Uno storico pub del South Side di Chicago chiude per sempre, o meglio viene venduto a gente ricca per farci un caffè sofisticato o magari un altro Starbucks, e i suoi ancor più storici proprietari lasciano la città per trasferirsi a Louisville dove c’è ancora posto per neri e sottoproletari. Il pezzo di strada più misero del ghetto è stato quasi interamente acquistato e messo a nuovo, manca solo la casa dei Gallagher, tipica famiglia white trash, conquistata con fatica e sudore (non proprio leciti: hanno dovuto seppellire una zia morta in giardino di nascosto e truccato un testamento).

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Ma il fratello maggiore Lip (Jeremy Allen White) è disposto a vendere, con il beneplacito del resto dei fratelli tranne la sorella Debbie (Emma Kenney) giovane madre single che non ha un posto dove andare. Un altro simbolo del degrado e della povertà sparisce. Eppure non c’è niente di positivo in questa trasformazione: la famosa gentrification, auspicata dai liberal, ripulisce il quartiere ma lo de-storicizza, lo tramuta in un non-luogo (il noto neologismo dell’antropologo Marc Augè non sembra adattarsi solo a luna park e supermarket).

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E mentre il quartiere si rinnova lo fanno anche i suoi abitanti: i baristi Kev e Veronica emigrano, i giovani fratelli Gallagher affrontano la vita adulta non più tutti assieme, sperimentano per la prima volta indipendenza e solitudine, creando nuove famiglie di certo migliori di quella da cui provengono. E il vecchio patriarca Frank (William H. Macy nel ruolo della vita), vera icona dello sporco, delirante, goliardico e truffaldino South Side, vaga sperduto in un mondo che non riconosce più perché deformato dal Covid e dai nuovi flussi di denaro; affetto da demenza alcolica, tenta il suicidio senza riuscirsi, e infine muore proprio a causa del terribile virus che ha messo sotto scacco il pianeta per due anni.

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A parte gli infermieri con lui non c’è nessuno, perché a nessuno importa di lui, men che meno i figli, legati al padre da un rapporto di reciproco menefreghismo. Shameless (2011-2021, 11 stagioni tutte su Netflix) è stata la serie più politically scorrect e legata all’attualità prodotta negli Usa nel nuovo secolo (anche se si ispira a una omonima britannica non altrettanto valida e di successo). Dalla povertà dei ghetti multietnici, alla gentrification, ai disservizi del sistema sanitario federale, dalla transessualità e i nuovi linguaggi delle minoranze fino appunto, nell’ultima stagione, alla pandemia.

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Nonostante questo il finale presenta l’unico elemento soprannaturale dell’intera serie, caso singolo e terminale: il mito negativo Frank Gallagher muore in ospedale e si presenta come spirito allo storico pub Alibi dove si è distrutto il fegato e ha ignorato i figli per tutta la vita; siede al suo solito sgabello e il bicchiere gli si riempie magicamente di birra quando lo vuota.

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Sale in cielo col boccale in pugno e lascia un ultimo messaggio diseducativo ai figli (e agli spettatori): ‘non vi ho mai amato particolarmente ma vivete la vita al meglio, fregatevene di famiglia e affetti, sballatevi di più’. Frank rimane uguale a se stesso, anche se notiamo proprio in punto di morte uno dei suoi rari momenti di affetto, quando cerca la figlia maggiore Fiona in giro per la città, e riemerge un senso di colpa nei suoi confronti mai confessato ma già intravisto (nella quarta stagione, sempre in ospedale).

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I suoi figli invece sono cambiati, non tutti in meglio e non tutti come avrebbero voluto. Lip, condannato a rimanere un rider, ha sprecato l’occasione del college e in una scena devastante lo vediamo far arricchire involontariamente un figlio di papà che ne capisce di computer la metà di lui.

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Shameless è stata attenta a dare ai suoi personaggi un futuro plausibile, non un facile happy end, che sia conforme alla loro condizione e alle possibilità concrete di mobilità sociale che dà l’America. Ci ha mostrato tutte le facce più negative di un paese, ci ha fatto affezionare ad esse e poi ce le ha tolte per sempre perché nella nuova America non c’è spazio per esse, o almeno non ce n’è a Chicago.

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I poveri fuggono dal ghetto, i simboli muoiono (l’Alibi e Frank, ma anche il terribile Terry Milkovich) e le nuove generazioni si apprestano a vivere una vita meno scorretta, più onesta e più responsabile, senza potersi liberare di quell’odore di emarginazione e degrado in cui sono cresciuti, eterno handicap sociale. Possono tutt’al più ridersela per una Tesla che va a fuoco e canzonare chi se la può permettere (“sei contento di aver speso 80.000 dollari per un barbecue?”) ma percepiamo che per la prima volta sono fuori posto a casa loro.

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Autore

Dario Denta

Nato a Bari nel 1994, ha studiato Matematica e Filosofia tra Perugia e Firenze, caporedattore de Lo Specchio Scuro, è uno dei conduttori del podcast di cinema Salotto Monogatari. Ha scritto su Shiva Produzioni, L’inutile, Ghinea, La Chiave di Sophia, agit-porn e Immoderati e ha dato un piccolo contribuito al Dizionario Mereghetti 2022. Si interessa di estetica del cinema e della videoarte.

La serie tv

locandina Shameless (US)

Shameless (US)

Commedia - USA 2011 - durata 55’

Titolo originale: Shameless (US)

Creato da: Paul Abbott

Con Eloy Casados, Scott Michael Campbell, Raffi Barsoumian, William H. Macy, Judie Garcia, Marcello Thedford

in streaming: su Netflix Amazon Prime Video Netflix basic with Ads