Il western è un genere fondamentalmente maschile. O forse no.
In un duello finale, indispensabile apice di tutti i western, due antagonisti si affrontano, faccia a faccia, arma in pugno, pronti a sparare. Ma non si tratta di ruvidi cowboy, sono Joan Crawford e Mercedes McCambridge dentro un classico del genere, Johnny Guitar di Nicholas Ray. A dispetto dell’immaginario virile associato al western, qualche volta capita che offra una bella parte alle donne. Il western femminile non è un’utopia. Non lo è soprattutto per Taylor Sheridan che riporta il cowboy del grande romanzo americano al centro del racconto televisivo e decostruisce l’immaginario del West, passando al vaglio le questioni che agitano la società attuale: dove sono le donne? Come rendere giustizia alle minoranze oppresse? Come dire la verità, pur deplorevole e più vicina alla realtà storica, su una conquista dove progresso e barbarie si fronteggiano, senza turbare le sensibilità contemporanee?
Se per Sergio Leone il posto delle donne nel western è sullo sfondo, almeno fino a Claudia Cardinale, in C’era una volta il West la sua Jill incarna da sola l’adattamento e l’avvenire che avanza coi binari di una ferrovia nel mezzo del nulla, per Anthony Mann il western non funziona se non si aggiunge una donna alla ballata. L’autore americano riassume perfettamente la condizione del femminile nell’universo del genere. Proprio come i grandi spazi, la pistola o il Winchester, la donna è una delle componenti obbligatorie del western. Un western senza donne non è un vero western ma più spesso è la spalla dell’eroe, è l’elemento chiave che sblocca un’impasse, provoca l’azione, raramente la fa. Insomma l’Ovest americano è specificamente maschile, le storie sono scritte dagli uomini per gli uomini e come la cavalleria, la donna appare nel décor solo quando la sua presenza è indispensabile all’intrigo. Si aggiunge come un fiore ornamentale.
Di conseguenza i ruoli proposti alle attrici non variano troppo: la fidanzata mite, la buona sposa, la prostituta villana, la prigioniera degli indiani o la ragazza del saloon. Anche i più bei ruoli da John Ford non sono mai primi ruoli. Nella storia del cinema i tentativi di contravvenire alle convenzioni e di offrire a una donna il personaggio centrale in un western sono rari. Ancora oggi, il film più celebre resta Johnny Guitar. Il racconto è costruito intorno al confronto tra due donne: la tenutaria di un saloon e una ricca ereditiera. Ma il titolo, ovviamente, è consacrato al personaggio maschile interpretato da Sterling Hayden. Insomma, dire che il western femminile non esiste sarebbe un’esagerazione ma non andremmo nemmeno troppo lontano dal vero. Eppure qualcosa di nuovo balena sulla frontiera dell’Ovest.
La storia recente del western si gioca (soprattutto) in televisione e le sorprese non mancano tra racconti metafisici (Outer Range) e cyber (Westworld ), spaghetti (That Dirty Black Bag) e manga (Cowboy Bebop), antipatriarcali (Godless) e transgenerazionali (Yellowstone, 1883, 1923). E proprio nell’universo virile del più cowboy tra gli showrunner americani, c’è la giovane Elsa Dutton, nella quale gli habitué di Yellowstone riconosceranno l’ava altrettanto tenace di Beth Dutton (Kelly Reilly). Interpretata da Isabel May, bionda come il grano della California, è una diciasettenne a raccontarci la storia dell’epopea Dutton. Con la ruggine sulla voce narra la traversata epica degli antenati del personaggio incarnato da Kevin Costner e di come si siano installati nelle terre che lui difenderà ostinatamente più di un secolo dopo (Yellowstone). 1883, ambientata nell’America uscita dalla Guerra di secessione, parte dal Texas e segue la via dell’Oregon fino al Montana.
Il suo punto di vista, abilmente smarcato dai racconti classici della conquista del West, chiosa e anticipa, come rivelano i primi minuti del primo episodio, il lungo viaggio della sua famiglia: James Dutton, suo imperturbabile padre, Margaret Dutton, sua irriducibile madre e John, fratellino col futuro davanti. Al loro seguito, un gruppo di migranti dell’Europa dell’Est in fuga dalla miseria e in cerca di pascoli più verdi in un Paese di cui ignorano le regole e la cultura, i pericoli e la violenza.
La serie western di Taylor Sheridan avanza con le carovane e gli occhi di Elsa Dutton, voce narrante e lirica di una traversata di lacrime e sangue. È lei a ripercorrere la conquista dell’Ovest e a documentare come Laura Ingalls (La casa nella prateria) la pista dei pionieri. La sua voce off fa eco a quella di Laura ma è sufficiente il debutto del pilota per comprendere che 1883 è il rovescio selvaggio dei romanzi della scrittrice, pubblicati a partire dal 1930 e adattati nel 1974 dalla televisione. Lontana dalla loro ambientazione bucolica, la serie attacca sul viso angelico della sua eroina, evidentemente in ambasce.
Abbattuta da una forza fuori campo, Elsa è muta, atterrata e atterrita da qualcosa o qualcuno che ancora non vediamo ma che la sua voce over prova a definire, per lei, per noi. Precipitata all’inferno, non c’è libro o professore, ci dice, che possa mettere parole su quello che l’assedia, su quello che fu realmente e crudamente la traversata dei pionieri, in comunione ma anche in balia della natura, di banditi di bestiame senza morale e scrupoli, della vendetta dei nativi, che i coloni non esitano a derubare e a uccidere nel tentativo di insediarsi.
Faccia a terra e dentro un primo piano stretto, imperlato dalle fiamme che incendiano i carri, Elsa piange e le lacrime mondano la polvere di cenere sul volto e sull’abito candido di influenza vittoriana. Un abito che le va stretto e le impedisce di agire con la velocità necessaria. Un ‘costume’ di cui non ha cognizione perché Elsa, destinata in altre circostanze a essere soltanto una brava consorte, ha goduto fino a quel momento di una libertà impensabile per la sua generazione.
Il viaggio verso il Montana le ha aperto prospettive inattese. Piena di speranze e di sogni si è scontrata presto con una geografia impervia e una realtà desolante ma ne ha fatto tesoro. Stazione dopo stazione, tra le braccia di un cowboy e poi nell’abbraccio di un indiano, ha imparato a rialzarsi e si rialza, mai rassegnata. Ed eccolo lì il contro-campo temuto, assediata da indiani Lakota a cavallo, Elsa sarà insieme vittima e carnefice.
Il partito preso dell’eroina e della serie è al servizio di una descrizione parossistica della violenza su cui gli Stati Uniti costruiranno la loro storia. La vediamo allora guardare irata le donne della sua carovana perire sotto i colpi degli indiani. Ma non sarà il suo destino perché Elsa solleva la veste e scopre con le crinoline la sua competenza: lottare come un uomo, meglio di un uomo per la sua sopravvivenza.
Tesa come un arco e senza limiti come le praterie del Montana, incanta ogni piano, è la ‘terra vergine’ che gli uomini bramano ma è più di tutto la riappropriazione femminile dello spirito di conquista. E qui la politica non c’entra. Se la premessa del western è la scoperta di un nuovo territorio, dove le regole non sono ancora fissate e l’organizzazione del potere non è ancora stabilita, la creazione di un nuovo mondo per Sheridan parte da Elsa.
Si dice sovente che il western è morto e sepolto ma con lei sembra appena nato e galoppa a perdifiato. Risollevata, corre verso un uomo riverso a terra esanime, prende la pistola nel suo fodero e la punta sull’indiano che vuole ucciderla o magari venderla. Non ci sta Elsa e spara, spara ripetutamente, spara a tutti, quasi incurante della freccia che le ha trafitto il ventre da parte a parte.
Improvvisamente un pensiero sembra attraversarla, le toglie il fiato più del dardo che ‘appende’ la sua minuta silhouette alla linea dell’orizzonte, e ce lo dice senza sconti, senza le infiorettature che ricamano il suo vestito. Elsa è già morta e quello che ci prepariamo a vedere è il racconto di una morta, ancora in piedi e mai così viva dentro i suoi stivaletti di capretto abbottonati. Sul viale del tramonto, è già un’ombra, un corpo ‘trapassato’ che ci racconta come è arrivata fino a lì. Il pubblico sogna l’antidoto prima della fine della serie e del lungo flashback (10 episodi), ma l’incipit annuncia la sentenza e segue l’asprezza del crinale. Sulla pista per l’Ovest ognuno è il demone dell’altro.
Per Sheridan si tratta di documentare il sogno e l’incubo di quella conquista e allora bellezza e brutalità si affrontano, convivono, si danno reciprocamente la morte. Elsa rivitalizza da sola quel mito fondativo, come se Hollywood non fosse mai esistita. Primitiva e fresca, cielo aperto e erba bagnata, riconquista al galoppo il posto delle donne nella Storia, Ralph Waldo Emerson e Walt Whitman sembrano accordarsi segretamente in lei. E con lei un altro western è possibile, un altro West sarebbe stato possibile. Sheridan non si illude sull’esito, collocato al principio, la storia della cavalcata verso l’Ovest fu davvero spietata ma la irriga con un racconto di formazione radioso. E il paesaggio, fondamento del western, genesi della narrazione e veicolo mitologico, diventa la soglia in cui Elsa e lo spettatore si incontrano e cominciano insieme il viaggio verso la maturità e un mondo in procinto di essere eroicamente conquistato da questa fanciulla diafana, che si fa creatura di terra.
Sul filo teso di un funesto intrigo, l’autore dichiara lo scacco ma sogna la libertà con Elsa, sogna quello che l’America avrebbe potuto essere, un paradiso perduto di donne e di uomini di ogni provenienza, di immigrati e autoctoni in dialogo tra loro e con gli animali e la natura. Ma come canta Orville Peck “no glory in the West”, non è un’America di fraternità tra i popoli quella che si spalanca davanti ai nostri occhi e dentro l’ipertrofia degli spazi e degli scenari naturali. Scopriremo soltanto più avanti che quello a cui assistiamo nel preludio di 1883 è una rappresaglia indiana, provocata dalla rabbia di scoprire le loro famiglie massacrate da un mucchio selvaggio. L’America utopica, espressa in forma simbolica da una ghirlanda di grani e capelli che Elsa porta intrecciati come un segno d’amore e d’appartenenza - la protagonista è sposata a un giovane indiano - sfuma in un assalto altrettanto aberrante contro coloni inermi sbarcati di fresco alla ricerca di una nuova vita in un nuovo mondo che non li vuole. L’Eden è conquistato ma sembra l’inferno.
La serie tv
1883
Western - USA 2021 - durata 55’
Titolo originale: 1883
Creato da: Taylor Sheridan
Con Sam Elliott, Tim McGraw, Graham Greene, Taylor Sheridan, Faith Hill, David Midthunder
in streaming: su Paramount+ Amazon Channel Paramount Plus Apple TV Channel Paramount Plus Amazon Video
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