Quando s’incontrano, Maddie (Natalie Portman) e Cleo (Moses Ingram) sono separate da un vetro, che è insieme barriera, finestra e specchio: la prima, ricca casalinga ebrea nella Baltimora anni 60, si è macchiata (di sangue!) il raffinato tailleur; la seconda, madre semi-single afroamericana, le restituisce lo sguardo dall’interno della vetrina dei grandi magazzini in cui fa il “manichino vivente”, uno dei molti impieghi cui è costretta (tra gli altri ci sono la barista e soprattutto la contabile per il boss della malavita cittadina Shell Gordon - interpretato da Wood Harris, già Avon Barksdale in The Wire, quasi un “fantasma” televisivo tornato indietro nel tempo).
L’immagine, come molte (troppe) altre di La donna del lago, è formalmente appagante e tematicamente evocativa, densa di significati e simbolismi, sintesi iperconsapevole dell’intera narrazione: si specchiano l’una nell’altra, Maddie e Cleo, donne infelici, da tutti svalutate e sottovalutate, eppure sono anche agli estremi opposti della scala sociale, del privilegio, e l’interazione apparentemente casuale della loro rivalsa, delle loro ambizioni, scatena un domino di conseguenze che s’allarga inarrestabile. Non è uno spoiler rivelare la morte di Cleo, perché l’annuncia lei stessa, nelle prime sequenze, con voce off che ci accompagnerà dall’oltretomba per tutti i sette episodi della miniserie che Alma Har’el ha tratto dall’omonimo bestseller di Laura Lippman; d’altronde, quello che diegeticamente si propone come mistero giallo - Maddie abbandona marito, figlio adolescente e quieti sobborghi per inseguire l’antico sogno di fare la giornalista investigativa, si trasferisce nel Bottom, il quartiere nero di Baltimora, e indaga prima sull’uccisione di una bimba e poi su quella di Cleo, trovate entrambe, a distanza di mesi, nello stesso lago - non è messo in scena come tale, almeno fino all’ultimissima puntata.
All’autrice - e alla produttrice Natalie Portman, che, probabilmente senza freni, cede più volte a un nervoso overacting - interessa più di ogni altra cosa la giustapposizione delle esistenze delle due protagoniste in un passato (ricostruito con accuratezza e insieme stilizzazione, anche cromatica) che si riflette nell’oggi, quasi una dimostrazione, in forma di miniserie prestige, del concetto di intersezionalità: il sessismo e la misoginia opprimono entrambe, il razzismo sistemico e l’antisemitismo le assediano con sfumature diverse, il privilegio bianco e di classe le separa senza scampo.
Il risultato sono un accumulo tematico e una difformità di registri programmatici ma altalenanti, cui s’aggiunge lo stile immaginifico e surrealista esercitato dalla regista già nei film Bombay Beach e Honey Boy: squarci onirici e flashback allucinati (con un de-aging impressionante nella sua “invisibilità”) s’infilano nella narrazione fino all’apoteosi del penultimo episodio, che è quasi per intero un sogno-incubo, tra musical e suggestioni orrorifiche, in cui s’accostano spericolate vette di kitsch e di lirismo. Uno splendido pasticcio, a tratti tedioso a tratti affascinante, perfino ipnotico, un saggio del talento visivo di Har’el, una collezione d’immagini bellissime, in grado di dire troppo, tutto, e quasi mai abbastanza.
La serie tv
La donna del lago
Drammatico - USA 2024 - durata 53’
Titolo originale: Lady in the Lake
Creato da: Alma Har'el
Con Natalie Portman, Roby Attal, Moses Ingram, Brian Foreman, Daniel London, Y'lan Noel
in streaming: su Apple TV Plus
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