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Somewhere in Palilula

Regia di Silviu Purcarete vedi scheda film

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La recensione su Somewhere in Palilula

di OGM
7 stelle

Sulla Terra non ci sono posti sbagliati. Ci sono solo luoghi strani, improbabili, che superano la logica e sfidano la pazienza, però vanno bene così, perché sanno comunque dare un loro contributo al senso della vita. Da qualche parte, in Romania, c’è un paesino chiamato Palilula. Diciamo che, perlomeno, sicuramente c’era una cinquantina d’anni or sono, nel pieno dell’era Ceausescu, quando una cosa erano la politica e lo stato, altra cosa la realtà e le sue magagne. Quel contrasto spiega tutto, dalla follia all’amore, lasciando aperto uno spazio immenso, dentro il quale la fantasia si può scatenare in maniera sfrenata. Il giovane dottor Serafim giunge in quel villaggio sperduto in un giorno d’inverno, sotto una fitta nevicata, a bordo di un treno che sembra uscito dal paese dei balocchi. È il suo ingresso in un ambiente circense, che fa della miseria e delle ingiustizie uno spunto per giocare al mondo capovolto, dove i malati sono sani, i morti vivi, gli uomini animali, i neri bianchi. Le mostruosità sono un passatempo alla portata di tutti, ed hanno il benefico effetto di donare, alla gente comune, una magica illusione di onnipotenza. Se una prostituta per metà donna e per metà capra può accoppiarsi con Dio e generare un figlio, allora non c’è bisogno di badare agli umori dei governanti, perché il paradiso è già arrivato, in mezzo a quella umanità che, con la forza dell’immaginazione, riesce persino a dimenticare la fame. Lo scenario di questo film è carico di un debordante spirito grottesco in stile felliniano, con i personaggi chiamati ad interpretare i ruoli che a loro meno competono,  dal chirurgo che uccide i pazienti alla ninfomane bruttina. Qualcuno, dall’alto, ha deciso per loro, distribuendo compiti e mansioni secondo l’indecifrabile cecità che caratterizza il potere assoluto, quello del destino o quello di un qualsiasi tiranno. Di fronte ai soprusi della casualità, l’unica  difesa è rendere innocua la contraddizione indossandola come un elegante segno di distinzione: l’ambiguità (la sessualità dell’ermafrodito) diventa così una invincibile arma creativa, che risponde alla sterile assurdità delle prescrizioni (gli ordini del rappresentante di partito) cavalcando gioiosamente  il paradosso. In questa eterna festa, il caos provocato dal malgoverno cambia origine e identità, e finisce per essere la spontanea espressione dell’allegra spregiudicatezza del popolo, capace di passare dall’arte di arrangiarsi (Barza che si arricchisce vendendo rane) all’invenzione di nuovi universi (i misteriosi esperimenti di Pantelica). Ci si può credere o no: la necessità, quando è estrema, aguzza l’ingegno fin oltre il limite della ragione. Tanto da accendere una dolorosa nostalgia, nel momento in cui, fatalmente, tutto torna alla normalità.  

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