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I paraculissimi

Regia di Ken Wiederhorn vedi scheda film

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La recensione su I paraculissimi

di moonlightrosso
4 stelle

Clone povero di "Animal House", a tratti irresistibile

Clone povero di "Animal House" questo "King Frat" (letteralmente il re della confraternita) distribuito nel nostro Paese tre anni dopo la sua realizzazione con un titolo che rifa il verso, per fini biecamente e smaccatamente commerciali, al vanziniano "I Fichissimi" datato 1981, senza tenere in minima considerazione la diversa contestualizzazione delle due opere.

La pellicola in esame, sin dalle prime scene, appare opìma di tutti i topòi del prodotto derivativo di bassa lega: ambientazione e messa in scena pauperistiche; regia sciattissima; attori e maestranze di quarta scelta.

La vicenda ci immerge in un fantomatico college americano, diviso in confraternite, di cui i nostri protagonisti, dediti più che allo studio alla goliardìa più demenziale e sfrenata, occupano senz'altro la peggiore e più scalcinata denominata PK Delta. Capo carismatico della stessa è il pingue JJ Grossaut Dumborwski ("Cicciobello" nella versione italiana), personaggio direttamente ispirato a quel Bluto Blutarski del testè citato archètipo "Animal House". Ne riveste il ruolo il caratterista italo-americano John Di Santi, quarantunenne all'epoca del girato ma che grazie a un aspetto pacioso e ridanciano, in una con una qualità della fotografia non esattamente nitidissima, riesce a farsi passare abbastanza agevolmente per teen-ager. Versione ultrasbracata di John Belushi, senza avere nè la sagacia, nè tantomeno vis-comica e mimica facciale, fonda la sua comicità quasi esclusivamente su rutti e flatulenze, veri e propri assi portanti della pellicola, di fronte alle quali trama, contesto socio-culturale e caratterizzazioni scoloriscono a importanza secondaria o meglio sprofondano nel nulla più assoluto.

Tra gli altri personaggi di spicco (si fa per dire) della nostra allegra brigata si segnalano "Genio", finto intellettualoide atteggiantesi a brutta copia di Groucho Marx ed un indiano pluriripetente, sedicente membro della tribù degli Arapahos. Gran bevitore di birra e proverbiale nullafacente, si ricorda soprattutto per demenziali danze tribali, dallo stesso eseguite nei momenti più impensati e inopportuni, nonchè per strampalati racconti riguardanti i suoi avi che non interessano e non fanno ridere nessuno.

Il regista Ken Wiederhorn, già autore del curioso horror "L'occhio del Triangolo" (1978) e che avrà occasione di dirigere un anno più tardi lo stesso John Di Santi nell'apprezzabile thrilling "Gli occhi dello sconosciuto", gira svogliatamente e con scarsissimi mezzi a disposizione un prodotto altamente scombinato ma in grado di elevarsi, soprattutto in alcuni momenti, a livelli di sublimazione del trash quasi divini.

Partiamo dalla sede della confraternita: una fatiscente magione coloniale dalle condizioni igienico-sanitarie a dir poco carenti (per non dire ridotta a un vero e proprio porcile), nella quale si dà libero sfogo a peti e rutti di ogni sorta e rumore; si beve smodatamente e senza ritegno alcuno; si spiaccicano gli spaghetti sul muro per controllare se siano o meno "al dente"; si hanno rapporti sessuali con bambole gonfiabili.

Cornice idealmente prodromica per un'esplosione catartica della spazzatura filmica più assoluta, assistiamo a metà dello sviluppo narrativo a un indimenticabile "festival della scorreggia", organizzato nel teatrino del college, nel quale saranno protagonisti ovviamente "Cicciobello" e la sua segaligna ex fidanzata Bucky, mangiatrice di aglio e provetta scorreggiatrice. In un tripudio di geniale idiozia ci attendono con ritmo assolutamente folle e con dinamica helzapoppiniana, dieci minuti da annoverarsi tra i più deliranti della storia del cinema, nei quali si succedono e si affastellano: l'improbabile anchorman dall'altrettanto improbabile accento napoletano che presenta i vari concorrenti (uno più assurdo dell'altro); il "petometro" atto a misurare le varie "performances" quanto a intensità, rumorosità e odore; il cane sparato a mo' di proiettile per aver inavvertitamente ingurgitato un'allucinante brodaglia destinata a "Cicciobello" su ricetta dell'indiano ripetente, al fine di assicurargli un'"esplosiva" vittoria.

Nella seconda parte, il film mette forse un po' troppa carne al fuoco, alternando momenti riusciti ad altri più pedestri e scontati. Tra i primi citerei senz'altro il segreto spiegato da "Cicciobello" ad un'ignara matricola per bere il maggior quantitativo di birra possibile, consistente nel cacciarsi due dita in gola per liberarsi lo stomaco vomitando anche l'anima. Di tale discutibile procedura, il nostro ributtante grassone darà una dimostrazione pratica passeggiando nella cucina di un ristorante cinese sotto gli sguardi totalmente indifferenti di cuochi e camerieri, abituati come sono, a detta del ciccione, a riciclare tutto!! Ciò senza dimenticare la delirante festa nella casa, già abbastanza diruta, dei PK Delta, che rivisita in maniera ancor più demenziale il noto "toga party" di "Animal House" e nella quale si staglia un "Cicciobello" seduto sul wc intento, come in buona parte della pellicola, alla defecatio.

Se i deretani esibiti fuori dai finestrini delle automobili per scorreggiare in faccia ai passanti e alle belle ragazze sanno di visto e rivisto, anche la gag dell'iniziazione sessuale della testè citata matricola appare oltremodo "telefonata". Accompagnato dall'ineffabile "Cicciobello" in un equivoco "centro benessere", il giovane sfigato riceverà la visita nientemeno che della sua virginale fidanzata.

Trascurabile il furto della statuetta del satiro superdotato alla confrternita dei fighetti, nonchè il processo farsa del finale.

Di poco interesse anche il personaggio del preside, caricatura poco riuscita del direttore di un carcere di massima sicurezza stile Alcatraz, interpretato dal modesto caratterista Dan Fitgerald, prevalentemente impegnato nei B-movies americani.

In definitiva "I paraculissimi", pur nel suo becerume e nella sua volgarità più sguaiata e di cattivo gusto, costituisce un esempio di come in un'epoca ormai remota e nostro malgrado irripetibile, anche il cinema minore, con l'esaltazione parossistica e sbracata dei suoi elementi più exploitanti ed estremi, riusciva in qualche modo a competere con i prodotti mainstreams dei quali ricalcava le orme, nonchè a conquistarsi, grazie al mestiere di chi lo realizzava, una sua nicchia di dignità e di autonomia.

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