Il cinema ha uno svantaggio rispetto alle altre forme d’audiovisivo che producono le immagini di guerra che da mesi popolano i nostri dispositivi di visione domestica: arriva dopo, è frutto di una riflessione, di una mediazione, naturalmente di una post-produzione. Uno svantaggio che in realtà è una fortuna, dal momento che permette di ponderare l’uso delle immagini e delle parole; di conoscere, di attraversare gli spazi, di incontrare le persone senza spingerle a parlare e mostrarsi. Il cinema protegge, laddove l’audiovisivo può semplicemente esporre.

Il potere di questa azione di difesa è il vero nocciolo della questione, anche di fronte alla guerra in Ucraina. Un film come The Earth Is Blue As an Orange, in programma al Meet the Docs! Film Fest di Forlì, in cui la regista Iryna Tsilyk ha ripreso la vita di una madre e dei suoi quattro figli che vivono (vivevano?) nel Donbass ruota proprio attorno alla possibilità di affrontare (cioè guardare) la guerra attraverso la mediazione del cinema in quanto dispositivo, passione e lavoro.

Che le immagini possano servire da schermo, da protezione ideale lo abbiamo anche scritto qualche settimana fa a proposito di Reflection di Valentyn Vasyanovych, in cui la posizione frontale della mdp trasforma vetri e specchi in schermi, in superfici che proteggono i personaggi dalla violenza. Il cinema non salva dalla morte, non cambia le cose e nemmeno aiuta a capirle, forse, però offre una mediazione, un riflesso che si fa riflessione.

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Scena di Reflection di Valentyn Vasyanovych


Quando quattro anni fa uscì Donbass di Sergei Loznitsa, che raccontava la guerra all’epoca già in corso fra esercito ucraino e forze filorusse, tutti o quasi reagirono - anche giustamente - alla distorsione grottesca di quel film con il fastidio di chi ha visto troppo: troppa cupezza nelle riprese delle catacombe piene di civili, troppa sguaiatezza nella scena del matrimonio tra un uomo e una donna filorussi, troppa rabbia nell’umiliazione di un soldato ucraino legato a un palo. Ma quando quelle cose abbiamo cominciato a leggerle e vederle quasi tutti i giorni, cosa ne è stato dei toni eccessivi di Loznitsa?

Erano una distorsione esagerata o un modo per cogliere il senso di quell’orrore iperrealista, la deriva, cioè, di un conflitto segnato dall’odio etnico, dalla bava alla bocca di un popolo che sente il pericolo venire dal proprio fratello? E come ha reagito, per esempio, chi ha letto su “la Repubblica” la notizia dei forni crematori portatili usati dai russi per far sparire i prigionieri torturati e uccisi, se quegli stessi forni li aveva già visti proprio in Reflection? Il cinema, ancora, non anticipa o predice nulla: il cinema unisce i punti, scova nella realtà i segnali di una verità che resta comunque parziale. Il cinema è un’ipotesi.

In Bad Roads - Le strade del Donbass di Natalya Vorozhbit i quattro episodi che compongono il film sono come cerchi concentrici, come una vicenda unica declinata in modi diversi. La metafora non potrebbe essere più chiara: la guerra è il fuoricampo che invade i bordi dell’inquadratura, ciò che tutti colgono ma nessuno vede; il centro, invece, è delle persone, di chi il conflitto l’ha interiorizzato senza più distinguere fra vita e guerra, amore e violenza.

In un altro film di Vasyanovych, Atlantis, sono i cadaveri dissotterrati dalle fosse a essere indistinguibili l’uno dall’altro, anche se ucraini o russi: la morte è la loro unica realtà. La vita, invece, sta dentro un’immagine, è nei corpi avvinghiati di un ragazzo e una ragazza il cui calore sprigiona colori fluo: rosa, giallo, blu elettrico.

Il programma

«Dal margine al centro», per dirlo con la compianta bell hooks: la 6ª edizione di Meet the Docs! Film Fest, a Forlì dal 18 al 22 maggio 2022, è, come spiega il direttore artistico Matteo Lolletti, «un atto politico». S’intitola Echi dal margine e il suo programma si muove lungo i limiti: di luoghi periferici e conflittuali, di linguaggi e forme prefissate, da forzare per poter andare oltre.

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Scena di Atlantide di Yuri Ancarani


All’inaugurazione il 18 maggio con con Atlantide di Yuri Ancarani seguono quattro giornate aggregate attorno ad altrettanti macrotemi, da sfogliare attraverso il cinema documentario: le rotte delle migrazioni, dall’estremità meridionale del Sahara, con The Last Shelter di Ousmane Samassekou, alle tragiche traversate del Mediterraneo con Purple Sea di Amel Alzakout e Khaled Abdulwahed; le lotte contro l’imminente apocalisse climatica, dalla resistenza ecologista della foresta di Hambach, in Hambachers di Leonora Pigliucci e Claudio Marziali, alle battaglie ambientaliste che s’accendono in tutto il mondo, in Now di Jim Rackete; le oppressioni legate al genere e all’orientamento sessuale, con Dying to Divorce di Chloe Fairweather sulla condizione femminile in Turchia, e con il pluripremiato doc animato Flee di Jonas Poher Rasmussen; e infine i luoghi dove deflagrano tutte le contraddizioni non ricomponibili, cioè i terreni di conflitto: la resistenza non violenta palestinese, in Sarura - The Future Is an Unknown Place di Nicola Zambelli, e la quotidianità del Donbass, in The Earth Is Blue As an Orange di Iryna Tsilyk. Oltre ai doc, ci sono incontri e panel (tra cui uno sulla narrazione mediatica della guerra, con focus sulla situazione ucraina, e uno su Pasolini con il nostro Matteo Marelli), presentazioni di riviste (“Arabpop”, “Menelique”, “Frute”...), una mostra, degustazioni di vini, dj set e musica live.

Autore

Roberto Manassero

Roberto Manassero lavora come selezionatore al Torino Film Festival, è capo-redattore del sito www.cineforum.it e collaboratore delle riviste Film Tv e Doppiozero. Ha scritto un libro su P.T. Anderson, uno su Hitchcock e uno sul melodramma hollywoodiano. Tra i curatori del programma del Circolo dei lettori di Novara, tiene lezioni di cinema in scuole, musei e associazioni cultura.