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Motion Picture: Choke

Regia di Nagao Gen vedi scheda film

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La recensione su Motion Picture: Choke

di EightAndHalf
6 stelle

In un presente alternativo, che potrebbe essere un futuro distopico ma anche un passato inesistente, una donna vive come una cavernicola dentro lo scheletro di un edificio – anche questo non si sa bene se diroccato, quindi vecchio, o mai finito, quindi nuovo. Il suo incubo ricorrente di una figura nera, che le si avvicina mentre dorme e cerca di violentarla, la tormenta e non le permette di prendersi il meritato riposo da giornate di sfacchinate avanti e indietro, da un ruscello per approvvigionare la sua acqua o dal bosco per cacciare qualche coniglio. Lo stupro subìto da tre uomini e l’incontro con un altro cavernicolo che sembra dolce ed equilibrato portano la protagonista a rivedere e ridefinire la forma maschile aggressiva che tormenta i suoi incubi.

È un mondo alla Kaneto Shindo, quello che intercetta la macchina da presa di Gen Nagao, ex assistente alla regia di Kiyoshi Kurosawa. Ed è un mondo muto, fatto di micro-sinfonie di rumori, di gemiti analfabeti, di gocciolii ritmati, mentre ondeggia fra i generi (horror, comico, drammatico) unificati solamente dal patinato bianco e nero. È un mondo alla Kaneto Shindo perché il desiderio è duplice, è ambiguo, spesso è mortifero e brutale, costringe a bivi irrimediabili e a conflitti irrisolvibili fra gli uomini. C’è alla base un’idea nichilista di impossibilità della convivenza tra umani – tra i due sessi, ma anche in generale tra le persone – che rende Movie (Choke) uno scontro diretto tra spettatore e abisso. Il pessimismo cosmico di un mondo non distratto nemmeno dalla civilizzazione, come se l’impossibile convivenza fosse inscritta nella natura umana, mentre l’immagine cinematografica si riassesta su un primitivismo essenziale, ben gestito e mai sostituito dalla scrittura di eventuali cartelli perché sarebbe, appunto, un tradimento dell’assunto in-civile e a-grafico di tutto il film. Nagao sa articolare i pochissimi strumenti che ha a disposizione, e pur dilungandosi troppo trova la quadra per la sua formula: per tre quarti la trova sull’ovvia ma complessa autodeterminazione della protagonista, e nell’ultimo quarto la trova nell’interrogazione non scontata delle azioni finali della stessa protagonista, messe ancora una volta di fronte a un dubbio: forse l’essere umano singolo, solitario, isolato da tutti, non può convivere, per natura umana, nemmeno con se stesso.

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