A pensarci bene, Monsters è la definizione-ombrello sotto la quale possono essere racchiuse praticamente tutte le creature seriali di Ryan Murphy, a partire da quella Nip/Tuck con cui La storia di Lyle ed Erik Menendez ha più di un punto in comune, compresa una citazione “letterale” nel breve frammento in cui Kitty/Chloë Sevigny si sottopone a un lifting.
Come nel suo exploit medical di vent’anni fa, anche questa nuova creatura vergata insieme al fido Ian Brennan affoga i toni nell’acido di una resa apertamente grottesca esplicitata da make-up, turgore camp, fotografia e montaggio parossistici come si conviene più al Murphy “d’alta società” (quanto gli assomiglia, per dire, una The Politician?) che a quello che ha portato a casa il trionfo di Dahmer nella scorsa stagione di questa serie antologica dedicata ai “mostri” della cronaca nera. Come ripetiamo da tempo, le maschere di Ryan Murphy (qui è Javier Bardem a ricevere il trattamento più disumanizzante, sorta di entità oscura dai tratti deformi) hanno segnato irrevocabilmente la parabola dell’industria dell’entertainment contemporaneo (probabilmente non avremmo almeno un paio di Ridley Scott recenti e la nostrana 1992-1993-1994 senza Murphy), insieme al suo storytelling che rilancia continuamente verifiche incessanti sui fatti, riapre dibattiti e interrogativi, genera ondate di eco che proseguono ben al di là degli schermi delle piattaforme.
Come approntato almeno sin dall’abissale American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace e poi anche in Dahmer, la narrazione viene così tenuta costantemente in scacco, gli episodi sono costruiti per andirivieni temporali e digressioni estenuanti (qualsiasi personaggio “secondario” della vicenda avrà il suo momento da protagonista, dall’amante dello psicologo all’assassino della figlia del giornalista di “Variety” e - guarda un po’ - non c’è nessuno che si salvi), la progressione lineare è negata con forza, tanto che si potrebbe quasi modificare l’ordine degli episodi a piacimento (l’unico vero racconto nell’epoca di Netflix?). Ma Monsters affronta un tema dannatamente serio al di sotto della patina morbosa alla Bret Easton Ellis da “ricchi rampolli uccidono a fucilate i genitori” (crimine del 1989 per cui Erik e Lyle sono stati condannati), e cioè l’identità sessuale minata da abusi subiti in tenera età, e quella linea “genetica” che si perpetua quando un abusato si trasforma in abusatore.
Non è allora un caso che la serie congeli in quegli attimi tutto il suo turbinio di versioni discordanti, intercettazioni telefoniche, registrazioni di sedute d’analisi, pettegolezzi e confessioni (che già schiacciavano la Monica Lewinsky di American Crime Story: Impeachment) per restare sui monologhi dei due fratelli, come nell’episodio 5 tutto in pianosequenza alla Hunger, o nella deposizione di Lyle al processo. Ed ecco che la figura dolente dello scrittore Dominick Dunne assurge così ad ago della bilancia morale di tutte le continue rivelazioni a voce su cui è costruita questa storia, quasi come il Truman Capote (a sangue freddo…) dell’altra produzione di Murphy del 2024, Feud: Capote vs. The Swans.
La serie tv
MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez
Thriller - USA 2024 - durata 0’
Titolo originale: Monsters (2024)
Creato da: Ryan Murphy, Ian Brennan
Con Evan Peters, Peggy Dunne, Richard Jenkins, Jim Cody Williams, Cooper Koch, Nicholas Alexander Chavez
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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