Su prezioso suggerimento di Pier Maria Bocchi ho scoperto Five, misconosciuto film del 1951 – distribuito in Italia col poco significativo titolo Anni perduti, l’originale fa invece riferimento al numero dei suoi personaggi – che tra i suoi meriti annovera anche il fatto di essere stato tra i primi a descrivere le possibili conseguenze di una guerra nucleare. A produrlo, scriverlo e dirigerlo è Arch Oboler, una personalità poliedrica: sceneggiatore, autore radiofonico con la passione per le narrazioni distopiche (caratteristiche per le quali è stato talvolta accostato a Orson Welles), poi regista anche di Bwana Devil, non il primo film in 3D della storia, come viene spesso erroneamente considerato, ma quello che ne lancia la golden age.

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Bwana Devil

Oboler fu anche un grande amico di Frank Lloyd Wright, a cui dedicò un documentario e dal quale si fece sviluppare un complesso di immobili all’interno del suo immenso ranch sulla Mulholland Highway di Malibu, dove scelse di ambientare interamente il suo postatomico. Unica opera di Wright a Malibu (nonostante la sua familiarità con la California meridionale), il progetto – noto come Arch Oboler Complex o Eaglefeather – prende avvio nel 1940 ma, rispetto alle ambiziose intenzioni originali del committente (il quale immaginava anche la presenza di uno studio cinematografico e di una serie di scuderie complete di paddock), resta incompiuto. A essere realizzati saranno solo due edifici: una struttura pensata come corpo di guardia, che divenne la residenza a tempo pieno dei proprietari e dei loro quattro figli e che comprendeva una zona giorno, un’area lavoro, una camera da letto, un bagno e le stalle; e un piccolo cottage squadrato collocato su uno sperone di roccia, pensato come rifugio personale della signora Oboler – è infatti noto come Eleanor’s Retreat – e set principale di Five.

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Five

Il nuke movie si apre sulle immagini del fungo atomico e del pulviscolo tossico che avvolge alcuni luoghi simbolo della civiltà mondiale. Poco dopo, la macchina da presa inquadra una donna, Roseanne che, squassata dalla fatica, emerge da un bosco e rivolge lo sguardo a una costruzione che la sovrasta e che le appare come un miraggio: è l’Eleanor’s Retreat o Cliff House (così indicato nei credits sui titoli di coda, con tanto di attribuzione a Wright).

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Five

Roseanne (il cui marito, si scoprirà, era un architetto) si abbarbica alle pareti dello chalet con l’entusiasmo di chi ha trovato la salvezza, ed entrandovi si guarda intorno con aria estatica. Vede lampade, libri, un fuoco che arde nel camino: indizi di una civiltà scampata all’apocalisse. A sedarne l’angoscia intervengono i segni della tipica cifra wrightiana: la commovente purezza dei volumi, le assi di legno che avvolgono la cabina come un bozzolo naturale, la pietra locale che irrompe nell’abitato eliminando ogni distinzione tra interno ed esterno, le grandi finestre con vista mozzafiato sulle colline dei dintorni, che annullano i confini dello sguardo e fanno esclamare a un altro dei protagonisti: “C’è solo una vetrata tra noi e quello che ci serve”.

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Five

Un rifugio idillico che Obler, con grande intelligenza registica, riesce a modulare a piacimento, trasformandolo, alla bisogna e grazie a una serie di piani ravvicinatissimi, in uno spazio concentrazionario, asfissiante: avviene nella scena in cui il razzista Eric aggredisce il nero Charles, con le mura che sembrano animarsi per stringersi attorno ai due uomini fino a soffocarli. La casa è un organismo che sembra in grado di difendersi da questa violenza, espellendola da sé: non è un caso se Eric si auto relegherà a vivere in una baracca costruita a fianco del cottage: corpo estraneo all’interno di un corpo estraneo, disarmonia in un’appendice disarmonica e fuori contesto.

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Five
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Five
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Five

Come non sarà un caso che il rifugio, con l’implacabile essenzialità geometrica di un profilo che sembra ritagliato nel cielo, si staglierà alle spalle dei due sopravvissuti nell’immagine che chiude il film (prima della traballante ripresa aerea speculare a quella iniziale). Un’architettonica ancora di salvataggio per un futuro tutto da inventare, un monito a preservare l’armonia e le giuste proporzioni. Ma se l’Eleanor’s Resort della finzione è stato risparmiato dall’esplosione nucleare, non lo è stato però dagli incendi che hanno devastato la California meridionale nel 2018: l’intero complesso è stato raso al suolo, mentre le armature risparmiate dalle fiamme sono state demolite per motivi di sicurezza. Uno di quei casi, tutt’altro che infrequenti, in cui la realtà è più spietata di qualsiasi fantasia.

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Five

Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Anni perduti

Anni perduti

Horror - USA 1951 - durata 93’

Titolo originale: Five

Regia: Arch Oboler

Con William Phipps, Susan Douglas Rubes, James Anderson, Charles Lampkin, Earl Lee