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Road House

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su Road House

di Souther78
4 stelle

25 anni dopo, il nuovo Roadhouse rispecchia la società che lo ha prodotto. Il paragone con l'originale, già comunque figlio di una società superficiale e caciarona, è impietoso: lo sbando, l'iperstimolazione, l'inverosimiglianza, l'incapacità relazionale, ci riguardano da vicino.

 
La sofferenza del cinema contemporaneo induce fatalmente a cercare ristoro nel passato, allorchè si realizzavano meno film, a tutto vantaggio della qualità. Vero è che gli anni '80 non hanno probabilmente rappresentato l'apice della settima arte. Men che meno, poi, l'originale Roadhouse, datato 1989. La trama era estremamente semplicistica, e in definitiva poco più (o poco meno) che una scusa per giustificare qualche scazzottata. Venticinque anni dopo, il pubblico non può più contentarsi di qualche rissa da bar, e, quindi, assistiamo a una specie di versione iperrealista, dopata e patinata, dell'opera di riferimento.
 
In un'epoca di totale assenza di valori (quella del crollo è, nel frattempo, iniziata e finita), il protagonista è una specie di novello reduce da un Vietnam interiore, con tanto di sindrome da stress post traumatico, che non riesce a dare un senso alla propria vita: l'esatto opposto del filosofico e quasi ascetico Dalton impersonato da Swayze.
 
Un Gyllenhall arcigiocondo si avventura nei meandri delle rivalità di una fantasiosa key della Florida, le cui location si trovano in realtà in Repubblica Dominicana. L'ambientazione è perlomeno paradossale, considerando che la Florida è uno degli stati americani più ordinati e con forte presenza di forze dell'ordine sul territorio. In questa surreale giungla simile al wild west, si ricalcano le vicende già narrate nell'originale 25 anni prima, ma oramai senza alcuna credibilità, anche semplicemente considerando i costi/benefici del locale, che non giustificherebbero in alcun modo l'assunzione a carissimo prezzo del buttafuori/lottatore.
 
In questo scenario del tutto surreale, si scontrano dei cialtroni che non fanno nessuna paura, fino all'arrivo del cattivo di turno, anch'esso "iper", rispetto al suo predecessore: un vero e proprio assassino psicopatico.
La sensazione generale è quella di aver visto Die Hard, un mix di Bud Spencer e Terence Hill, Commando, Miami Vice, Batman, e Hazzard. Tutto è sopra le righe, esagerato, insensato, stereotipato, già visto, e, quindi, all'inseguimento dell'originalità attraverso l'esagerazione.
 
Il nostro si atteggia ora a eroe, ora ad antieroe, ora a supereroe. Esaurita ogni possibile variazione sul tema dell'eroe, non resta che rassegnarsi all'atroce finale, con le ultime scene "a sorpresa", che, se possibile, abbassano ulteriormente il livello del finale.
 
Quindi, dove siamo finiti 25 anni dopo? Più smaliziati, ma anche più ingenui. Più iperstimolati, poichè abituati a dare tutto per scontato. Più disillusi, affranti, spezzati e individualisti. Tutti i legami significativi della vita, cioè la famiglia di origine, gli amici, e la propria famiglia, sono recisi, nell'incapacità di far fronte all'essenziale, e di relazionarsi con il prossimo.
 
Sono trascorsi 25 anni, e il Dalton laureato in filosofia, che pratica le arti marziali come forma di meditazione attiva, guida una lussuosa Mercedes, ama gli amici, le donne e la propria vita, si è trasformato in un essere umano spezzato, vacuo, dai rapporti sterilizzati e perfino aspirante suicida, capace soltanto di aggirarsi in luoghi di fantasia, ostentando un giocondo e incoerente ghigno ai propri miseri avversari.
 
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