Portate la pazienza, ma prima di entrare nello specifico direi una cosa molto in generale, da ascrivere al fatto che sto invecchiando; e quando un maschio etero cis e bianco invecchia, può farlo in due modi: umarell con la mani dietro la schiena che introietta la filosofia osservando in silenzio i cantieri, oppure signore che urla alle nuvole perché si è rimbambito troppo per capire quello che sta succedendo a terra. Io mi sto pian piano trasformando nel secondo, essendo nella fase in cui mi arrabbio con i campanili tutte le volte che suonano a orari in cui è palese che non ci sia una messa. La cosa molto in generale che volevo dire è che siamo in un panorama dell’intrattenimento nel quale, credo, conta sempre di più il come vengano realizzate e raccontate le storie. Ne sono state inventate, dette, cantate, recitate talmente tante, di storie, che è una gara a pescare quelle da cui si possa spremere ancora qualcosa, abbellendole con un come che abbia un senso (di novità, di stupore, di valore estetico, di provocazione). Shane Meadows vecchio dentro e uno di noi, invece, è sempre stato ed è ancora uno fra i pochi a volersi concentrare forte sul cosa. Sulla sostanza della narrazione. Sui soggetti della sua narrazione. Sul significato della sua narrazione. E, scusate la parolaccia, sull’etica della sua narrazione.
![Shane Meadows](/imgbank/GALLERYXL/R201305/the_stone_roses_foto_3_.jpg)
Ecco allora che, da quando ha esordito appena venticinquenne (nel 1997) alla regia di un lungometraggio – Ventiquattrosette, sempre sia lodato Bob Hoskins – e proseguendo per un paio di decenni abbondanti di carriera ai confini di ricchi premi e cotillon (compresi l’ultima dozzina di anni in cui ha scritto e diretto solo miniserie tv: le tre This Is England e la magnifica The Virtues) Meadows è costantemente riuscito a restare se stesso, artista a sé che racconta una variazione sempre diversa della sua infanzia/adolescenza ai margini dell’impero, nelle Midlands inglesi dimenticate da ogni dio e anche dalla corona (che sarebbe il dio anglicano, tecnicamente, quindi in linea con le divinità distratte). Storie di poveri e di poveretti, di teste calde e di teste fine; di gente fallata e umana, di persone neglette – alcune dignitose e altre meno – ma tutte con molta rabbia addosso (per alcune mal riposta e per altre meno). The Gallows Pole, eccellente miniserie in tre puntate prodotta da A24 e trasmessa da BBC Two, è l’ultimo esempio della lista, ma forse è il più significativo. Perché dimostra che Meadows è in grado di trasportare queste sue istanze nel tempo (ma non nello spazio), riuscendo a far risuonare lo Yorkshire del 1780 e spicci come fosse il periodo a cavallo fra fine anni ‘80 e inizio anni ‘90 che ha esplorato con la sua opera più celebre, la tetralogia di This Is England.
La storia, tanto vera quanto leggendaria, è quella di David Hartley, primogenito di una famiglia umile, nato e cresciuto in un piccolo villaggio dove la gente campa(va) di manifattura tessile. Uomo irrequieto che, fuori campo e sette anni prima, è scappato in città (Birmingham) in cerca di fortuna, lasciandosi alle spalle genitori, fratelli e fidanzata. Non ce lo dicono, ma lo sappiamo: David è andato a Birmingham per non farsi mangiare dalla rivoluzione industriale che è arrivata anche al nord e che sta rendendo antiquato e inutile l’artigianato tessile. Il processo lo conosciamo e sarà sempre uguale: innovazione, smantellamento dei mezzi di produzione obsoleti, assenza di reti di salvataggio, interi tessuti sociali e comunità che si sfaldano nel giro di pochi anni. All’inizio della miniserie, David sta tornando per la prima volta in sette anni a casa con un buco in pancia (ma quello che gliel’ha fatto sta molto peggio) e con un conio per ghinee in tasca, sgraffignato nel momento in cui il furto di uno stampo ufficiale per monete è diventato quasi un reato minore, comparato all’omicidio per autodifesa di cui si è macchiato.
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Ora: la Storia, quella con l’iniziale maiuscola, ci racconta il prosieguo della vicenda, in cui David Hartley otterrà il titolo di “King” in quanto capo e promotore dei Cragg Vale Coiners, gruppo di tessitori in rovina che sotto la sua guida si riciclano come contraffattori di monete. Grazie allo stampo, infatti, a Hartley e soci basta scheggiare dieci monete vere per ottenere il metallo necessario a coniare l’undicesima, falsa ma perfetta.
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Negli annali inglesi, questa truffa dei poveretti è ricordata come una cosa epocale, dal momento che una manciata di provinciali scalcagnati è quasi riuscita a mandare a gambe all’aria l’economia di un intero impero. Maestri. The Gallows Pole, però, si ferma abbastanza prima. E si ferma abbastanza prima perché ha voglia e bisogno di raccontare le persone, prima ancora delle curiosità storiche.
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Dunque, per esempio, il bell’episodio pilota mette in scena il ritorno di David – che coincide con il funerale del padre – e la ripresa dei suoi rapporti con la gente del villaggio. C’è tutto lo spazio per conoscere questi personaggi, apprezzarli e tramite la loro esperienza riuscire a ricostruire l’ambiente che li circonda senza il bisogno di essere didascalici. È l’ennesimo, magistrale esempio di quello che succede quando il cosa importa almeno tanto quanto il come.
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