Óliver Laxe, con Sirât, ha dato uno scossone a Cannes 78. Certo: l’unanimismo con il quale il film è stato accolto induce qualche prudenza, ma è innegabile che l’opera confermi quanto di potente era già emerso dai precedenti lavori (e apparizioni) del regista. Laxe è un fautore del cinema come “estasi” - in senso letteralmente etimologico: uscire da sé, perdersi. Con il suo comparire come “messia selvaggio”, quasi una reincarnazione di Pierre Clémenti, e con il suo cinema che sembra emergere dalle regioni più oscure del doc di sperimentazione (ma anche del cinema psichedelico anni 70), quello di Laxe si presenta come un luogo posto in essere contro le convenzioni del cinema di oggi: pensato, nella sua spericolata ricerca poetica, per opporsi (istintivamente? Involontariamente?) alle convenzioni del cinema contemporaneo (cosiddetto d’autore o da festival).

Laxe, il cui cammino si era intrecciato con quello di Ben Rivers nel meraviglioso The Sky Trembles and the Earth is Afraid and the Two Eyes Are Not Brothers (2015), del quale l’esordio Mimosas (2016) conservava qualche immagine, è una sorta di discontinuità evidente nel sistema valoriale odierno. Il suo è un cinema di frontiere che si sciolgono, e di viaggi (come una reinvenzione dell’andare picaresco) che non giungono da nessuna parte (c’è anche Mad Max, ovviamente). Una feroce determinazione poetica, a voler sondare i limiti della quale la lunghissima (quasi dieci anni) gestazione di Sirât è estremamente indicativa. Per riprendere il titolo del suo secondo film, O que arde (Fire Will Come, 2019, disponibile su MUBI), vi è qualcosa che brucia con profonda determinazione nel suo cinema. Proprio come Amador che, incapace di resistere all’impulso di dare fuoco al mondo, ne ridisegna i confini costringendo coloro che lo abitano a ripensare la loro posizione in esso.

Batte qualcosa di spudoratamente massimalista nel cinema di Laxe nonostante (o forse proprio a causa del)la sua dimensione spirituale (l’aspetto più inquietante, affascinante, in ultima analisi genuinamente “pericoloso”). Nello spazio simbolico del cinema di Laxe (per riprendere un’intuizione di Žižek) «ogni particolare pone il suo universale», atteggiamento che conferisce a ogni elemento del film un fosco afrore di conflitto potenziale. La struttura (sinora) circolare del cinema di Laxe permette di «concettualizzare i due modi opposti di affrontare la dualità di un universale» (sempre Žižek). Laxe si presenta come uno dei nomi più carichi di nuovo: una sorta di Epifania - ardente - per un cinema che, con un robusto approccio mistico da estrema sinistra (contraddizione in termini voluta...), tenta di riportare il cinema in una zona di autentico pericolo. Capace di prendersi il suo tempo, sottraendosi alle richieste della presenza a ogni costo, Laxe ha trovato un suo piano di esistenza nel quale i suoi film diventano l’estensione di un pensiero sensuale e minaccioso, che si offre come uno degli elementi da osservare da vicino nei prossimi anni.
Il film
Fire Will Come
Drammatico - Spagna, Francia, Lussemburgo 2019 - durata 75’
Titolo originale: O que arde
Regia: Oliver Laxe
Con Amador Arias, Benedicta Sanchez, Inacio Abrao, Elena Fernandez, David de Poso, Alvaro de Bazal
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