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The Mansion of the Ghost Cat

Regia di Nobuo Nakagawa vedi scheda film

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La recensione su The Mansion of the Ghost Cat

di maurizio73
6 stelle

Il film di Nakagawa contempla tanto le esigenze di una produzione seriale che minimizza i costi e massimizza l'originalità delle soluzioni tecniche, quanto quelle di una specificità autoctona che contamina i modelli occidentali di riferimento con la più riconoscibile tradizione del kaidan legato al mito della donna gatto ancora tanto in voga.

La trasferta in una vecchia magione nel paese natale, è per il dottor Kuzumi una scelta dettata da un ambiente più salubre dove curare le affezioni tisiche della consorte e l'occasione per aprire un avviato studio medico al servizio della comunità locale. Il luogo però non tarda a manifestare l'inquietante presenza di un essere sovrannaturale dalle sembianze feline, che prende inspiegabilmente di mira proprio la sfortunata moglie dell'uomo. Una breve indagine nel locale monastero buddhista servirà a svelare l'arcano e liberare i coniugi da un'antica maledizione ancestrale.

 

 

 

La truce vendetta della donna gatto

 

Rinverdendo una tradizione legata alle leggende sui bake-neko del periodo Anei, sulle molteplici rappresentazioni di yokai animali del teatro kabuki ma soprattutto sulle prime produzioni indipendenti di kaibyo eiga datate agli albori del cinema giapponese (Okazaki no neko - Makino Shozo, 1914) fino alla più prolifica produzione degli anni '30 (Saito Hakko, Mokuto Shigeru, Ushiara Kiyohiko, Kumaga Soya), il maestro indiscusso dell'horror nipponico degli anni '50 Nakagawa Nobuo si cimenta con un soggetto che aveva assunto alla fine del periodo una connotazione legata tanto ai miti tradizonali del folklore locale quanto alle più generali riflessioni sulle trasformazioni in atto nel corpo femminile come metafora delle mutazioni genetiche di un paese ancora traumatizzato dell'olocausto nucleare. Per la verità, se nel periodo prebellico erano piccole case indipendenti che si specializzarono in queste produzioni low budget (Kyokuto Eiga Co, Shinko Kinema, Zensho Kinema), durante la censura del periodo di guerra questi film di fantasmi vennero scoraggiati per la frivolezza dei temi e più ancora osteggiati dalla successiva amministrazione americana (come tutto ciò che richiamava le tradizioni di onore e vendetta feudali) fino al 1949; dopodichè il fallimento o l'accorpamento di case minori nelle più grandi compagnie cinematografiche favorì lo sviluppo di una florida produzione di genere prevalentemente nelle mani della Shintoto e della Daiei. Il film di Nakagawa quindi contempla tanto le esigenze di una produzione seriale che doveva minimizzare i costi e massimizzare l'originalità delle soluzioni tecniche, quanto quelle di una specificità autoctona che contaminasse i modelli occidentali di riferimento (da Il Gatto nero a Il Barile di Amontillado da Edgar Allan Poe al cinema gotico americano di Jacques Tourneur) con la più riconoscibile tradizione del kaidan legato al mito della donna gatto (nekomusume) e delle implicazioni tanto feconde nell'immaginario popolare da persistere nel j-horror e nei manga giapponesi fino alle più recenti produzioni commerciali.

 

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Come nel cinema di Val Lewton e della RKO del decennio precedente quindi, anche qui assistiamo ad una struttura ellittica del racconto, in cui tre piani temporali si alternano in una struttura narrativa a flashback nella quale si comincia dal presente, si ricorda un passato più prossimo, si rivanga una storia ancestrale per poi ritornare ai due tempi più recenti nella soluzione del mistero e nello scioglimento del dramma; con la particolarità di conferire a ciascuna tranche temporale una balzana ed originale attribuzione cromatica: bianco e nero per il presente, tonalità cobalto per il passato prossimo ed Eastmancolor per quello più remoto, rimarcando con questo piccolo espediente tecnico un simbolismo narrativo che funga da spartiacque tra le varie fasi nella successione dei generi: dal dramma familiare, al giallo sovrannaturale fino al kaidan tradizionale e ritorno. Lo stesso schema si riconosce quindi nell'alternarsi delle ambientazioni e della messa in scena, con una strizzatina d'occhio al thriller psicologico del già citato Tourneur (la scena iniziale dell'inseguimento notturno e la simbologia della donna felino che ricordano la maledizione de Il Bacio della Pantera), ai classici firmati Poe tra gatti e corvi neri e truculente lupare bianche, fino alla più tradizionale delle storie di fantasmi con una intricata vicenda di delitti e contrappassi a sfondo familiare dove l'onryo della misteriosa nekomata burattinaia non guarda in faccia nessuno nel condurre alle sue estreme conseguenze la sua spietata faida trasversale. 

 

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Insomma siamo dalle parti di un versatile estro artigianale che ricompatta sintatticamente una storia un po' troppo disarticolata, puntando sulla efficace ricostruzione d'ambiente, sull'utilizzo del colore e dell'insistito tema musicale e soprattutto su intelligenti movimenti di macchina che, tra piani sequenza, scene riflesse e umbratili trasparenze finiscono per lasciare quasi sempre fuori campo le azioni più cruente a tutto vantaggio del mistero e della tensione che riescono ad evocare. Finale consolatorio per meri fini commerciali ed una durata da mediometraggio (67 minuti) che sembra allungarsi grazie alla struttura ad incastro ed al buon ritmo conferito alla narrazione. Non ha mai varcato (se non in edizione home video) i confini delle terre asiatiche.

 

 

 

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