Mostra del cinema di Venezia 2024
Il Totoleone di Film Tv
PEDRO ARMOCIDA
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà La stanza accanto di Pedro Almodóvar
EDDIE BERTOZZI
Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
CATERINA BOGNO
Vorrei vincesse - di -
Vincerà - di -
GIULIA BONA
Vorrei vincesse - di -
Vincerà - di -
MASSIMO CAUSO
Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
MARIA SOLE COLOMBO
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
ADRIANO DE GRANDIS
Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
FIABA DI MARTINO
Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà April di Dea Kulumbega
SIMONE EMILIANI
Vorrei vincesse Joker: Folie à deux di Todd Phillips
Vincerà La stanza accanto di Pedro Almodóvar
ILARIA FEOLE
Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
MARCO GROSOLI
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
ROBERTO MANASSERO
Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
MATTEO MARELLI
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà Harvest di Athina Rachel Tsangari
GIONA A. NAZZARO
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà Maria di Pablo Larraín
LUCA PACILIO
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
EMANUELE SACCHI
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà April di Dea Kulumbega
GIULIO SANGIORGIO
Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet
CARLO VALERI
Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà April di Dea Kulumbega
Le recensioni dei film in concorso
29 agosto
Maria
di Pablo Larraín
«Cosa è reale e cosa no è affare mio». Lo dice la Callas (Jolie) al maggiordomo (Favino), che con la cuoca (Rohrwacher) si prende cura della casta diva gli ultimi giorni, a Parigi. Ma la sua casa è l’opera, e dunque il passato, quella voce perfetta che non riesce a riprodurre, quel canto che l’ha salvata dalla madre mentre ora il corpo fa fatica e i farmaci - assunti smodatamente - confondono dato e memoria, rinchiudendola nella ghost story di quel che era. Maria non è come Spencer, al limite come Jackie (non solo per Onassis). Un nome proprio, un soggetto che cerca ancora di scriversi, di definirsi, di tenersi insieme come vuole, come può, anche nel cupio dissolvi, anche cantando (finalmente) solo per sé. Una donna privata, che il cinema sottrae al mito documentato: manipola l’archivio, tarocca la cronaca, cortocircuita la diva con la star. Fedora, prima che Viale del tramonto. Ma Larraín, qui, si ripete. Struggente? Sì, ma come fosse un testo già dato, solo reinterpretato. Che sia l’opera?
Giulio Sangiorgio, voto: 6
El Jockey
di Luis Ortega
Buenos Aires. Remo Manfredini è un fantino leggendario. Di una scuderia mafiosa. E con un trauma oscuro. Alcol e droga, nichilismo burlesco e una collega di squadra (incinta) come compagna. «Ti amerò ancora: se muori e rinasci». Detto, fatto: un incidente ricercato, un coma da cui uscire (o forse no?) cambiato, en travesti, uomo donna o x, migliore e condannato a morte (o nuova vita?) dalla cosca. La risposta alle domande tra parentesi è già tra le righe. Ortega torna, dopo Lulu, a giocare con Nahuel Pérez Biscayart (120 battiti al minuto) in un cinema che qui si presenta come calco comico, esibito e svergognato: una caricatura del capostipite delle nuove risate amare argentine, ovvero Martin Reijtman, ma anche di Kaurismaki, Fassbinder, Rodrigues, Lynch e, naturalmente, Almodovar. Come dire? Tra I delinquenti di Rodrigo Moreno e I misteri del Bar Étoile di Abel/Gordon, ma privo di genio (cinematografico o di costume): solo un esercizio di divertito e divertente postmodernariato.
Giulio Sangiorgio, voto: 5
30 agosto
Trois amies
di Emmanuel Mouret
«La gente preferisce i titoli allegri» dice un personaggio, e in modo non dissimile Mouret semplifica dietro le sue tre amiche la rete di amori, disamori, tradimenti e separazioni che si susseguono a spron battuto in due ore di insuperabile sintesi di scrittura, aperte e chiuse dalla voce narrante dell’attore feticcio Vincent Macaigne. Una ronde che, come spesso nell’autore francese, guarda a Woody Allen (sin dal font dei titoli) e a Rohmer, ma sempre con quel surplus di empatia che rende i suoi film capitoli di una cruciale educazione sentimentale: ribaltando l’assunto pascaliano che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce», Mouret costruisce poligoni amorosi i cui spigoli non feriscono, perché custoditi dalla capacità impagabile di ciascun personaggio di mettersi nei panni dell’altro, di sapere farsi da parte (come lo spettro gentile che fa qui un’apparizione), di sapere che amare, a volte, vuol dire sparire.
Ilaria Feole, voto: 8
Babygirl
di Halina Reijn
Romy ha la classica vita perfetta (famiglia amorevole, marito focoso, posto di CEO) che nasconde sempre un buco, e nel suo caso quel vuoto ha la forma di un desiderio inesprimibile tra le lenzuola coniugali: quello di essere dominata, schiacciata, umiliata. Un giovane stagista le annusa addosso questa imperiosa necessità e si accende una relazione i cui rischi fanno parte del gioco, perché di gioco si tratta: Romy e Samuel (Nicole Kidman, il cui corpo divistico è qui mostrato e messo a tema anche nei suoi infiniti ritocchi, e Harris Dickinson) tastano il terreno per costruirsi una relazione sadomasochistica su misura, goffamente, teneramente, come in un Secretary a ruoli invertiti. Più che un thriller, una satira dell’era #MeToo; una commedia erotica sulla legittimità del desiderio femminile e (come già Bodies Bodies Bodies) un impietoso sguardo della regista (classe 1975) alla propria generazione, messa in riga da quelle successive.
Ilaria Feole, voto: 7
Leurs enfant après eux
di Ludovic Boukherma, Zoran Boukherma
È il 1992 (l’anno di nascita dei gemelli registi) e gli orizzonti, per gli adolescenti di un paesino della Lorena, sono limitati sino all’asfissia: per respirare un po’, Anthony ruba la moto del padre per una sola sera, ma proprio quella sera si innamorerà di Stéph e si farà fregare la moto da Hacine, innescando una faida lunga un decennio, alimentata dal razzismo radicato verso i francomaghrebini. Dal romanzo E i figli dopo di loro di Nicolas Mathieu, i gemelli Boukherma traggono un coming of age bifronte, che segue Anthony e Hacine per tutti gli anni 90, al ritmo di una colonna sonora di “pezzi facili” (che già scandivano i capitoli del libro: Nirvana, Springsteen, Red Hot Chili Peppers). L’affresco sociale tratteggiato è un po’ acerbo, ma il racconto di queste adolescenze (di)sgraziate è vitale e verace, soprattutto grazie al magnetico corpo attoriale di Paul Kircher (la migliore, però, è una matura Ludivine Sagnier dagli occhi colmi di amarezza).
Ilaria Feole, voto: 7
31 agosto
Campo di battaglia
di Gianni Amelio
Una macchina a mano che accarezza come un carrello; che ti mostra cose terribili senza edulcorarle nel nome dell’epica, ma che ha anche pietà delle ferite, le sofferenze, le debolezze, gli errori e gli orrori che ti sta mostrando: un giro intorno a un cumulo di cadaveri in mezzo ai quali si fa strada, all’improvviso, una mano spalancata che implora aiuto; un ospedale militare vicino alla linea del fronte della Prima guerra mondiale; un cortile nel quale allestire un’esecuzione “esemplare”; un buco nero che funziona anch’esso da ospedale, infossato da qualche parte in mezzo a un altipiano. Campo di battaglia non racconta la guerra come ce la immaginiamo, quella che si vince a colpi di fucile e cannoni e titoloni sui giornali (“Vittoria!”), ma l’altra: la guerra di chi è malamente sopravvissuto al fronte e non vuole tornarci, di chi ne cura le lacerazioni, di chi combatte le malattie, anche quelle sconosciute, anche le epidemie improvvise e devastanti, di chi è ligio alle regole e chi, invece, le regole le aggira e le inventa, e di chi si tira su le maniche e va avanti. “Qui non muore nessuno” non sono solo le ultime parole pronunciate nel nuovo film di Gianni Amelio, ma una specie di mantra, ripetuto due volte, un atto di volontà folle e disperato in un mondo fatto di malattia, dolore, morte, incomprensioni, buio, ricerche e certezze tutte più o meno vane. Non un film di guerra, perciò, ma un film sulle guerre che tutti, isolati o in gruppi, popoli, etnie, tutti noi poveracci, abbiamo combattuto e combattiamo quotidianamente. Dietro una rigorosa ambientazione storica, fatta non solo e non tanto di divise, vagoni ferroviari, ville palladiane, quanto di linguaggi, dialetti incomprensibili l’uno all’altro che si mescolano in quel crogiolo di sangue, Campo di battaglia ci parla soprattutto di quello che stiamo vivendo, rinunciando all’epica e scegliendo invece un sofferto, rigoroso umanesimo. Importa poco, in realtà, chi vince e chi perde, se c’è un “buono” e un “cattivo” tra i quali scegliere: Giulio e Stefano, i due amici e compagni di università divenuti medici militari, racchiudono entrambi ambiguità e debolezze, anche se oggi (ma forse anche allora, nel 1918, “l’anno della vittoria”, come annuncia un’amara didascalia iniziale) è inevitabile scegliere la rigorosa dedizione alla ricerca e alla “salvezza”, costi quel che costi, cui si dedica Giulio dietro i suoi occhialini tondi, sfidando la combattiva rigidità di Stefano, figlio di una classe che non ammette sconfitte, ma che è umanamente morta. E affidarsi a chi ha perso ancora prima di cominciare a “giocare”: la loro compagna di università, Anna, che in quanto donna non à riuscita a laurearsi in medicina e per questo è diventata volontaria crocerossina, anche lei al fronte, testarda custode della vita. Un gran film sull’utopia, immerso per lo più in anfratti scuri e dolorosi (rari gli esterni e spesso grigiastri), dove niente sembra poter sopravvivere, se non quel filo assurdo che tiene ciascun essere legato alla vita. Nonostante tutto, anche oggi.
Emanuela Martini, voto: 9
The Order
di Justin Kurzel
L’australiano Kurzel guarda alle tensioni sociali dell’America contemporanea andando a pescare un caso di cronaca di quarant’anni fa, quello di Robert Jay Mathews, leader di un gruppo armato di suprematisti bianchi che nei primi anni 80, con rapine a banche e portavalori, tentò di finanziarsi un colpo di stato. Sul caso indaga il fittizio agente dell’FBI Terry Husk, incarnato da un Jude Law massiccio e febbrile, simultaneamente preda e cacciatore del guru neonazista Mathews (con la faccia d’angelo di Nicholas Hoult). Il film guarda alle atmosfere livide della serialità cupa e muscolare della prestige tv, True Detective su tutti, con qualche forzatura di sceneggiatura cui forse proprio un formato seriale avrebbe giovato; il sostrato (non così approfondito) di violenza e cieco razzismo di un’America incapace di evolvere resta l’aspetto più interessante di un onesto thriller, teso ed efficace.
Ilaria Feole, voto: 6
The Brutalist
di Brady Corbet
Nell’anno di Megalopolis, e ispirandosi a La fonte meravigliosa di King Vidor, la biografia immaginata di un architetto: László Tóth (Adrien Brody), ebreo emigrato da Budapest e sopravvissuto all’Olocausto, in patria star Bauhaus, negli States ultimo, accolto, tollerato, usato e abusato. Al centro, il rapporto con un milionario gli propone un progetto smisurato. 3 ore 35, 70 mm Vistavision (al Lido fuori fuoco), e un’idea di cinema smodato, sempre sulle sorti non proprio magnifiche e progressive del talento. Bascula tra poli lontani e inconciliabili, László Nemes e P. T. Anderson, assilla coi traumi di un secolo e le logiche del capitale il corpo e la psiche di un uomo, esaspera la dialettica servo/padrone tra artista e produttore, asserisce la necessità, nelle mode e nelle medie di oggi, di un gesto-cinema aggressivo, financo grave o greve nello stile. Le dimensioni contano: il finale chiede di tornare leggere, dietro il monumento (e quindi il film), come la forma si fa contenuto.
Giulio Sangiorgio, voto: 8
1° settembre
I’m Still Here
di Walter Salles
“Non si può non fare niente” dice un amico a Eunice Paiva. È il 1971, lei è tornata a casa dopo giorni di detenzione da parte dell’esercito brasiliano; suo marito Rubens, ex deputato e, a insaputa della consorte, attivo in favore dei prigionieri politici, è ancora nelle mani del governo dittatoriale, e a casa non tornerà mai. Non si può non fare niente, ed Eunice, ora sola coi cinque figli, un conto in banca congelato, una vita dilaniata, decide di fare qualcosa. Foss’anche solo sorridere in una foto dove la si vorrebbe mesta. Salles confeziona un dramma civile misurato, saldamente poggiato sulle spalle dell’ottima Fernanda Torres (figlia d’arte di Fernanda Montenegro, qui in cameo) e su un uso sapiente degli spazi tra interno ed esterno (la casa dei Paiva, set articolato e “parlante”, e la spiaggia come orizzonte di libertà utopica); un manifesto, non sempre al netto di retorica, sull’importanza del ricordare per non ripetere la Storia.
Ilaria Feole, voto: 6
2 settembre
La stanza accanto
di Pedro Almodóvar
Una scrittrice che racconta il suo timore per la morte (Moore) ritrova un’amica, una reporter di guerra malata terminale (Swinton), che le chiede un gesto estremo: stare con lei fino al giorno scelto per uccidersi, con una pillola, in una casa nel bosco. Attenta!: l’eutanasia è ancora un reato, ed è necessario non rivelare d’esserne complici. Il voto qui sotto è quello a cui solo i maestri - e il loro cinema fuori dal tempo - possono ambire: in Almodóvar, oggi, tutto è asciutto e abissale, ogni segno è evidente, essenziale. Quello che sembra un possibile gioco sulla soglia (tra vivere e morire, ma anche tra realtà e fiction, con quelle professioni dedite al racconto, i film citati, libri letti e commentati) si libera da ogni ipotesi meta, da ogni slancio di genere (thriller, naturalmente), e rigetta le esche lasciate durante il percorso. Sceglie la vita, accetta la morte: usa il cinema e la letteratura per capire la realtà, non per perdercisi dentro. Semplice. Bellissimo.
Giulio Sangiorgio, voto: 10
Vermiglio
di Maura Delpero
A Vermiglio, borgo della Val di Sole, la neve attutisce i rumori, ma non stempera i desideri che covano sotto la severa routine dell’affollata famiglia Graziadei, il cui pater familias (Tommaso Ragno) è il distinto professore dell’unica classe locale. Mentre la primogenita si innamora di un soldatino siciliano (siamo alla fine della Seconda guerra mondiale), le più giovani scoprono le proprie voglie e i segreti degli adulti, in una ricerca di libertà (proprio nei mesi in cui l’Italia intera viene liberata) che si propaga da un membro all’altro della famiglia, come un piccolo contagio. Maura Delpero esplora questo microcosmo con tenerezza e ironia, scivolando da un punto di vista all’altro per dare dignità allo sguardo dei grandi e dei bimbi, rompendo gli schemi del film storico con una svolta di trama quasi funambolica, che allude a quell’Italia così lontana dall’essere unita. Un’opera dal passo sicuro e aggraziato.
Ilaria Feole, voto: 7
3 settembre
Harvest
di Athina Rachel Tsangari
Da Il raccolto di Jim Crace, l’atteso ritorno di Tsangari. Qui siamo in una Scozia astorica, in un mondo agricolo al tramonto, in una terra sterile. Con lo sguardo (come sempre) alle dinamiche di potere di una società chiusa, il passo della paraboletta marxista, e il 16mm di Sean Price Williams a giocare con gli attori, aprire la fiction verso il teatro e fare tanto «cinema alla moda» (Tsangari, acuta, fece un fashion film surreale: The Capsule). Nella landa desolata c’è un incendio: la colpa è di giovinastri irresponsabili, ma a essere puniti sono, naturalmente, due stranieri (+ una). Gli stupidi guardano il Dito, ma la Luna è un altro forestiero, chiamato a mappare il territorio: dietro di lui c’è il proprietario (nascosto, rimandato dal film) che muove le sorti, vuole farla finita con la realtà contadina. The Village? Lazzaro felice? Anche Haneke, in acido e in assurdo. Un film-laboratorio, una storia a tesi, un linguaggio consunto.
Giulio Sangiorgio, voto: 6
Queer
di Luca Guadagnino
Guadagnino prova ad adattare un Burroughs ancora possibile: Lee (Craig) - benestante, promiscuo, tossico: lo stesso scrittore in autofiction ante-litteram - è ossessionato da un corpo d’amore, Allerton (Starkey), opaco e incomprensibile. Il punto non è penetrarlo fisicamente, ma mentalmente. Prenderlo nel proprio desiderio. Provando anche la telepatia. L’occhio del regista si sente, non si adegua banalmente all’ossessione: la guarda muoversi grottesca, patetica, buffa, un poco lontano. Oppure troppo vicino, a un passo dalla parodia, strafatto, allucinato, anche kitsch. Non è un autore da marche ricorrenti, Guadagnino: è un brand (si vedano i cameo) e uno sguardo. La forma esaltante della sua cinefilia corrisponde alla malattia d’amore del protagonista: una serie di immagini (della storia del cinema) che persistono. Non da imitare, ma di cui provare ad appropriarsi, penetrandole, riscrivendole, reinventandole: si comincia con Fassbinder, ma il III atto - bellissimo - finisce nel loop di Kubrick.
Giulio Sangiorgio, voto: 8
The Quiet Son
di Muriel e Delphine Coulin
Il volto afflitto di Vincent Lindon nei panni di uomo onesto ma ferito dalle ingiustizie è ormai un genere a sé: stavolta è un operaio vicino alla pensione, nel passato una militanza di sinistra ora archiviata, dopo la morte della moglie, per meglio dedicarsi ai due figli maschi. Il minore è stato ammesso alla Sorbona, il maggiore invece inizia a frequentare gruppi di estrema destra dediti a prove di forza fisica che sfociano nella violenza: il conflitto tra padre e figlio apre una crepa irreversibile nel tessuto familiare. L’ambientazione è la medesima Lorena desolante di un altro film del Concorso (Leurs enfants après eux), ma il tema è tristemente attuale per molti altri paesi europei; purtroppo però le sorelle Coulin (17 ragazze) gestiscono il materiale incandescente con una correttezza stilistica al netto di ogni rischio e di ogni azzardo, troppo educata e telefonata per meritarsi la sezione principale della Mostra.
Ilaria Feole, voto: 5
4 settembre
Diva futura
di Giulia Louise Steigerwalt
Moana, Ilona, Eva. Nomi che accendono ricordi di desideri e VHS riavvolte di un’epoca, tra anni 80 e 90, in cui Riccardo Schicchi (un sorprendente, bravissimo Pietro Castellitto) rivoluzionò la pornografia nostrana creando icone erotiche con la sua agenzia Diva futura, incubatrice di sogni bagnati, di carriere ambiziose e, verso la fine, di debiti e arresti. Prodotto dalla Groenlandia di Matteo Rovere con RaiCinema, Piper Films e Netflix, di quest’ultimo porta il marchio nella confezione accattivante da biopic pop, che cavalca il trend della nostalgia per i Nineties, con tre giovani attrici chiamate all’ingrato compito di incarnare le pornodive, e la sempre ottima Barbara Ronchi nei panni della segretaria che osserva la cocciuta “missione” di Schicchi. Creatore di un immaginario erotico soffice e fanciullesco di cui la sceneggiatura della stessa Steigerwalt mette in luce lo slancio romantico e, approssimando un po’ per eccesso, pure femminista.
Ilaria Feole, voto: 6
Joker: Folie à Deux
di Todd Phillips
Per capire un film è necessario inserirlo nel suo contesto produttivo. Questo secondo capitolo di Joker è in teoria ancora un cinecomic, un film da pop culture, un’opera per le masse. In questo ambito, è un film radicalissimo. Si apre con un Looney Toons degenere (firmato Sylvain Chomet!): Io e la mia ombra, a ribadìre il conflitto identitario del protagonista (Folie à deux? Sicuri sicuri?). La scena (da camera) è quella di un film carcerario che si fa processuale, portando in aula Arthur per gli omicidi commessi. Il fatto è che tutto è un possibile falso movimento, una probabile realtà immaginata, la forma di una malattia mentale. A cominciare dal rapporto (colmo di buchi di realismo) con Harley Quinn (non a caso interpretata dall’idolo da immaginario pop odierno Lady Gaga) e dai siparietti musical. L’agenda dei temi (patologie psichiche, società dello spettacolo anempatica, rabbia sociale) è la stessa del primo film. Come se questo fosse una variazione surrealista, prima che un sequel. Ardito, suicidale.
Giulio Sangiorgio, voto: 6
April
di Dea Kulumbegashvili
Il formato è 4:3, le inquadrature sono fisse ma non ferme, nell’oscillazione lieve di una camera a mano: tutto suggerisce un sistema oppressivo, di chiusura e di controllo, sulla vita della protagonista. E delle donne georgiane in generale, perché Nina fa l’ostetrica in città e pratica aborti clandestini nei villaggi, dove ragazze giovanissime o mogli esauste cercano di sottrarsi a gravidanze che non hanno mai voluto. L’opera seconda di Kulumbegashvili, dopo l’acclamato Beginning, torna a raccontare di oppressione e violenza sistematica sul corpo femminile, con un dispositivo soffocante e al limite del compiaciuto, problematico nel tracciare il confine tra visibile e invisibile (i cesarei sono in campo, l’aborto in un estenuante fuoricampo memore del Mungiu di 4 mesi 3 settimane 2 giorni) anche se indubbiamente maturo, con una suggestiva gestione del realismo magico che trasforma in letterale mostro il femminile soffocato.
Ilaria Feole, voto: 6
5 settembre
Stranger Eyes
di Yeo Siew Hua
Yeo Siew Hua l’ha dichiarato: in un’isola come Singapore esiste un regime di sorveglianza. Poi, oltre alle immagini del controllo, ci sono quelle registrate da videocamere, cellulari, webcam, nelle forme di video di famiglia, dirette streaming, stories e così via. Ma chi sono le figure in quelle immagini? Cosa diventano per chi guarda? La storia pare quella di una coppia mesta, litigiosa, viziatella (vive con loro la madre di lui), della loro figlioletta neonata scomparsa e di uno stalker laconico (che vive con la madre) che li spia, registra, e lascia sotto la loro porta di casa dvd. Niente da nascondere, Blow Up, La finestra sul cortile? L’indagine, sempre realista, nasconde un film astratto, sussurrato, dove contano i rapporti genitore/figlio e non quelli di coppia. La fredda superficie dell’eterno presente costruito da troppe immagini trova alla fine uno struggente mélo fuori dal tempo. Una cosa che, nonostante tutto, non s’era vista.
Giulio Sangiorgio, voto: 7
Iddu
di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
La realtà è che in Italia, i registi che tentano d’uscire dal vetero-realismo e dai suoi generi (non molti: il biopic storico, il dramma degli ultimi, la commedia degli stupidi - quella da salotto di sinistra è in grande calo), sono registi da difendere. Ma, poiché «la realtà non è la destinazione, è la partenza», non possiamo non dirci delusi dal film di Piazza/Grassadonia (Salvo, Sicilian Ghost Story): Iddu, ovvero lui, innominabile, latitante, mitologico, (ispirato a) Matteo Messina Denaro (Germano), nascosto in un appartamento (lo accudisce Bobulova), e in rapporto epistolare con l’appena rilasciato Preside (Servillo), ometto DC in balia del passato e ricattato dai servizi. L’impressione è che il film - ambizioso e irrisolto - non riesca mai a tenere una (dis)misura, a domare (paradossalmente intimorito) i troppi toni, a gestire pienamente, in ogni reparto, i tanti registri (il grottesco petriano non inquieta, se è così didascalico...). Lo rivedremo.
Giulio Sangiorgio, voto: 5
Youth: Homecoming
di Wang Bing
Ultima parte del trittico (lungo poco meno di 10 ore) Youth, aperto da Spring (Cannes 2023) e proseguito con Hard Times (Locarno 2024), Homecoming continua a registrare le vite degli operai tessili della città di Zhili, accompagnandoli qui verso il rientro a casa per le ferie di Capodanno. Lo fa chiudendo il ciclo produttivo, lungo un anno, che nel primo capitolo si apriva proprio col ritorno al lavoro dopo le feste. Girato tra il 2014 e il 2019 (da quel materiale sono usciti anche Bitter Money e una lunga installazione per Documenta), il film testimonia la vita, gli orizzonti, i sogni di questi operai, semplicemente stando con loro, pedinandoli, lasciando che il ritmo del loro esistere prenda una forma cinematografica. Si tratta di un’opera fondamentale per capire cosa è la Cina di oggi e quello che si cela dietro le logiche del capitale: il punto è che esista, un film come questo. Anche solo perché è capace di dare dignità da protagonisti a degli invisibili.
Giulio Sangiorgio, voto: 8
6 settembre
Love
di Dag Johan Haugerud
Un’urologa e un infermiere, a Oslo: entrambi sono single, entrambi curano gli uomini (la «parte bassa del corpo», così cruciale, così travisata), entrambi li desiderano e li amano. Nell’arco di tre settimane estive, una serie di incontri, sessuali e non solo, li mette a confronto con la complessità dei sentimenti e delle relazioni, con la necessità di accudire l’altro, di capirsi al di là degli errori comunicativi: il film si apre sull’annuncio di una diagnosi difficile, su un paziente che non la comprende appieno, e la stessa necessità di ripetere, di appianare, di venirsi incontro è quella che guida i personaggi di questo limpido forum sentimentale (parte di una trilogia: alla Berlinale c’era Sex, arriverà Dreams). La cui ambientazione è più di un contenitore: nel 2024 Oslo festeggia il centenario della sua attuale denominazione, dando eco alla necessità, talvolta futile e dolorosa, di dare un nome alle cose che viviamo.
Ilaria Feole, voto: 7
I film in concorso
Vermiglio
Drammatico - Italia, Francia, Belgio 2024 - durata 119’
Regia: Maura Delpero
Con Tommaso Ragno, Roberta Rovelli, Sara Serraiocco, Giuseppe De Domenico, Carlotta Gamba, Martina Scrinzi
Al cinema: Uscita in Italia il 19/09/2024
Love
Drammatico - Norvegia 2024 - durata 119’
Titolo originale: Kjærlighet
Regia: Dag Johan Haugerud
Con Andrea Bræin Hovig, Tayo Cittadella Jacobsen, Marte Engebrigtsen, Thomas Gullestad, Lars Jacob Holm
Youth (Homecoming)
Documentario - Francia, Cina 2024 - durata 152’
Titolo originale: Qing chun (gui)
Regia: Wang Bing
Iddu
Drammatico - Italia, Francia 2024 - durata 122’
Regia: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza
Con Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Fausto Russo Alesi, Giuseppe Tantillo
Al cinema: Uscita in Italia il 10/10/2024
Stranger Eyes
Thriller - Singapore, Francia, Repubblica di Cina, USA 2024 - durata 125’
Titolo originale: Stranger Eyes
Regia: Siew Hua Yeo
Con Kang-sheng Lee, Mila Troncoso, Chien-Ho Wu, Vera Chen, Xenia Tan, Pete Teo
Al cinema: Uscita in Italia il 14/11/2024
April
Documentario - Georgia 2024 - durata 143’
Titolo originale: April
Regia: Dea Kulumbegashvili
Con Ia Sukhitashvili, Kakha Kintsurashvili, Merab Ninidze
Joker: Folie à Deux
Musicale - USA 2024 - durata 138’
Titolo originale: Joker: Folie à Deux
Regia: Todd Phillips
Con Zazie Beetz, Brendan Gleeson, Joaquin Phoenix, Catherine Keener, Lady Gaga, Harry Lawtey
Al cinema: Uscita in Italia il 02/10/2024
in streaming: su Amazon Video Apple TV Microsoft Store Google Play Movies Rakuten TV Mediaset Infinity Timvision
Diva Futura
Drammatico - Italia 2024 - durata 120’
Regia: Giulia Louise Steigerwalt
Con Denise Capezza, Barbara Ronchi, Pietro Castellitto, Tesa Litvan, Davide Iachini, Lidija Kordic
Al cinema: Uscita in Italia il 06/02/2025
Noi e loro
Drammatico - Belgio, Francia 2024 - durata 110’
Titolo originale: Jouer avec le feu
Regia: Delphine Coulin, Muriel Coulin
Con Vincent Lindon, Sophie Guillemin, Benjamin Voisin, Denis Simonetta, Hugo Bariller, Thomas Arnaud
Al cinema: Uscita in Italia il 06/02/2025
Queer
Drammatico - Italia, USA 2024 - durata 151’
Titolo originale: Queer
Regia: Luca Guadagnino
Con Daniel Craig, Jason Schwartzman, Lesley Manville, Drew Starkey, Henrique Zaga, Drew Droege
Al cinema: Uscita in Italia il 13/02/2025
Harvest
Drammatico - Regno Unito 2024 - durata 131’
Titolo originale: Harvest
Regia: Athina Rachel Tsangari
Con Caleb Landry Jones, Harry Melling, Frank Dillane, Rosy McEwen, Arinze Kene, Thalissa Teixeira
Maria
Biografico - Germania, USA, Emirati Arabi Uniti, Italia 2024 - durata 124’
Titolo originale: Maria
Regia: Pablo Larrain
Con Angelina Jolie, Valeria Golino, Kodi Smit-McPhee, Haluk Bilginer, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher
Al cinema: Uscita in Italia il 01/01/2025
La stanza accanto
Drammatico - Spagna 2024 - durata 110’
Titolo originale: The Room Next Door
Regia: Pedro Almodóvar
Con Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola, Juan Diego Botto, Victoria Luengo
Al cinema: Uscita in Italia il 05/12/2024
Io sono ancora qui
Storico - Brasile, Francia 2024 - durata 135’
Titolo originale: Ainda Estou Aqui
Regia: Walter Salles
Con Maeve Jinkings, Fernanda Montenegro, Fernanda Torres, Selton Mello, Antonio Saboia, Marjorie Estiano
Al cinema: Uscita in Italia il 30/01/2025
The Brutalist
Drammatico - USA 2024 - durata 215’
Titolo originale: The Brutalist
Regia: Brady Corbet
Con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Alessandro Nivola, Vanessa Kirby, Stacy Martin
Al cinema: Uscita in Italia il 23/01/2025
The Order
Thriller - USA 2024 - durata 114’
Titolo originale: The Order
Regia: Justin Kurzel
Con Nicholas Hoult, Jude Law, Tye Sheridan, Jurnee Smollett, Alison Oliver, Odessa Young
Campo di battaglia
Drammatico - Italia 2024 - durata 104’
Regia: Gianni Amelio
Con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Giovanni Scotti, Vince Vicenzio, Alberto Cracco
Al cinema: Uscita in Italia il 05/09/2024
I figli dopo di loro
Drammatico - Francia 2024 - durata 146’
Titolo originale: Leurs enfants après eux
Regia: Ludovic Boukherma, Zoran Boukherma
Con Paul Kircher, Angelina Woreth, Sayyid El Alami, Ludivine Sagnier, Anaïs Demoustier, Gilles Lellouche
Babygirl
Giallo - USA 2024 - durata 114’
Titolo originale: Babygirl
Regia: Halina Reijn
Con Nicole Kidman, Harris Dickinson, Antonio Banderas, Jean Reno, Sophie Wilde, John Cenatiempo
Al cinema: Uscita in Italia il 30/01/2025
Trois amies
Drammatico - Francia 2024 - durata 117’
Titolo originale: Trois amies
Regia: Emmanuel Mouret
Con Camille Cottin, Sara Forestier, Damien Bonnard, Vincent Macaigne, India Hair, Grégoire Ludig
El Jockey
Giallo - Argentina, Spagna, USA, Messico, Danimarca 2024 - durata 96’
Titolo originale: El Jockey
Regia: Luis Ortega
Con Úrsula Corberó, Daniel Gimenez Cacho, Nahuel Pérez Biscayart, Mariana Di Girolamo, Daniel Fanego, Roberto Carnaghi
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