Ventidue anni fa usciva City of God. Uno di quei rari film con la gobba – se va bene ce ne sono un paio all’anno – che titillano il dibattito della critica cinematografica quella seria, impegnata e impettita (venne presentato Fuori concorso a Cannes e volarono alcuni stracci), riuscendo al contempo a travalicare sugli schermi del medio-grande pubblico non pasdaran tangente al cineforum, guadagnandosi quattro candidature all’Oscar tra cui quella alla sceneggiatura (tratta dall’omonimo romanzo di Paulo Lins) firmata da Bráulio Mantovani e quella alla regia per Fernando Meirelles.
City of God raccontava la folle giovinezza di alcuni ragazzini di una favela di Rio, Cidade de Deus, tra gli anni 60 e gli anni 80. Per descriverlo, personalmente, non saprei trovare parole migliori di quelle usate da Pier Maria Bocchi all’epoca su Film Tv: “Se ha un difetto, City of God, è quello di essere tutto derivativo. Ma, ricordando Scorsese e via di seguito, è pure vitale, sanguigno, ansioso, esplicito, fangoso, nudo e crudo. Stilisticamente, è in equilibrio precario tra glamour sporco e dimostrazione”.
Oggi, invece, esce su Max e quindi non in Italia – solo per il momento, quasi sicuramente, vai a sapere – City of God: The Fight Rages On, serie bella carica che, vent’anni dopo rispetto alle vicende del film (quindi siamo nel 2004), va a ritrovare i protagonisti di City of God e, quindi, torna a raccontare la favela e il suo contesto sociale con quel ”equilibrio precario tra glamour sporco e dimostrazione”. Il senso di déjà vu è amplificato dal ritorno degli stessi attori del film, nei panni di quei ragazzi alle prese con la vita nella baraccopoli – Buscapé, Barbantinho, Berenice, Lampião – oggi diventati uomini e donne che, per un motivo o per l’altro, sono ancora irrimediabilmente legati a Cidade de Deus.
Buscapé, il protagonista del film, ha realizzato entrambi i suoi sogni: è diventato un celebre e pluripremiato fotografo ed è uscito dalla favela, vive in una parte della città dove la gente spara sono una volta a settimana e accetta di chiamarlo con il suo vero nome, Wilson Rodrigues. Il contrappasso, però, è particolarmente ironico e cupo: il successo di Wilson non esiste senza Buscapé. Senza le foto dei cadaveri lasciati a terra dalle innumerevoli sparatorie, Wilson non avrebbe avuto la carriera che ha avuto.
Senza le foto del cadavere di Zé Pequeno scattate alla fine di City of God, non esisterebbe nemmeno quella carriera. Senza i morti che continuano imperterriti a impilarsi a Cidade de Deus oggi, non avrebbe nemmeno il lavoro che ha. Senza la favela e senza Buscapé, che nella favela sa come sopravvivere, non esiste nemmeno Wilson Rodrigues.
Cidade de Deus, però, non è solo un poligono di tiro a segno per poliziotti e fotografi di nera. È anche una piccola città in cui la gente nasce, cresce e cerca di vivere la migliore vita possibile con le carte che le sono arrivate in mano. Barbantinho è rimasto a casa e ha deciso di impegnarsi nella politica di circoscrizione, diventando il presidente dell’associazione degli abitanti.
Berenice ha provato a cambiare aria e a trasferirsi, ma è tornata presto all’ovile prendendo in gestione la scuola di samba comunitaria e diventando la mamma di tutti, quella che dice “vi do gli schiaffoni pedagogici io, così poi fate la cosa giusta e non le prendete dagli sbirri”. Touro, invece, è da qualche anno il gangster in carica della zona, e ha deciso di gestire la faccenda mantenendo la violenza al minimo. Diciamo che è il tipo da interrompere una rissa durante una partita del campionato locale di calcio sparando in aria con la pistola invece che facendo una strage. Cose così insomma, metodi alternativi.
A scompigliare le carte c’è Lampião, il braccio violento della diplomazia malavitosa di Touro, nonché il capo dei bambini che alla fine di City of God avevano freddato festanti Zé Pequeno. All’epoca, il già adulto Touro li prese sotto la sua ala, trasformandoli in un esercito personale e fedelissimo di piccoli spacciatori. Oggi Lampião sta uscendo di galera prima del previsto dopo sei anni di gabbio ingiusto, intenso e ricco di pugilato clandestino, tornando a Cidade de Deus appena in tempo per partecipare alla festa di quindicesimo compleanno più estrema di sempre a ovest di Napoli e a sud di Città del Messico.
Lampião ha bisogno di parlare di affari con Touro, vuole tornare a prendersi carico della sua piazza di spaccio; ma Touro tentenna perché effettivamente è il compleanno della figlia, stai anche un po’ sereno, ma soprattutto perché quella piazza di spaccio nel frattempo l’ha messa in mano al figlio e adesso diventa difficile togliergliela. Lampião, fomentato dalla sua tostissima e ambiziosa compagna Jerusa, dichiara guerra al mentore e il sangue si prepara a scorrere.
Né Fernando Meirelles, né Bráulio Mantovan c’entrano qualcosa con City of God: The Fight Rages On. Che, anzi, è stato scritto da una folla di gente – sei sceneggiatori, fra cui però spicca Sérgio Machado, uno che tanti anni fa aveva diretto (all’esordio) il bel Lower City. Eppure, la serie sequel a vent’anni di distanza riesce a cogliere (quasi) fino in fondo quell’estetica (sia di messa in scena sia narrativa) scaltra e al tempo stesso sincera e verace, in grado di manipolare il materiale del racconto quanto basta per non respingere lo spettatore ma senza cadere nella più bieca delle spettacolarizzazioni.
La serie tv
City of God: The Fight Rages On
Poliziesco - Brasile 2024 - durata 46’
Titolo originale: City of God: The Fight Rages On
Con Wayne LeGette, Alexandre Rodrigues, Roberta Rodrigues, Thiago Martins, Rafael Losso, Marcos Palmeira
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