.

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Bupkis

Il solco è quello delle grandi serie narrative comiche degli ultimi anni, quindi. Un nulla elevato ad arte. Non solo Louie e Curb Your Enthusiasm, però. C’è anche di mezzo il tocco surreale di Atlanta e la psicoterapia in pubblica piazza di Master of NoneBoJack Horseman – il tutto preso con le più grandi pinze in circolazione, visto che nella lista appena compilata ci sono in mezzo anche faccende che sfiorano il capolavoro. Il pilota inizia con il personaggio Pete Davidson – il quale, come il vero Pete Davidson, vive ancora nello scantinato della casa materna a Staten Island – che si sta masturbando con l’aiuto di un aggeggio per la realtà virtuale e arriva al culmine proprio sulla maglietta della mamma Edie Falco, scesa nella caverna per portare al figlio i panni appena stirati.

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Bupkis

Imbarazzo divertente (per noi ma anche un po’ per loro), autocommiserazione, momenti buffi che costeranno migliaia di dollari in psicoterapia e/o in droghe leggere e un gran bel cabaret di bupkis. Difficilmente l’incipit di una serie riesce a essere così onesto, anche a costo di allontanare qualche spettatore impreparato. La prima puntata di Bupkis prosegue con la più bella sorpresa dell’anno televisivo: Joe Pesci che appare nel ruolo del nonno di Pete a cui hanno appena diagnosticato il morbo della morte. E la lira si impenna.

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Bupkis

Erano 37 anni che Joe Pesci non accettava di apparire in una serie tv e non credo che abbia tutto questo bisogno di soldi. Voglio dedurne che anche lui abbia valutato positivamente questo gran bel piatto di nulla. In cui, oltretutto, può sostanzialmente interpretare se stesso, ovvero l’ottantenne più ganzo in circolazione. E forse anche lui aveva voglia di assistere alla scena in cui il personaggio di Brad Garrett sta conoscendo biblicamente una escort pagata da Pete quando gli si blocca l’anca e implora il suo mecenate affinché lo aiuti a raggiungere l’apice spingendolo da dietro con una certe verve. A scriverlo viene quasi da chiamare i servizi sociali. Ma a vederlo giuro che fa ridere.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.