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Venezia 2020: Giorno 3
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Il Festival di Venezia inizia il suo lungo fine settimana e presenta il primo dei film italiani in concorso. Si tratta di PadreNostro, terzo lungometraggio di Claudio Noce che affonda nella storia personale del regista. E di storia personale si parla anche in iSola, documentario che, presentato alle Giornate degli Autori, si trasforma in eccezionale testimonianza dei tempi che viviamo: mostra una Roma segnata dal lockdown mentre la regista, alle prese con un male inaspettato (un tumore alla tiroide), riscopre se stessa e il valore dell'amicizia. Si tratta, dopo Molecole, del secondo lavoro italiano che racconta un momento ancor vicino a tutti quanti e forse non ancora comprensibile.

Intanto dal Lido arrivano le prime lamentele, social e non: festival troppo cinefilo, film non all'altezza del concorso, proiezioni che non partono, poca gente in giro, non si può far nemmeno una foto, Cate Blanchett ha ricilato l'abito. Il lockdown, si diceva: ne usciremo migliori era il mantra che caratterizzava quei giorni. Come insegnava Tomasi di Lampedusa, tutto cambia affinché nulla cambi: l'addetto ai lavori che trova sempre un motivo per cui lamentarsi. Fa parte della sua intrinseca natura.

Proiezioni odierne: Concorso

PADRENOSTRO

Sinossi: Roma, 1976. Valerio ha dieci anni e una fervida immaginazione. La sua vita di bambino viene sconvolta quando, insieme alla madre, assiste all’attentato ai danni di suo padre Alfonso da parte di un commando di terroristi. Da quel momento, la paura e il senso di vulnerabilità segnano drammaticamente i sentimenti di tutta la famiglia. Ma è proprio in quei giorni difficili che Valerio conosce Christian, un ragazzino poco più grande di lui. Solitario, ribelle e sfrontato, sembra arrivato dal nulla. Quell’incontro, in un’estate carica di scoperte, cambierà per sempre le loro vite.

 

EXCL. La parola al regista Claudio Noce

«La sua figura forte, magnetica, eroica, assurge ad archetipo di un'intera generazione di uomini in cui le emozioni erano percepite solo come debolezza e obbligate ad essere camuffate in silenzi. Nel dicembre del 1976, quando mio padre subì l'attentato, io avevo due anni, abbastanza per comprendere la paura troppo pochi per capire che quell'affanno avrebbe abitato dentro di me per molto tempo. Non sono mai riuscito a dirglielo. Scrivere questa lettera a mio padre tracciando i contorni di una generazione di bambini "invisibili" avvolti dal fumo delle sigarette degli adulti non è stato facile, provare a farlo mutando le parole da private in universali una grande sfida come cineasta e come uomo.

In questi giorni ho riletto la rivendicazione dei NAP rilasciata dopo l'attentato. Solo adesso capisco veramente come la mia infanzia sia stata percorsa a lungo da quella frase "Alfonso Noce sappia che la sua condanna a morte è stata soltanto rinviata. I proletari hanno tanta pazienza e lunga memoria". Per anni ho sentito la paura arrivare nel cuore del giorno e della notte ascoltando gli adulti ripetere quella minaccia come un mantra. Durante tutte le fasi della lavorazione del film ho affrontato una faticosa battaglia interiore. Ho lavorato su due piani distinti: uno fortemente evocativo in forte relazione con la porzione autobiografica della storia, l'altro più libero, emancipato dai miei ricordi e più conforme alla favola dell’amicizia. I due piani tuttavia sono comparati sullo stesso terreno di studio e di indagine.

La forma del film nasce proprio dalla dicotomia di questi differenti criteri. Anche nella drammaturgia abbiamo seguito questo principio: una pagina rincorre il romanzo familiare, la successiva si perde nella favola di quello di formazione. A volte però il calore sconfinato di un ricordo si confondeva con il racconto, spesso ho rischiato di smarrire la strada.

Una vertigine e poi una caduta. Il paradigma da seguire, mi è giunto chiaro durante la preparazione della sequenza dell'attentato. Zenit della crisi. Mi chiedevo da tempo quale fosse la giusta adesione a quel respiro di storia così intimo. La scena che per più di quarant'anni la mia famiglia aveva cercato di dimenticare, andava ricostruita minuziosamente.

Sono ripartito dalla ricerca. Un passo indietro, mi sono chiesto ancora una volta cosa fosse successo quella mattina del 1976. Come un reporter sono andato alla biblioteca nazionale ho consultato ancora una volta i quotidiani dell’epoca usciti il giorno dopo l’attentato.

La nostra memoria è custodita è scolpita lì da quarantaquattro anni.

Conoscevo già molto bene tutta la dinamica dell'attentato, mi mancavano solo alcuni fondamentali dettagli. Non avevo scelta dovevo riaprire quella ferita, riesumando quell’istante sommerso. Ma in che modo? certamente attraverso lo sguardo di Valerio. Ma non bastava.

Mi interessava anche la dinamica dell'assalto narrata come una scena di "guerra" così da autorizzare lo spettatore a smarrire nella pancia lo stesso ansimo di Valerio, avvertendo fino in fondo il suo sollievo una volta ritrovato il suo respiro. Spero di esserci riuscito.

La notte durante la mia infanzia sono rimasto sveglio convinto che l’indomani mattina sarebbero tornati a prendersi mio padre. Molte notti da bambino affacciato alla finestra mentre tutti dormivano. Forse anche questo non l'ho mai raccontato alla mia famiglia».

In sala dal 24 settembre per VisionDistribution.

PadreNostro (2020): Trailer ufficiale

 

PIECES OF A WOMAN

Sinossi: Martha e Sean Carson, una coppia di Boston, sono in procinto di avere un bambino. La loro vita cambia irrimediabilmente durante un parto in casa, per mano di un’ostetrica confusa e agitata che verrà accusata di negligenza criminale. Comincia così un’odissea lunga un anno per Martha, che deve sopportare il suo dolore e al contempo gestire le difficili relazioni con il marito e la dispotica madre, oltre che confrontarsi in tribunale con l’ostetrica, divenuta oggetto di pubblica denigrazione.

Commento del regista Kornél Mundruczó: «È possibile sopravvivere dopo che si è persa la persona che più si amava? A cosa ci si aggrappa quando sembra che non ci siano più appigli? Mia moglie ed io volevamo condividere con il pubblico una delle nostre esperienze più personali attraverso la storia di un figlio non nato, nella convinzione che l’arte possa essere la miglior cura per il dolore. Saremo gli stessi di prima dopo una tragedia? Riusciremo a trovare qualcuno che ci accompagni nella caduta libera del dolore? Il mondo appare capovolto, un luogo in cui non riusciamo più a orientarci. Con Pieces of a Woman volevamo realizzare una storia autentica su una tragedia e su come imparare a convivere con quel dolore. Una perdita sfugge alla nostra comprensione o al nostro controllo, ma porta con sé la capacita? di rinascere».

Vanessa Kirby

Pieces of a Woman (2020): Vanessa Kirby

 

Proiezioni odierne: fuori concorso

THE DUKE

EXCL.: Il 2021 segna il 60° anniversario de furto del Duca di Wellington, dipinto del Goya custodito alla National Gallery di Londra. Si tratta del solo quadro che in 196 anni di storia è stato trafugato dal museo. The Duke racconta la straordinaria storia che sta dietro al furto. Al centro vi è la figura di Kempton Bunton, un uomo eccentrico ma dai sani principi. A volere il film è stato Christopher Bunton, il nipote di Kempton che ha contattato in prima persona la produttrice Nicky Bentham. Ha commentato il regista Roger Mitchell: «Quando ho ricevuto la sceneggiatura l'ho trovata straordinaria: era perfettamente in equilibrio tra divertimento e realtà. Mi ricordava una commedia Ealing degli anni Sessanta, quel tipo di film che venivano realizzato durante il periodo in cui è ambientata la nostra storia: film politici su persone comuni che dicono la verità al potere e si oppongono al governo. Proprio come le commedie Ealing, la sceneggiatura era spensierata ma con momenti di pathos e dramma. Ne è venuto fuori un film edificante che lascia il pubblico con un sorriso stampato in faccia».

Prossimamente in sala per BIM:

Jim Broadbent

The Duke (2020): Jim Broadbent

 

 

SPORTIN' LIFE

Commento del regista Abel Ferrara: «Negli ultimi dieci anni, ho girato soprattutto documentari. A prescindere dall’argomento – Piazza Vittorio, Padre Pio – ho filmato anche il processo di realizzazione... quindi io e la mia squadra ne siamo parte. L'argomento del mio nuovo documentario è la relazione che ho con il mio lavoro, con Willem Dafoe, con la mia musica e la mia arte. Queste relazioni costituiscono il punto di partenza dell'opera e non ho potuto fare a meno di confrontarmi anche con ciò che il mondo ha vissuto quest’anno con la pandemia».

scena

Sportin' Life (2020): scena

Proiezioni odierne: Orizzonti

THE MAN WHO SOLD HIS SKIN

Commento della regista Kaouther Ben Hania: «Il progetto è nato dall’incontro di due mondi. Il mondo dell'arte contemporanea, e in particolare l’opera dell’artista belga Wim Delvoye (Tim, 2006), e il mondo dei rifugiati politici, in particolare i rifugiati siriani che devono combattere con documenti e permessi di soggiorno... Mi sono chiesta: "Cosa accadrebbe se... un artista famoso offrisse a un rifugiato di diventare una sua opera per ottenere la libertà di movimento?". Così è nato il viaggio di Sam Ali: un giovane rifugiato pieno di passione gettato in un mondo cinico. Un uomo normale costretto a un'avventura straordinaria. Il film è anche una storia d'amore in cui il protagonista, separato dalla donna che ama, perde la dignità – e la pelle – per cercare di raggiungerla. E ancora, cosa significa essere liberi quando il gioco è truccato, quando non si ha la possibilità di scegliere? The Man Who Sold His Skin è un'allegoria sulla libertà personale in un sistema iniquo e tratta l'ampio spettro di significati legati ai problemi del nostro mondo reale».

Yahya Mahay, Monica Bellucci

The Man Who Sold His Skin (2020): Yahya Mahay, Monica Bellucci

 

 

MAINSTREAM

Excl. Tre domande alla regista Gia Coppola

1. Da dove viene l'idea per Mainstream?

Dopo aver girato il mio primo film, Palo Alto, riflettevo su ciò che me lo aveva ispirato e mi sono chiesta su cosa avrei incentrato un nuovo lavoro. Guardavo il canale tv dei classici Turner ma non gli prestavo molta attenzione. Sono però stata attratta dal finale di Un volto nella folla di Elia Kazan. Il finale è così inquietante, con la risata maniacale di Andy Griffith e l'ultima scena con il cartellone pubblicitario della Coca-Cola che sfuma nel nero. Ho subito cercato di rivedere il film dall'inizio. Nonostante sia stato girato negli anni Cinquanta, mi è sembrato pericolosamente significativo. Si tratta essenzialmente di una satira sul passaggio dalla radio alla televisione, sul potere dell'intrattenimento, ma è anche una straziante storia d'amore alla Frankestein, che vogliamo, con una giovane donna che crea un mostro. Avevo anche un amico che lavorava come YouTuber. Milioni di persone si collegano tutti i giorni per vedere i video più improbabili e trovo la cosa sconcertante: non capivo perché la gente lo trovasse coinvolgente e carismatico. Combinando le due cose, Un volto nella folla e la celebrità (fugace) data da internet, è nato Mainstream. Inoltre, volevo esprimere ciò che provavo tutte le volte che andavo sui social, riflettere sul concetto di popolarità e sottolineare tutte le lotte necessarie per essere creativi in un'epoca così cool e per passare da adolescente a donna.

2. Cosa è cambiato da Palo Alto, film indipendente, a Mainstream?

Tutti gli esordienti seguono una sorta di percorso obbligato. Dopo un film indie, si viene chiamati per raccontare la stessa storia ma con più soldi e mezzi a disposzione. Io ho voluto invece sfidare me stessa e realizzare un film mostro strano. Non è stato facile trovare produttori disposti a crederci ma alla fine ce l'ho fatta.

3. Quale è stata invece la sfida maggiore affrontata?

Girare per soli 19 giorni è stato molto più complicato di quanto pensassi.

Andrew Garfield, Maya Hawke

Mainstream (2020): Andrew Garfield, Maya Hawke

 

Proiezioni odierne: Giornate degli Autori

iSOLA

Commento della regista Elisa Fuksas: «Questa storia non nasce come un film, ma come antidoto a un problema. Alla mia paura. Di stare male, del virus, di stare sola. Per questo il primo racconto che ho fatto è stato a me stessa: in un momento storico e personale di difficoltà senza precedenti, nella solitudine quasi assoluta, ho cercato il modo di ironizzare e elaborare quello che mi stava succedendo. Riprendere e poi riprendermi, con l'unica cosa che avevo a disposizione cioè il mio cellulare, non è stata una scelta stilistica ma di sopravvivenza. Prima il modo di immagazzinare i fatti è stato oggettivo, ho cercato di restarne fuori e accumularli. Poi via via che l'isolamento si è fatto più rigido, e io più sola, ho deciso di includermi e quindi riprendermi, usando il telefono come fosse uno specchio. Ma poco dopo ho capito che avermi "di fronte" mi distraeva, e ho iniziato a inquadrarmi con la camera sul retro, casualmente, immaginando la mia faccia nello schermo dell'iPhone, nel dubbio di essere riuscita a "trovarmi", aver raccontato qualcosa, almeno un momento che altrimenti avrei perso. Stranamente non mi sono preoccupata del mio aspetto, dei difetti, della stanchezza o dell'opposto. E così mi sono raccontata senza guardarmi, e proprio per questo motivo mi sono sdoppiata, diventando anche qualcun altro, che è stato in grado di stare con me, vicino a me, senza essere completamente me. Riguardandomi non mi riconosco del tutto, e questa distanza da me, che poi è uno sguardo, è stata la mia compagnia. Fare questo film è stato vivere e insieme raccontare; non sono state permesse repliche o falsificazioni. Spontaneità, errori, immediatezza, ho ripreso tutto, dimenticando il pudore, la paura del giudizio, e la convenienza estetica e formale. Quello che sembra, quello che sembro, viene dopo: ho provato sempre a scegliere la verità, che certo non è tutto ma è già qualcosa».

Elisa Fuksas, Alessia Correani

iSola (2020): Elisa Fuksas, Alessia Correani

 

 

SAINT-NARCISSE

Commento del regista Bruce LaBruce: «Almeno una volta nella vita, un regista dovrebbe fare un film sui seguenti soggetti: i gemelli o il sosia, l'incesto, una capanna nel bosco, monache e/o monaci, un motociclista, lesbiche che vivono allo stato brado e un sacerdote che commette un abuso sessuale. Saint-Narcisse mi ha permesso di combinare tutti questi elementi in un solo film. Come Gerontophilia, il primo lungometraggio che ho realizzato in Québec, anche Saint-Narcisse è un omaggio al cinema di quel luogo, in particolare quello degli anni Settanta, il periodo cinematografico che preferisco. La fotografia è stata realizzata dal leggendario quebecchese Michel LaVeaux, che ha collaborato negli anni Settanta per registi altrettanto leggendari come Claude Jutra, Michel Brault e Francis Mankiewicz. Saint-Narcisse è ambientato nei primi anni Settanta e anche se girato in digitale, volevo che mantenesse lo stile e l'atmosfera di un 35mm di quel periodo in Québec. LaVeaux ha usato, quindi, un kit di illuminazione e lenti per lo zoom specifiche dell'epoca, e ha scelto un tipo di colore per rifletterne il mood. Saint-Narcisse è forse il mio lavoro narrativo e drammatico più tradizionale, reso ancor più forte dalla grande colonna sonora di Christophe Lamarche-Ledoux che è, al tempo stesso, classica e contemporanea».

scena

Saint-Narcisse (2020): scena

 

 

THE NEW GOSPEL

Commento del regista Milo Rau: Per me, era importante non solo adattare la parola della Bibbia, ma anche il suo contenuto: la lotta di tutti gli uomini per la dignità. In tal senso,The New Gospel è diventato un vero e proprio adattamento cinematografico della Bibbia riferito ai nostri tempi, con un cast assortito nel migliore dei significati: accanto a star e politici internazionali, recitano un ruolo da protagonista, attivisti, agricoltori e normali cittadini. Nel film, Maria Maddalena è una figura di spicco, tra gli apostoli vi sono delle donne e i seguaci del "nostro" Gesù sono per lo più di fede musulmana. Ciò che mi rende più felice, però, è che il film abbia avuto un impatto concreto sulla realtà. Dopo la "rivolta della dignità", come si vede alla fine, sono state fondate intorno a Matera le prime "case della dignità": luoghi in cui i protagonisti della storia, in precedenza senzatetto, ora vivono decentemente e in autonomia. E questo con il sostegno della chiesa cattolica!».

Marcello Fonte, Yvan Sagnet

The New Gospel (2020): Marcello Fonte, Yvan Sagnet

 

Proiezioni odierne: Settimana della critica

SHORTA

EXCL. Commento dei registi Anders Ølholm e Frederik Louis Hviid: «Quando abbiamo cominciato a lavorare a Shorta mai avremmo pensato che con il tempo i temi e gli argomenti trattati sarebbero diventati sempre più rilevanti. Crediamo nel potere del cinema come mezzo per stimolare il pensiero e ispirare il cambiamento. Il nostro scopo è quello di emozionare e intrattenere ma anche di stimolare la conversazione su un argomento difficile e senza chiara soluzione. Non consideriamo Shorta un film politico ma semplicemente un film sulle persone. Non volevamo né difendere né criticare ma volevamo cercare di capire il "perché" di determinate azioni delle persone e le loro visioni del mondo: da un lato, i giovani arrabbiati e privati dei diritti civili che si sentono demonizzati e incompresi; dall'altro lato, gli agenti di polizia, oberati di lavoro e sottopagati. Shorta, che in arabo vuol dire polizia, è un film di genere che molto deve a registi come William Friedkin, Sidney Lumet e Walter Hill, ma anche a Spike Lee e Mathieu Kassovitz. Viviamo in un'epoca cupa. L'umanità ha bisogno di speranza. E la nostra è una storia di speranza».

Jacob Lohmann, Tarek Zayat, Simon Sears

Shorta (2020): Jacob Lohmann, Tarek Zayat, Simon Sears

 

 

LE MOSCHE

EXCL. Commento del regista Edgardo Pistone: «Le mosche è stato in parte autobiografico, work in progress, perché rispetto alla sceneggiatura originale abbiamo aggiunto idee e suggestioni con i ragazzi direttamente sul set, durante la lavorazione. Il corto è il frutto di un laboratorio di scrittura e regia del progetto Atti_V_Azione finanziato dall'Assessorato alle Politiche Sociali per l'Infanzia e l'Adolescenza del Comune di Napoli. Gli adolescenti coinvolti hanno preso parte a tutte le fasi di creazione del cortometraggio, partendo da laboratori tecnici del campo cinematografico fino al coinvolgimento sul set vivendo l'esperienza diretta di seguire il lavoro dei diversi professionisti coinvolti. La chiave di lettura del film è partire da un dato sociale e politico per arrivare a un livello poetico. I ragazzi non riescono a entrare in contatto con la realtà circostante e quindi i sentimenti che muovono i protagonisti finiscono con l'essere la noia e la malinconia. Abbiamo messo a confronto la spensieratezza e l'ingenuità dei ragazzi con i drammi della realtà che li circonda».

scena

Le mosche (2020): scena

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RECENSIONI

The Wasteland: Recensione di AlanSmithee // Recensione di PortCros (con estratti del Q&A con il cast)// Recensione di EightAndHalf

The Book of Vision: Recensione di Spaggy

Honey Cigar: Recensione di PortCros

Est - Dittatura Last Minute: Recensione di Spaggy

The Human Voice: Recensione di EightAndHalf // Recensione di AlanSmithee // Recensione di PortCros

Oasis: Recensione di EightAndHalf

Quo vadis, Aida?: Recensione di EightAndHalf

Lovers: Recensione di AlanSmithee

Milestone: Recensione di AlanSmithee

Il cast di "The Wasteland" in sala

Numeri precedenti

Venezia 2020: Giorno 0

Venezia 2020: Giorno 1

Venezia 2020: Giorno 2

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3. Continua

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