
27 marzo 2022 (alla vigilia della cerimonia)
Non sono così bravo a stendere dei pronostici. Ragion per cui mi limiterò a commentare i pronostici più affidabili che ho trovato in rete (quelli di badtaste.it) sui più probabili vincitori dei premi Oscar 2022, provando a cavarne un discorso più ampio sull'attuale situazione in quel di Hollywood, essendo da sempre gli Oscar, come sappiamo, una forma pubblica e consapevole di autorappresentazione messa in atto dall'industria cinematografica statunitense.

Dune (2021): Timothée Chalamet, Josh Brolin
Secondo questi pronostici, il film che uscirà vittorioso dalla 94esima edizione degli Academy Awards sarà Dune (in corsa con dieci nomination complessive). Non vincerà come miglior film, ma dovrebbe essere quello che si porterà a casa il maggior numero di statuette. Ossia gran parte dei premi tecnici (sei, per la precisione): montaggio, fotografia, scenografia, effetti visivi, sonoro e colonna sonora originale (esclusi i costumi, che andrebbero a Crudelia).

Crudelia (2021): Emma Stone
In questo modo, la space opera firmata da Denis Villeneuve diventerebbe il corrispettivo di ciò che era stato Mad Max: Fury Road nella cerimonia del 2016, ovvero un blockbuster autoriale che in ambito premi (ma anche a livello di appeal sulla massa) ha puntato tutto – con successo – su una confezione di prim'ordine.

Mad Max: Fury Road (2015): Tom Hardy
Capiamoci: sul piano degli introiti, Dune ha comunque giocato in un campionato che non ha nulla a che spartire con quello di uno Spider-Man: No Way Home (nominato per l'effettistica e divenuto in breve tempo il sesto incasso della storia del cinema), ma insieme a prodotti di ambizioni analoghe (come Tenet o The Batman) contribuisce a tenere aperto un orizzonte che andrebbe perseguito anziché abbandonato, perché è probabile che sarà quello sul quale, a lungo termine, si giocherà la sopravvivenza della sala in termini di grandi numeri e contemporaneamente del cinema (nel senso stretto del termine) da fruire sul grande schermo.

The Batman (2022): Robert Pattinson
Dune è infatti quel genere di film che le grandi major hollywoodiane dovrebbero imparare a produrre di più: la qualità (l'impronta artistica e professionale) che si intreccia alla quantità (lo spirito commerciale e popolare). È il modello, per capirci, de Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re (all'epoca trionfatore assoluto con undici statuette), ma anche di Titanic (sempre undici statuette), per restare nel bacino dell'altissimo budget. Oggi, però, un simile en plein sarebbe inimmaginabile, sia per la granulosa frammentazione dell'offerta che per la drastica crisi delle certezze che è in atto sia fra il pubblico che dentro l'industria.

Titanic (1997): Kate Winslet, Leonardo DiCaprio
Va notato, infatti, che tutti gli altri pluricandidati di questa edizione, togliendo Dune, risultano sbilanciati sulla qualità, essendo stati dei flop (talora sanguinosi) ai botteghini di mezzo mondo, da West Side Story (il quale, a fronte di sette candidature, finirà probabilmente per accaparrarsi soltanto il premio alla miglior attrice non protagonista, blindato da mesi sul nome di Ariana DeBose) a La fiera delle illusioni – Nightmare Alley e Belfast (il primo con quattro e il secondo con sette nomination ottenute, ma entrambi destinati a restare a mani vuote, almeno stando alle previsioni).

West Side Story (2021): Ariana DeBose, Ricky Alvarez
È forse da imputare al COVID la colpa di queste scellerate débâcle in sala? A onor del vero, come spesso è stato detto, la pandemia ha soltanto accelerato un processo che già era in atto da un po' di anni; un processo che sta spingendo una nutrita di schiera di autori un tempo leader – o quantomeno abbastanza rodati – al box office a migrare sulle piattaforme per vedere finanziati e/o distribuiti i loro progetti: si pensi a Guillermo del Toro (regista di Nightmare Alley) e al suo Pinocchio di futura uscita per Netflix; ma l'elenco, in effetti, potrebbe essere sterminato (dal Noah Baumbach di Storia di un matrimonio al Martin Scorsese di The Irishman e del prossimo Killers of the Flower Moon, che sarà rilasciato su Apple TV+).

The Irishman (2019): Al Pacino
Recentemente, in occasione dell'uscita di The Tender Bar, Ben Affleck ha ipotizzato in un'intervista che se il suo Argo uscisse oggi, all'interno di uno scenario rivoluzionato dallo streaming e ormai dominato dai colossi dell'entertainment, magari arriverebbe comunque agli Oscar ma senza passare per la sala (e fu soltanto dieci anni fa che Argo vinse come miglior film dopo un incasso di quasi duecento milioni e mezzo di dollari). Quanto avrebbe racimolato se fosse uscito anche solo nel 2019? Fatto sta che The Tender Bar, diretto da George Clooney e piazzato direttamente su Prime Video, agli Oscar del 2022 non ci è arrivato. Pur essendo, peraltro, un perfetto (e godibile) Oscar movie, cioé un film orchestrato anche (non solo) in ottica premi. È dunque evidente che c'è qualcosa che non funziona (più) come dovrebbe.

The Tender Bar (2021): Ben Affleck, Tye Sheridan
Il vero nuovo Argo è certamente Don't Look Up: se fosse uscito dieci anni fa, con un cast di tale richiamo e fama avrebbe (forse) raggranellato anche più del film di Affleck. E sarebbe approdato in sala, naturalmente. Le quattro nomination della satira politically incorrect di Adam McKay sono però destinate inesorabilmente ad andare a vuoto, in quanto dettate più dal rimbalzo social che da un autentico interesse in sede critica (almeno sul suolo americano, dove il film ha ricevuto opinioni contrastanti). E questo dice molto: da un lato gli "esperti" che mostrano ritrosia, dall'altra i "comuni mortali" che invece apprezzano.

Don't Look Up (2021): Jonah Hill, Paul Guilfoyle, Mark Rylance, Meryl Streep
Parrebbe già scritta su pietra la vittoria di Will Smith come miglior attore, dopo un paio di candidature cadute nel nulla (clamoroso soprattutto il fallimento della seconda, per La ricerca della felicità). Ma il bruttarello Una famiglia vincente – King Richard elargisce a Smith un ruolo da protagonista che sembra assemblato appositamente per questo scopo (anche in maniera irritante e pedante, seguendo tutti i trucchetti del caso: imbruttimento facciale, umiliazioni varie, riscatto personale all'americana). Uno qualunque, scelto a caso, dei quattro interpreti che condividono la cinquina con lui può papparsi la sua performance a occhi chiusi.

Una famiglia vincente - King Richard (2021): Will Smith, Saniyya Sidney
Effettivamente, anche Jessica Chastain (che dovrebbe ottenere il premio per la miglior attrice per Gli occhi di Tammy Faye) si mostrifica ad hoc, ma lei almeno lo fa con sontuosa classe e con un trucco – fra protesi e chiome cotonate – che è anch'esso, salvo sorprese, già da Oscar.

Gli occhi di Tammy Faye (2021): Jessica Chastain
Giochi fatti (e non certo da poco tempo) anche per la miglior canzone originale (a No Time to Die dall'omonimo 007, che ha goduto di un anno di vantaggio sui contender a causa del ritardo dell'uscita del film per il virus) e per il miglior film d'animazione (a Encanto, quarto classico disneyano che arrivi a far sua la statuetta), con buona pace del valente Luca della Pixar che avrebbe mantenuto vivo un minimo di patriottismo italiano (seppur filtrato dagli States).

Encanto (2021): scena
Alla fine, un suo margine di manovra se lo è ritagliato persino Paul Thomas Anderson, che dopo un faccia a faccia estenuante con Belfast è dato adesso per favorito per il premio alla migliore sceneggiatura originale (per Licorice Pizza, nominato anche per il miglior film e la miglior regia). In totale, Anderson ha ricevuto finora ben undici candidature in carriera: dopo venticinque anni di cinema a livelli eccelsi, sarebbe anche ora che qualcosina gli venga finalmente riconosciuto.

Licorice Pizza (2021): Alana Haim, Cooper Hoffman
Ma chi sarà ad accaparrarsi la statuetta più "pesante", ovvero quella per il miglior film? Se Il potere del cane, anche complice il maggior numero di nomination dell'edizione (dodici), dominava i pronostici ormai da mesi (e l'Oscar a Jane Campion per la regia in realtà continua ad essere il più scontato), nelle ultime settimane si è fatto largo quatto quatto – tenendo anche conto che è un film incentrato sulla sordità – il quasi sconosciuto CODA – I segni del cuore, che avrebbe al momento uno spazio di possibile vittoria piuttosto ampio. Come si spiega una così imprevista e rapida fluttuazione?

Il potere del cane (2021): Benedict Cumberbatch, Kodi Smit-McPhee
In proposito, è utile far presente che il meccanismo di elezione del miglior film è differente da quello utilizzato per le altre categorie di candidatura, perché fa capo alla stesura di una classifica anziché a una scelta secca: i giurati sono tenuti a elencare i dieci titoli nominati in ordine di preferenza. Quando si procede allo spoglio, le varie schede vengono poi impilate in base al film che risulta inserito nella prima posizione di ognuna di esse. Per la vittoria finale è previsto un quorum del 50% del votanti, che al primo conteggio, solitamente, non viene mai raggiunto. Un secondo conteggio avviene redistribuendo le schede della pila più bassa (cioè quella del film che è stato meno selezionato come primo preferito fra i dieci) in cima alle altre pile, ma facendo riferimento, questa volta, al secondo classificato di ogni lista. E così via per gli eventuali conteggi successivi. Ciò significa che il film più votato come secondo preferito potrebbe arrivare a spuntarla su quello più votato come preferito in assoluto. Si tratta, chiaramente, di un metodo approntato per far sì che il consenso attorno al titolo vincitore sia il più largo raggiungibile. Va da sé che il miglior film non è quello più apprezzato, ma quello che mette d'accordo il maggior numero di giurati. Ed è stata proprio questa la dinamica di voto che l'anno scorso ha incoronato il "mezzano" Nomadland rispetto a prodotti di pregio più elevato come Il processo ai Chicago 7 o The Father – Nulla è come sembra.

Nomadland (2020): Frances McDormand
E il semi-indipendente CODA, remake agrodolce del francese La famiglia Bélier (il che lo rende, editorialmente parlando, un usato sicuro), incarna perfettamente un certo tipo di cinema medio alla Sundance realizzato con tre spicci e buone idee che fa contenta l'Academy da sempre, capace di fondere lacrima e sorriso e di farsi piacere davvero da chiunque (ma senza esagerare, perché è l'unico modo per trovare una quadra conciliante, come si è detto). Questa rimonta, secondo i pronostici, dovrebbe produrre un effetto cascata che porterebbe il film a vincere anche per la migliore sceneggiatura non originale e per il miglior attore non protagonista (al non udente Troy Kotsur), due gironi "braccati" fino all'altro ieri dal film della Campion (il secondo da Kodi Smit-McPhee).

I segni del cuore - CODA (2020): Emilia Jones, Ferdia Walsh-Peelo
Si aggiunga che spesso – non sempre, ma spesso – il criterio di attribuzione finale delle preferenze è di natura emotiva: ai primi posti delle liste dei giurati finiscono i film che hanno saputo catalizzare di più il dibattito (specie su temi caldi, su tutti le minoranze discriminate) e suscitare più commozione o divertimento. In certi casi conta molto la sapienza promozionale (costruita nell'arco di mesi) o la sua assenza, in altri le circostanze contingenti (che possono dar vita a rimescolamenti inattesi in extremis): tanto per fare un esempio, il cammino di È stata la mano di Dio appena dopo il Festival di Venezia si è ridotto praticamente al grado zero, sia per la scarsa attitudine nazionale a campagne di questo tipo, sia perché ineluttabilmente soppiantato dall'onda orientaleggiante (post-Parasite) del nipponico Drive My Car, candidato addirittura come miglior film, miglior regia e migliore sceneggiatura adattata e già col premio per il miglior film internazionale in saccoccia, ma premiato a Cannes all'incirca due mesi prima di Paolo Sorrentino. La tempistica è perciò relativa: è più determinante il clima (o il mood, come oggi si dice) del momento e la sua capacità di attecchire o meno sul lungo periodo.

Drive My Car (2021): Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura
Tutto è dunque già assegnato, con un uso terra terra dell'intramontabile manuale Cencelli. Vincono tutti, non vince nessuno. È ormai l'andazzo di tutte le edizioni degli Oscar dell'ultimo decennio. Ma gli Oscar non fungono soltanto da cartina di tornasole delle condizioni di salute (o di malattia, a seconda dei periodi e dei punti di vista) del sistema hollywoodiano. Dovrebbero anche fungere da indicazione della traiettoria di quel sistema verso il futuro. Una traiettoria che, ahinoi, è venuta drammaticamente a mancare proprio con gli anni Duemiladieci. Già l'Oscar a 12 anni schiavo scippato al ben più lanciato Gravity (per correttezza politica scambiata come elemento di ecumenismo?) suggeriva un certo disorientamento (per non parlare della statuetta a Il caso Spotlight quando in lizza c'era proprio il succitato Mad Max: Fury Road), ma il colpo di scena che ha visto premiare l'ignoto Moonlight al posto dell'adorabile e trasversale La La Land, con un'emblematica busta sbagliata che ha fatto storia e che parla da sé, è stata la più inquetante testimonianza di uno scollamento fra industria e pubblico, con la prima che fatica a (ri)creare un'immagine di sé che si allinei al dinamismo del secondo, in un periodo segnato da fortissimi moti di riassetto strutturale.

Gravity (2013): George Clooney
Perché l'Academy candida uno stanco biopic vecchia risma come King Richard anziché un fumettone fresco e intelligente come Eternals? Perché dà l'Oscar a un attore in declino da svariate ere geologiche come Smith e non a due interpreti di personaggi amatissimi dai più giovani che si sono distinti in ruoli per loro atipici come Andrew Garfield in Tick, Tick... Boom! e Benedict Cumberbatch ne Il potere del cane? Perché consegna la statuetta alla pur brava Chastain quando può aprirsi a 360 gradi con Kristen Stewart (nominata per Spencer)? Per quale (insulso) motivo, pur avendo l'occasione d'oro di stendere un ponte indispensabile verso le nuove generazioni di spettatori (quelle che guardano i cinecomic e le grandi saghe e che in questo modo amplierebbero i loro sguardi nella selezione delle visioni) si rifugia in un conservatorismo sfiatato e pernicioso?

Eternals (2021): Lia McHugh, Barry Keoghan, Kumail Nanjiani, Brian Tyree Henry, Gemma Chan, Richard Madden, Harish Patel
Se è risibile che appena tre anni fa fosse stato nominato Black Panther e non il più appetibile Avengers: Infinity War (ma anche la vittoria di Renée Zellweger per Judy, attrice peraltro già premiata in precedenza e riesumata pure lei dall'oblio in cui è tornata appena dopo, la quale ha scalzato la Scarlett Johansson di Storia di un matrimonio nell'edizione 2020, non può che lasciare tutt'ora perplessi, come anche il mancato riconoscimento postumo a Chadwick Boseman dell'anno scorso a favore di Anthony Hopkins, un veterano che non ha nulla da dimostrare), l'ormai plausibile vittoria de I segni del cuore non solo non lascerebbe alcuna traccia, ma più che altro, per ciò che è stato detto, sprecherebbe la preziosa opportunità di premiare Dune come miglior film. Preziosa perché gli Oscar sono prima di tutto una trasmissione televisiva, la quale, guarda caso, è in crisi di ascolti da quell'infausto 2017 che strappò la statuetta a La La Land.

Storia di un matrimonio (2019): Scarlett Johansson
Il succo? Se Hollywood ci tiene ad avere un avvenire, dovrebbe tirare fuori il coraggio di ripartire proprio dagli Oscar. E dalle categorie di nomination già esistenti. Non certo attraverso l'ipocrita istituzione di un premio al miglior film popolare eletto mediante Twitter, sintomo di un caos che non accenna a diminuire (dovrebbe già essere il vincitore dell'Oscar al miglior film il film più popolare, ma evidentemente così non è). Ricordiamoci che nell'anno di Taxi Driver e di Tutti gli uomini del presidente (1977), vinse Rocky e fu giusto così, perché era il film più popolare. E nell'anno di Pulp Fiction e di Le ali della libertà (1995), a vincere fu Forrest Gump e tutti furono contenti (la massa, non i cinefili), perché era il film più popolare ed era giusto che vincesse.

Rocky (1976): Sylvester Stallone
In questo senso, la storica cerimonia degli Academy Awards, da asfittico party di autocelebrazione rivolto perlopiù all'industria stessa e a nicchie di appassionati di cinema, dovrebbe tornare a svolgere un ruolo attivo: quello di finestra privilegiata di dialogo col grande pubblico. Più un augurio, forse, che un vero orizzonte praticabile (vista anche la vergognosa ma eloquente esclusione di alcune categorie di premiazione dalla cerimonia in diretta, paventata già nel 2020 ma allora ritirata per le proteste). Tuttavia, un pizzico di rinnovata lungimiranza non guasterebbe. Anche perché, sebbene i detrattori che da sempre snobbano gli Oscar vi vorrebbero far credere il contrario, soffrirebbero anche loro come cani se Hollywood morisse davvero per deperimento, come qualunque cinefilo degno di questo nome.

La La Land (2016): Ryan Gosling, Emma Stone
Upgrade del 28 marzo 2022 (a cerimonia avvenuta)
Alla fine, tutto è andato esattamente secondo le previsioni. Unica differenza, la vittoria di Kenneth Branagh per la miglior sceneggiatura di Belfast anziché di Anderson. Lo scenario che quindi si prospetta non cambia di una virgola le riflessioni della vigilia.
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Che analisi straordinaria. Ti faccio davvero i miei più vivi complimenti. Faccio mie molte delle osservazioni puntuali che hai brillantemente fatto.
Francamente non so cosa pensare. Io credo che, a causa dell'incapacità dell'industria statunitense contemporanea di tirar fuori prodotti commerciali con un minimo di valore artistico (di cui King Richard è solo l'ultimo rappresentante), negli ultimi dieci anni l'Academy abbia preferito premiare 'film da festival' o comunque film di impronta più smaccatamente autoriale, in considerazione anche della tradizionale ostilità riservata ai cinecomics, nominati sempre col contagocce e sempre e solo in sparute categorie tecniche. Un film come "The Artist", trionfatore nel 2012, non avrebbe mai vinto appena dieci anni prima. "La forma dell'acqua", trionfatore nel 2018, non avrebbe mai vinto appena dieci anni prima. "Parasite", nel 2020, è stato la prima Palma d'Oro a vincere l'Oscar a miglior film dai tempi di "Marty, vita di un timido" (1955). "Nomadland" ha vinto il Leone d'Oro a Venezia e, poi, l'Oscar.
La crisi degli Oscar è figlia - oltreché dell'incapacità di destreggiarsi con l'ambiente social, vedi anche la recente ed idiota decisione di escludere alcuni premi dalla cerimonia televisiva - della crisi profonda del cinema medio americano, incapace di coniugare autorialità ed intrattenimento. Questo ha portato a vittorie che potevano andar bene in contesti diversi da quelli accademici (confronta l'albo d'oro degli Oscar con quello degli Independent Spirit Awards: negli ultimi dieci anni convergono in maniera incredibile come mai accaduto prima) ma che hanno finito per scontentare tanto il pubblico generalista che non ha premiato al botteghino i film vittoriosi (vedi l'esiguo incasso di "Il caso Spotlight") quanto il pubblico cinefilo più esigente che ha sempre avuto da ridire: vince "La forma dell'acqua"? Doveva vincere "Il filo nascosto"! Vince "Parasite"? Doveva vincere "The Irishman"! Vince "Birdman"? Doveva vincere "Grand Budapest Hotel!" Ora, i cinefili si sono sempre lamentati degli Oscar (anche giustamente da una certa ottica, soprattutto per gli errori clamorosi degli anni Novanta, dovuti anche allo strapotere Weinstein) ma almeno il pubblico generalista accorreva a vedere i film premiati, aspettando l'esito degli Oscar con spasmodica attesa. Oggi si assiste ad ad una sorta di ritrosia trasversale - tanto dei cinefili quanto dei generalisti - nei confronti della cerimonia, percepita come svilente dell'arte, autocelebrativa ed incapace di tributare i giusti meriti. L'immagine degli Oscar non ha sulla massa la stessa forza attrattiva di un tempo.
Soluzioni? Non ne ho. Una nuova generazione di artisti capaci di incidere nell'immaginario collettivo con grande forza artistica ed autoriale. Ma come fa questa presunta generazione ad incidere se il cinema - inteso come sala cinematografica - sia sempre meno presente nell'immaginario collettivo? E' da qui che bisogna ripartire, rimettendo la Sala al centro del tessuto urbano. Bisogna ripartire dall'abitudine di frequentare il cinema - non solo per i cinecomics, la maggior parte dei quali modesti e giustamente ignorati dall'Academy. Ma come si fa a rendere l'esperienza della sala attrattiva come un tempo? Migliorare le sale? Educare gli spettatori inserendo l'insegnamento del cinema nelle scuole? Realizzare trasmissioni televisive di divulgazione cinematografica che facciano leva anche sull'importanza di una fruizione corretta? Non ho risposte certe ma è da qui che bisogna ripartire: dalla condivisione di un'esperienza collettiva insieme ad estranei nel buio di una sala
Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti iniziali! :-)
In effetti in questi anni è proprio l'intero sistema-cinema che sta cercando di riorganizzarsi strutturalmente, per provare a sopravvivere in contesti nuovi ma soprattutto per provare a sopravvivere all'interno di una società nella quale il cinema, come ben ricordi anche tu, ha perso la sua importanza aggregante e penetrante. E il movimento che si delinea è quello, appunto, verso un gusto MEZZANO, come io l'ho chiamato. Una via di mezzo che in linea teorica sia capace di tenere unito un pubblico più appassionato ad un altro più avvezzo al mainstream. E questo movimento, ribadisco, è di TUTTO il sistema-cinema, perché se gli Oscar hanno cercato di spostarsi su un terreno più autoriale, d'altro canto hanno ricevuto una sicura sponda da una Mostra di Venezia che ha iniziato a includere nel proprio concorso (e fuori concorso) una gran quantità di cinema hollywoodiano di vocazione più "artistica", moltiplicando in tal modo i biglietti staccati (come a dire che la grana c'entra sempre, checché ne si dica). E ciò che ne esce è per l'appunto un compromesso un po' fumoso, che talora ha fatto centro (vedi "Joker"), ma più spesso ha floppato terribilmente (il caso "Nomadland" su tutti, ma anche "La La Land", snobbato dagli Oscar nel momento clou). Storicamente, gli Oscar sono sempre stati un bersaglio privilegiato dell'ambiente cinefilo più edotto, proprio perché Hollywood è sempre stata un'industria di sapore imperialistico (in quanto americana) che li ha sempre utilizzati (giustamente) come strumento di propaganda del proprio immaginario (un immaginario pop per definizione). Secondo il sottoscritto, i cinefili di oggi che si lamentano che non vince "Il filo nascosto" non capiscono nulla di ciò che gli Oscar dovrebbero essere. Per non parlare di quelli che continuano a lamentarsi che "Forrest Gump" trionfò su "Pulp Fiction" (questa cosa l'ho aggiunta ora anche al post). Anche a me piacerebbe se quest'anno vincesse "West Side Story", ma di certo non mi incazzo se non vince, perché so che non avrebbe mai vinto nemmeno in un universo parallelo. Inseguire i cinefili è un errore, perché i cinefili sono sempre stati una nicchia e continuano ad esserlo ancora oggi. Più che altro, rispetto al passato, esistono molte più persone che CREDONO di essere cinefili perché sono dei fan della Marvel o dei blockbuster, ma è tutta gente che fa parte della massa e che infatti gioirebbe di fronte alla vittoria di "Dune", non certo de "Il potere del cane" o de "I segni del cuore" (il quale, pur essendo un prodottino che va bene per tutti i palati, è comunque una robetta sconosciuta, dunque anti-popolare). Concordo con te che il centro di propulsione da cui ripartire dovrebbe essere proprio la sala. Ma se anche le major che hanno sempre campato sulla sala si mettono a fondare le loro piattaforme di streaming in cui piazzare contenuti "ghiotti" in contemporanea all'uscita nei cinema (come per "Dune" in America) o addirittura facendoli uscire solo lì (come è stato per gli ultimi Pixar in tutto il mondo) vuol dire che finiscono per contare SOLO i soldi. E chissenefrega della sala. Ovvero: si prospettano tempi bui. Ma speriamo che i fatti ci smentiscano. E speriamo che gli Oscar ritornino ad avere la loro funzione popolare (per davvero).
Condivido tutto. C'è anche da dire che la pandemia abbia sfalsato molte carte, soprattutto sul fronte dell'uscita contemporanea streaming-sala che mi auguro che in futuro, con la situazione sanitaria rientrata, possa essere adottata solo per film minori e non per kolossal come Dune che necessitano della sala.
La vittoria del modestissimo CODA, film medio sotto le mentite spoglie del cinema indipendente, forse segnerà il ritorno dell'Academy al passato, con statuette pesanti assegnate a film modesti ma di grande impatto commerciale sul pubblico, sulla scia dei vari A spasso con Daisy, Il discorso del Re, Chicago, Shakespeare in love, Green Book, The Millionaire etc. etc. Con la differenza - molto avvilente - che CODA non valga 1/10 di questi titoli che riuscivano a proporre un cinema 'facile' ad uso e consumo del pubblico generalista. Ma quantomeno era cinema, commerciale nel senso deteriore del termine, ma cinema. CODA, per quanto mi riguarda, non è nemmeno cinema, è pura televisione, è Disney Channel. King Richard, nella sua mediocrità che proseguiva la tradizione summenzionata, è meglio di CODA. Belfast, pellicola mediocre e ruffiana che prova a fare cinema in maniera furba, è meglio di CODA. Ha vinto il peggior film tra quelli nominati. Avesse vinto Don't look up, migliore di Belfast, King Richard e CODA ma nettamente inferiore a tutti gli altri, non avrei avuto nulla da ridire, sarebbe stato il giusto compromesso. Evidentemente la produzione Netflix continua ad essere un'onta che l'Academy non perdona (come si è visto con Il potere del cane e, nel passato, con The Irishman, Roma, etc.). Ma da qui a preferire CODA, ce ne passa. La combinazione Branagh-Heder come migliori sceneggiatori credo sia tra le peggiori di sempre, considerati i titoli con cui rivaleggiavano (The Lost Daughter ammetto di non averlo visto). Come si fa a non premiare PTA o quantomeno Jane Campion? Ma anche se avessero vinto gli sceneggiatori di Dune (che hanno fatto un lavoro pazzesco, considerando la natura storicamente 'infilmabile' del romanzo di Herbert), sarei stato contento.
Sono delusissimo da questa edizione, persino peggio dell'anno scorso: l'anno scorso la qualità media era bassa (da 5-6) ed hanno vinto i titoli più accettabili (da 7 diciamo), quest'anno la qualità media era medio-alta (da 8-9) ed hanno vinto i titoli peggiori (da 4-5). La vittoria di Encanto come miglior film d'animazione, poi, è l'ennesima conferma di quanto non abbia senso questa categoria agli Oscar: vincono sempre Disney o Pixar, anche con titoli modesti (come Encanto o due anni fa Toy Story 4), tanto vale toglierla direttamente.
Sono contento per Ariana Debose, Jane Campion come miglior regista, Hans Zimmer che torna a vincere a 30 anni da Il re leone e per i premi tecnici a Dune: sul resto stendiamo un velo pietoso. Riuscire a premiare opere ampiamente sotto la sufficienza in un'annata tutto sommato quasi ottima era davvero difficile. Ma ce l'hanno fatta. Mi auguro quantomeno che il pubblico generalista apprezzi CODA e ripaghi l'Academy. Altrimenti la crisi continuerà e rischierà di divenire irreversibile.
Esatto, alla fine è andata ESATTAMENTE secondo i pronostici, a parte Branagh al posto di Anderson per la sceneggiatura. Io la vedo brutta. Se "Dune" fosse uscito una ventina di anni fa avrebbe vinto tutti premi più importanti E ANCHE quelli tecnici, non solo i secondi. Idem per "Mad Max: Fury Road" e "Gravity". Se poi l'obiettivo di premiare CODA era quello di dargliela sui denti a Netflix, direi che è fallito perché la Campion miglior regista è sempre Netflix e CODA è sempre streaming (Apple TV+). Ribadisco quanto ho scritto nel post: conta l'impeto emotivo suscitato dal politicamente corretto. CODA ha vinto perché è un film pieno di cuore che parla di una categoria di "diversi" (i sordi). Che il film sia popolare o meno non conta più nulla: vedi "Nomadland" l'anno scorso che ha vinto per pura inerzia interna al sistema (non incassando una mazza e senza alcun background dalla massa). Il COVID ha certamente falsato le carte, questo è vero. Ma proprio per questo premiare "Dune" sarebbe stato il miglior orizzonte immaginabile, perché avrebbe dato un segnale molto forte a favore della sala. E poi, appunto, la beffa: il premio come miglior film non solo va allo streaming, ma nemmeno a quello d'autore. Per me CODA non è così deteriore, è comunque un buon prodotto ("King Richard" è per me peggiore), ma la qualità conta poco; conta di più il messaggio che ne esce, come dicevamo. Il problema, a differenza dei vari "Il discorso del re" e "The Millionaire", è che l'impatto commerciale e popolare di un film uscito in streaming non è misurabile in maniera secca e precisa. Certo è che CODA in America era sconosciuto fino a ieri e in Italia lo resterà anche domani.
Ho letto anche io queste previsioni. Spero siano per lo più toppate, anche se di solito quando siamo alla vigilia della premiazione gli scostamenti diventano minimi.
Edizione fiacca, senza assi pigliatutto, quantunque non manchino opere di alto profilo (per il sottoscritto Spielberg e Anderson su tutti, con "Drive my car" che gioca su un altro campo), che però rischiano di portare a casa solo qualche contentino.
A questo punto, neanche mi rovino il sonno, tanto più che non ho nemmeno un tifo specifico, aspetto che, in altre annate, mi aveva spinto a trascorrere la notte attaccato a Sky.
:)
Io ho rinunciato a vederli in diretta proprio a partire da quell'edizione del 2017 da cui ancora devo riprendermi. Diciamo anche che faccio fatica a restare sveglio per tutta la nottata, ma di fronte a un'edizione come questa non vale proprio la pena, se non magari per il buon Gianni Canova che è sempre un piacere ascoltare. Tiferò per Spielberg anch'io, ma la vedo dura. Grazie per il passaggio Daniele! :-)
Alla fine, era tutto scritto.
;-)
E abbiamo fatto bene a non perdere il sonno!
:)
Esattattamente (putroppo)...
Io non ci perdo più il sonno dalla giovinezza. Meglio dormire che guardare sta gran baraccata.
:-D
Mi accodo (a proposito di CODA) alla tua disillusione... ;-)
:-D
Il fatto è che stamattina ero convinto di leggere sui social chi aveva vinto sti benedetti ferma carte perché la curiosità è umana e invece ovunque si legge di schiaffi e insulti. Una buffonata sia che il siparietto faccia parte della sceneggiatura o che sia improvvisazione dell'attore. Ma per l'audience siamo proprio disposti a tutto? Buste sbagliate, schiaffi... L'anno prossimo cosa?
Chi presenterà l'hanno prossimo chiederà l'assicurazione?
:-D
Per quanto mi riguarda, lo schiaffo in diretta è l'ennesimo sintomo di un sistema in crisi che non sa (più) come reazionarsi con l'esterno, che si tratti di uno show dove fa brodo anche il trash o di premi che ormai sono fuori dal mondo. Smith e sua moglie non fanno più parte di quelli ambienti della Hollywood chic da una quindicina d'anni e quella battutina offensiva, se spontanea, non stupisce. Ma la sonora contraddizione è che la stessa Academy che umilia Smith in diretta (dandogli lo spunto per mettersi in ridicolo col cazzottone) è quella che intanto lo premia come miglior attore. Se invece è un episodio preparato, la sostanza in realtà non cambia: da un lato cerchi l'audience con bassezze di questo genere, dall'altra lo allontani snobbando la Stewart, Cumberbatch, Garfield e "Dune".
ATTIVAZIONE MODALITA’ “CINEFILO SNOB”:
Comunque, dai, c’è poco da aspettarsi dagli Oscar.
Ce, voglio dire, la cerimonia degli Oscar, signore e signori, ovvero quella particolare conventicola di amici, amichette e amiconi presso la quale, tra le altre cose, può vincere il premio al miglior film d’animazione Wallace & Gromit in una competizione con La sposa cadavere e Il castello errante di Howl; dove può vincerlo Frozen – e dico Frozen!!!!!! – in una competizione comprendente Si alza il vento…
Ma che “davero” ci facciamo illusioni che sia riformabile ‘na roba del genere?
(Inutile forse aggiungere che Encanto sta al meglio del cinema d'animazione un po' come Berlusconi all'incensuratezza).
Ti cito anche "Zootropolis" che ha vinto quando c'erano candidati anche "La mia vita da Zucchina" e "La tartaruga rossa", ma il punto non è questo. Gli Oscar andrebbero ripensati NON in un senso più cinefilo, ma in un senso più popolare. In linea di massima non esistono premi DAVVERO in grado di essere meritevoli, ma in genere quel ruolo dovrebbe spettare ai festival. Gli Oscar sono altro. La boiata di CODA miglior film è uno schiaffo (tanto per citare una parola simbolo di questi Oscar) al grande pubblico, che è quello che dovrebbe contare. Ma la "reputazione" popolare degli Oscar non si costruisce candidando "Spider-Man", ma facendo in modo che un film come "Spider-Man" sia più artistico. La via di mezzo è sempre la via migliore, ma deve essere quella ad averla vinta. Anche far vincere "Parasite" e non "Joker" è stato un errore. Era anche quella un'occasione d'oro. Gli Oscar dovrebbero funzionare da baluardo della propaganda hollywoodiana sul proprio cinema di maggiore qualità & quantità. E le due cose DEVONO andare a braccetto.
"Encanto" è il classico film medio, che a differenza di CODA ha avuto un gran successo popolare e che quindi ha meritato l'Oscar per questo. Di certo non è il meglio, ma un suo livello di qualità ce l'ha, non è una merda inclassificabile. Se CODA avesse avuto un successo esorbitante (come all'epoca "Little Miss Sunshine", anch'esso uscito dal Sundance), avrei fatto meno storie, perché si tratta sempre di film medi, con una loro qualità (accessibile). Ma così non è stato: CODA è un film sconosciuto arrivato agli Oscar per vie traverse (e inspiegabili).
No, ma infatti avevo capito il punto del tuo discorso: il mio voleva essere un “alleggerimento” ironico un po’ fuori contesto (perché mi diverto sempre a “irridere” dei premi così asfitticamente anglo-centrici che manco si capisce fino in fondo che minchia dovrebbe fregarcene oltre un certo punto… :)).
Semplicemente, riprendendo il tuo tema, non credo che si otterrebbe chissà che miglioramento: è sufficiente guardare quali sono stati, negli ultimi anni, i film più esaltati dal grande pubblico, quelli che hanno incassato di più senza esser reputati le schifezze che sono o i film al più medi-mediocri che sono: No Way Home; la trilogia sequel di Star Wars; Frozen I e II; Joker; Il re leone rifatto “dal vero”; Far From Home; Toy Story 4; Aladdin; Avengers: Endgame/Infinity War; Captain Marvel; Aquaman…
E se non vogliamo limitarci agli incassi miliardari, beh, diamo un’occhiata a quali film hanno fatto più parlare di sé: l’obbrobrioso Zack Snyder’s Justice League; Sonic: il film; Nomadland; Venom; Godzilla vs. Kong; A Quiet Place; Old di Shyamalan…
Ce ne fosse uno… e questo giusto per rimanere strettamente nell’ambito del mainstream, della “serie A”, perché sennò saremmo pure costretti a citare robe tipo 365 giorni.
In sostanza non c’è più praticamente (quasi) alcun collegamento tra “quantità” e “qualità” come poteva appunto ancora esserci ai tempi di Titanic o del Cavaliere oscuro.
Di fronte a ciò degli Oscar ancor più “popolari” significherebbero banalmente un “sanzionamento” di un calo di qualità e gusti irrimediabile tramite una cerimonia di premiazione. In altre parole: non è, ho idea, possibile “rendere più artistico uno Spider-Man”, tantomeno tramite dei premi, perché è proprio il cinema d’intrattenimento hollywoodiano in quanto tale ad essere in nerissima crisi e quello supereroico in particolare ad essere in stato ormai pressoché vegetativo (dal lato qualitativo).
E’ una cosa che andrebbe risolta a livello di pubblico (cosa impossibile, almeno di non cambiare l’idea e la considerazione del cinema [e della cultura] che ha una buona parte di esso) e produttivo (eventualità fortemente improbabile, vista la propensione al rischio ormai zero, o sottozero causa anche pandemia e calo di afflussi nelle sale). Quindi via di seguiti, prequel, remake, film presi da videogame ecc. che hanno quasi tutti una cosa in comune: pochissimo rischio, buon successo, qualità bassina/bassissima.
Mi accodo alle vostre riflessioni e sottolineo che i premi che contano per davvero nel mondo dell'animazione siano altri e non gli Oscar, dove la spunta quasi sempre il prodotto Disney o Pixar, indipendentemente dalla qualità.
Il punto è che, in 94 anni di storia, è normale che vi siano edizioni in cui i riconoscimenti siano giusti ed altre in cui siano sbagliati. Se è vero che l’Academy spesso abbia sbagliato (Il più grande spettacolo del mondo vinse, Marty vita di un timido vinse, Il giro del mondo in 80 giorni vinse, Oliver! vinse, Gandhi vinse, Voglia di tenerezza vinse, La mia Africa vinse, Rain Man vinse, A spasso con Daisy vinse, Il paziente inglese vinse, Shakespeare in love vinse, A beautiful mind vinse, Chicago vinse, The Millionaire vinse, Il discorso del re vinse, Green Book vinse), è altrettanto vero che spesso ci abbia visto giusto: Accadde una notte vinse, Rebecca vinse (con tanto di miglior regia a John Ford per il capolavoro Furore), Casablanca vinse, Giorni perduti vinse, Eva contro Eva vinse (non è colpa di nessuno se quello fosse anche l'anno di Viale del tramonto), Fronte del porto vinse (non è colpa di nessuno se quello fosse anche l’anno di La finestra sul cortile), West Side Story 1961 vinse, Lawrence d’Arabia vinse, i due Padrini vinsero, Qualcuno volo sul nido del cuculo vinse, Io e Annie vinse, Il cacciatore vinse, Amadeus vinse, Balla coi lupi vinse, Il silenzio degli innocenti vinse, Gli spietati vinse, Schindler’s list vinse, Il Signore degli Anelli Il Ritorno del Re vinse, Million Dollar Baby vinse, The Departed vinse, Non è un paese per vecchi vinse, The Hurt Locker vinse, The Artist vinse, Parasite vinse, etc. etc.
Il dramma in tutto questo - e mi riallaccio a quanto detto da IlGranCinematografo - è che CODA rischi di diventare il peggior film di sempre ad aver vinto l'Oscar considerati soprattutto i rivali immensamente più meritevoli contro cui gareggiava. E sbagliare in era pandemica - in cui l'esercizio cinematografico è sempre più in crisi, lo streaming legale ed illegale dilaga sempre di più, l'home video è sempre più di nicchia e le serie tv fanno sempre più credere agli spettatori generalisti che l'unica cosa che conti nell'audiovisivo sia la trama - rischia di diventare deleterio.
@ilcausticocinefilo Infatti la crisi degli Oscar è il riflesso della crisi di Hollywood. Il divario fra CODA e parecchi degli altri nominati era netto proprio per la mancanza di una via di mezzo. Già "Dune", coi tempi che corrono, è addirittura stato recepito da molti "profani" come lento, noioso, troppo lungo, inadatto ai tempi, eccetera, ma era obiettivamente l'unico possibile candidato a garantire di uscirne con le ossa integre, essendo stato un successo di incassi. Se però pensiamo che "Fast & Furious 9" ha incassato quasi il doppio di "Dune", ovvio che viene da mettersi le mani nei capelli. Ma l'unica possibile scommessa per la Hollywood del futuro è proprio nei film alla "Dune", ovvero nei blockbuster d'autore. Non certo in "Spider-Man", dunque, ma in "Guardiani della galassia" magari sì.
@Alvy Concordo pienamente con tutto ciò che dici. Personalmente non ho nulla contro CODA, lo ripeto, è un filmettino comunque simpatico, ma obiettivamente è vergognoso che possa essere arrivato anche solo in nomination, figurarsi che abbia vinto. Anche tutti i film che hai citato come "errori" (come "Voglia di tenerezza" o "Rain Man") furono errori solo fino a un certo punto, perché da un lato erano comunque dei film di ambizione nobile, dall'altro comunque all'epoca furono tutti enormemente popolari. CODA è un prodotto streaming ignoto a tutti, senza NULLA di popolare e NULLA d'autore, arrivato a vincere solo perché ormai l'Academy è convinta che i film popolari siano quelli politicamente corretti e capaci di aprire la mente sui temi progressisti del momento, ovvero le minoranze discriminate. Guai a premiare dei film DAVVERO progressisti come "Don't Look Up" o "West Side Story". L'importante è che la baracca vada avanti sui sentimenti superficiali. Ma il pezzo che è andato perso è proprio quello del rapporto con il pubblico: la gente che guarda da casa e che magari non è appassionata di cinema ma i film di richiamo li vede non è mica stupida. E infatti ha abbandonato la nave dopo aver capito che non premiare "La La Land" o "Joker" è stata una buffonata.
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