Luciano (interpretato dall’ex galeotto Aniello Arena) è di Napoli ma si trova a Roma per aiutare l’amico Michele e la parrocchia di cui fa parte. In realtà è Michele ad aver coinvolto Luciano, su supplica della moglie, con l’intenzione di aiutarlo a uscire dalla sua dipendenza, la sua “follia”. E difatti l’uomo sembra guarito, non guarda più il Grande Fratello 24 ore su 24, non soffre di manie di persecuzione che lo convincono che la tv lo stia spiando, né persegue più il suo sogno di far parte del magico mondo del trash Mediaset. O almeno così pare.

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Appena può Luciano fugge e si reca a Cinecittà, entra negli studi del Gf e là osserva più da vicino ciò che vede sempre sullo schermo: assiste a docce e schermaglie, amoreggiamenti e vaniloqui, squallidi balletti davanti allo specchio e discorsi afasici. Non solo non è guarito ma è peggiorato: data la totale assenza di sicurezza e la facilità con cui è entrato non c’è dubbio che Luciano stia vaneggiando, sia nel bel mezzo di una visione a occhi aperti, sia ormai un onironauta del cattivo gusto. Così guarda, e ride. Ride quasi a denti stretti, con uno sguardo ebete che non possedeva all’inizio di un film così incentrato sui suoi primi piani quando non su vere panoramiche intorno al suo capo.

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Poi finalmente si stende su un divanetto della Casa, quello è il suo habitat. La macchina da presa si solleva fino a far coincidere il nostro punto di vista con quello delle stelle: lo studio è un edificio come tanti ma col tetto spalancato, un vero oblò su una realtà, o presunta tale.

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Il gusto per la favola di Matteo Garrone ha i suoi primi veri vagiti in Reality (2012), che sulla carta sarebbe potuto essere un impietoso film sullo statuto estetico di uno star system aborracciato e inutilmente tronfio, come prodotti simili del periodo (ad esempio Videocracy di Erik Gandini); insomma un piccolo satireggiante vademecum sui mostri popolari del berlusconismo. E invece risulta essere una favola contemporanea, con un personaggio ingenuo e fanciullesco alla ricerca del Paese dei Balocchi (la Casa del Gf per chi viene dalla periferia meridionale), con tanto di incontro col Grillo Parlante, quando Luciano resta solo a casa e osserva un grillo appostato sul televisore, scambiandolo forse per una telecamera nascosta.

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Oltre al finale, sopra descritto, le sequenze fiabesche sono altre: la passeggiate negli studi tv durante il primo provino per il Gf, ma anche il ritorno a Napoli acclamato dalla folla; perché Luciano è una sorta di piccolo divo provinciale, fenomeno da baraccone locale che non può che sognare la ribalta capitolina – visti i fenomeni che circolano, non esattamente la fiera del professionismo. L’ossessione di Luciano ci sembra delirio, ma ha una sua ragionevolezza: come quando vuole convincere Michele che “la tv” ha rubato dei suoi passi di danza e li ha insegnati ad altri concorrenti, alle cui tragiche performance stanno assistendo. Non è altro che la versione schizofrenica, allucinatoria del “ma se lui va in tv, perché non io?”, che ci esce automaticamente dinanzi a eclatanti campioni di mediocrità.

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Ma il film è anche una disamina della doppia faccia del voyeurismo: il desiderio di spiare di Luciano è anche il desiderio di essere spiati, e non è un caso che, nonostante la voglia di partecipare, il costante protagonismo, coroni il suo sogno nello studio limitandosi solo a guardare, senza intervenire, diventando alla fine una delle suppellettili della magione. La volontà di essere guardati è l’altro lato della scopofilia, come il sadismo è l’altro lato del masochismo.

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E il sermone in Chiesa rivolto a lui è il tentativo di rimettere ordine nel suo caos interiore: il prete parla di differenza tra “essere” e “apparire”, riproponendo l’argomento biecamente moralistico che si è sentito spesso negli anni d’oro dei reality show, e donandogli la spiritualità di cui Luciano ha bisogno, almeno secondo chi lo circonda. Luciano quindi “guarisce”, cioè finge di guarire, recita. E appena può scavalca il muro, irrompe nel suo habitat e lì ride e sogna, è finalmente felice e appagato. Dimostra quindi di aver capito perfettamente la distinzione, ma l’ha rovesciata rispetto a come vorrebbe la vulgata: “apparire” uno qualunque, uno normale, esibire la propria ordinarietà; ma “essere” un vip, un membro esclusivo della dorata fabbrica dei sogni.

Autore

Dario Denta

Nato a Bari nel 1994, ha studiato Matematica e Filosofia tra Perugia e Firenze, caporedattore de Lo Specchio Scuro, è uno dei conduttori del podcast di cinema Salotto Monogatari. Ha scritto su Shiva Produzioni, L’inutile, Ghinea, La Chiave di Sophia, agit-porn e Immoderati e ha dato un piccolo contribuito al Dizionario Mereghetti 2022. Si interessa di estetica del cinema e della videoarte.

Il film

locandina Reality

Reality

Commedia - Italia 2012 - durata 110’

Regia: Matteo Garrone

Con Aniello Arena, Claudia Gerini, Loredana Simioli, Nunzia Schiano, Ciro Petrone, Angelica Borghese

Al cinema: Uscita in Italia il 30/11/-0001

in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video Rakuten TV Mediaset Infinity