Da Wikipedia: “Il retro-futurismo fa riferimento a due tipi di produzioni che si sovrappongono e che possono essere indicate come: il futuro visto dal passato e il passato non realizzato nel futuro”. Nella sua recensione di Brazil per The New Yorker, Pauline Kael definisce l’opera di Gilliam (1985) “retro-futurista”. Curioso che non avesse applicato la stessa definizione a Blade Runner, che a quella corrente appartiene a pieno titolo (soddisfacendo entrambe le definizioni di Wikipedia), così come vi apparteneva Syd Mead, indicato nei titoli di coda come “visual futurist”. Lo stesso Scott, interrogato sullo stile del suo capolavoro, disse che “è un film vecchio di 40 anni, ma collocato 40 anni nel futuro”.
Tra le prime cose ad apparire in Blade Runner vi sono le due piramidi della Tyrell Corporation, con gli ascensori che salgono ad angolo. A proposito di questa invenzione visiva, l’ottimo sito di IN/Arch Piemonte, forse forzando un po’ la mano, dice: “Nulla di particolarmente fantascientifico. Gli ascensori ricordano un capolavoro nostrano di ingegneria ferroviaria, la Cremagliera Sassi-Superga del 1884 che (salendo ad angolo) porta anch’essa in cima a una ‘piramide’, una collina di 672 metri”. A parte questa trovata degli scenografi e poche altre (le macchine volanti, gli ombrelli con i manici al neon), il film si affida a una serie di architetture realmente esistenti.
La torre cilindrica su cui planano Deckard e Gaff e che identifica la sede della polizia di Los Angeles, appartiene al complesso alberghiero Westin Bonaventure Hotel, immaginato come un castello quadriturrito da John C. Portman e costruito tra il 1974 e il 1976.
Il cortile dell’edificio in cui vive J.F. Sebastian, il designer dei replicanti, connotato da un enorme lucernario e da una serie di strutture in ferro, è quello del Bradbury Building, edificato nel 1863 per l’omonimo miliardario da George Wyman su progetto di Summer Hunt. L’apoteosi della tendenza retro-futurista che informa BR divampa poi nella scelta dell’appartamento in cui far vivere Deckard (“sempre che questo sia vivere”): minuziosamente ricostruiti negli studi Warner, gli interni sono quelli della celebre Ennis House di Frank Lloyd Wright, epitome dello stile architettonico noto come revival Maya e ispirata, come altre opere del Maestro, agli antichi templi della popolazione eponima.
Villa unifamiliare innalzata nel 1924 nei pressi dell’Osservatorio del Griffith Park, nel quartiere Los Feliz di L.A., la Ennis House (di cui nel film si vedono pochissimi e sparuti esterni) assecondava la passione di Wright per l’architettura primitiva americana (“Le costruzioni tolteche, azteche, maya e inca mi affascinavano moltissimo... Quelle imponenti astrazioni americane erano tutte architetture di terra, gigantesche masse in muratura innalzate su un unico, grandioso terreno lastricato di pietra”), e la sua convinzione che l’uso massiccio del cemento avrebbe rappresentato la soluzione adeguata per produrre alloggi a prezzi accessibili.
L’edificio ha rappresentato per Wright anche l’occasione per testare un sistema di costruzione noto come “textile block”, che prevedeva l’utilizzo di una serie di cubi in calcestruzzo accostati e tenuti insieme come spiedi da una serie di barre d’acciaio che ne penetravano i volumi. Per la sua Ennis House, per gli esterni come per gli interni, l’architetto si servì di 27.000 blocchi in calcestruzzo fabbricati con stampi in alluminio, montati a incastro e decorati con motivi geometrici regolari, tra cui una ‘g’ stilizzata che pare fosse un’allusione all’ordine massonico di cui era membro il proprietario, Charles Ennis.
Gettonatissima dal cinema – Scott tornerà a usarne gli interni in Black Rain - Pioggia sporca, David Lynch userà il disegno dei blocchi per definire il fregio della porta del Club Silencio in Mulholland Drive e vi girerà tutte le scene della soap opera Invito all’amore, nota a qualsiasi fan di Twin Peaks) – ancor prima di essere terminata la villa mostrò tuttavia evidenti segni di instabilità strutturale.
Il motivo pare fosse da ascrivere all’impiego, nel conglomerato cementizio, di quel granito locale che avrebbe determinato la peculiare tonalità dei blocchi di cemento, e che introdusse una quantità eccessiva di impurità naturali. Questo fece sì che le parti inferiori dei muri cedessero perché incapaci di reggere la pressione eccessiva della costruzione. Altri danni furono causati, negli anni, da terremoti e precipitazioni record, così che quella meraviglia architettonica necessita, per sopravvivere, di restauri continui. Una circostanza che fa della Ennis House non solo un segno progettuale con cui il film ribadisce la sua adesione alla corrente già citata, ma che le permette di assurgere a elemento che, di quel film, rispecchia il sentimento di tragica impermanenza, di disperata caducità. Qualcosa da amare e di cui prendersi cura, e non è affatto detto che basti. Come per Deckard, come per Rachael. Come sempre, lacrime nella pioggia.
Il film
Blade Runner
Fantascienza - USA 1982 - durata 124’
Titolo originale: Blade Runner
Regia: Ridley Scott
Con Harrison Ford, Sean Young, Rutger Hauer, Daryl Hannah, William J. Sanderson
Al cinema: Uscita in Italia il 30/11/-0001
in streaming: su Now TV Sky Go Microsoft Store Google Play Movies Timvision Amazon Video
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