Partiamo dalla musica. Nei primi ‘70 l’esplosione del prog rock italiano (tardivo e derivativo rispetto al genere anglosassone, ma non privo di divagazioni e personalismi stimolanti) è patrimonio di una nicchia culturale prima ancora che commerciale. Certo, la PFM è in rampa di lancio per il successo internazionale, ma il sottobosco pullula di decine di band pittoresche, in bilico tra neo-cantautorato, barocchismo e sperimentazione. Hanno tutte dei nomi eccentrici e una esibita insofferenza per la forma canzone di derivazione radiofonica.

Fuori dall’horror argentiano o comunque dal genere giallo (penso soprattutto a La vittima designata di Maurizio Lucidi, musicato da Oscar Luis Enríquez Bacalov, per diventare il Concerto grosso per i New Trolls), il cinema bis italiano non è particolarmente attratto da suoni cosi magniloquenti e trame particolarmente prolisse. Di sicuro non sembrano adattarsi al poliziesco italiano che fa della sua essenzialità nevrotica e delle sue colonne sonore funky e groovy un tratto caratterizzante. Quasi un genere a se stante, che finisce per sfidare l’usura del tempo. Uscendone vincitore.

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Milano calibro 9

Milano Calibro 9 - sulla cui centralità e il superamento della forma poliziottesca non c’è davvero più nulla da aggiungere - cambia le carte in tavola anche sotto questo profilo. La colonna sonora, nata dalla collaborazione proprio tra Bacalov e gli Osanna, segna l’irruzione del prog italiano tra le trame criminali del genere. Lo fa attraverso accostamenti dissonanti, crescendo vorticosi e un mirabile contrappunto tra la plumbea Milano raccontato da Giorgio Scerbanenco e le aree orchestrali della traccia sonora.

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Milano calibro 9

Di Leo traduce con acutezza le pagine dello scrittore di origine ucraina, si cala con energia e violenza parossistica in questa Milano dura, spietata e schizofrenica, ma sotto la coltre di questo soffocante darwinismo criminale usa la partitura quasi per elevarsene, una forma musicale alta che gli permette di guardare gli eventi con beffardo distacco. A rendere però meno dissonanti gli accostamenti, rispetto ai territori usualmente battuti dal poliziesco, non sono tanto le impennate classiche di Bacalov - che col cinema italiano collabora già da moltissimo - quanto il suono degli Osanna, la cui anima sporca e rock (soprattutto la chitarra hendrixiana di Danilo Rustici), li distanzia da un certo progressive pomposo che va per la maggiore.

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Milano calibro 9

L’intro, anzi il Preludio, è un capolavoro indiscutibile di montaggio. Un montaggio tagliente ed evocativo, così libero dalla schiavitù degli stacchi in battuta da apparire straniante a uno sguardo non contestuale. Una sequenza di 32 inquadrature che registrano la maturità stilistica del regista pugliese e questa Milano metallica e amorale, antitetica all’esibita virtù contemporanea: una città scoperta, che ingoia gli individui e li racconta come una sua parte integrante e ineluttabile.

Si parte dalla Torre Branca di Parco Sempione, evocata con un carrello verticale che scende sul primo piano di Omero Capanna, volto (e anche stunt) usuale del cinema di Di Leo, e non solo. La caratterizzazione è spigolosa e, come sempre, in odor di humour nero: un semplice tic della spalla lo traghetta con un’ellisse in una Piazza Duomo sommersa dai piccioni (a uno dei quali, il nostro, fa sentire il suo disprezzo con uno sputo), luogo di scambio di una valigia di denari.

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Milano calibro 9

Entrano in campo alcuni dei protagonisti del malaffare e c’è spazio anche per un divertito cameo di Di Leo nella cabina telefonica, dopo che Imelde Mariani si avvia alla metropolitana, linea rossa (Galleria del Sagrato) per lo scambio con Sergio Serafini. Il primo dialogo (telefonico) del film, rapido e pretestuoso, ci presenta Mario Adorf, il cuore pulsante dell’ironia e del tocco di Di Leo, molto più dell’eroe Gastone Moschin. Adorf non ha remore e freni ed eccede, gaudioso, in una caratterizzazione tutta a tinte sature, che trova il primo picco proprio nell’apertura del bagagliaio e nella scoperta di essere stato fregato, fino a toccare vertici di bromance verso Moschin quasi irripetibili. La valigia non contiene i soldi, infatti, e arriva un nuovo sputo di ordinanza prima di chiudere musicalmente (ma non tematicamente) l’intro. Non c’è infatti nessun stacco significativo prima di ritrovare i due intenti a malmenare i sospetti, uomini o donne che siano.

 

Il film

locandina Milano calibro 9

Milano calibro 9

Poliziesco - Italia 1972 - durata 97’

Regia: Fernando Di Leo

Con Gastone Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf, Frank Wolff, Luigi Pistilli, Ivo Garrani

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