È una casa brutalista che sorge a Malibu, immersa in un parco di sei ettari a pochi passi dall’oceano, quella scelta dal production designer Shane Valentino quale residenza di Susan Morrow, la gallerista d’arte di Animali notturni di Tom Ford. L’architetto Scott Mitchell la progetta (naturalmente senza badare a spese) per l’immobiliarista Kurt Rappaport come un volume elementare, puro, ascetico: una combinazione di solidità e leggerezza che dimostra un rispetto assoluto per il paesaggio in cui trova collocazione, rispondendo alla pendenza naturale del terreno e assecondandone la morfologia.

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Animali notturni
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Una mescolanza tra opacità e ariosità perfettamente leggibile nella facciata monolitica della struttura, definita da vetrate a tutta altezza e scandita per tutta la sua lunghezza da una serie di pilastri in cemento armato. La presenza del calcestruzzo è preponderante (ma mai soffocante) anche negli interni, dove il materiale è messo a dialogo con il legno dei pavimenti (in rovere di recupero) e quello del soffitto (in quercia bianca).

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La scelta di impiegare lo stesso calcestruzzo ‘grezzo’ per interni ed esterni serve a conferire alla dimora un senso di intimità e calore, mentre quella delle enormi vetrate è funzionale a renderla luminosa e accogliente. È quindi piuttosto sbalorditivo il modo in cui Ford e Valentino impieghino la creazione di Mitchell per dare corpo alla prigione architettonica che avvolgerà il personaggio principale come un bozzolo perverso. Regista e scenografo eliminano quasi completamente l’arredamento originale curato dallo studio Denise Kuriger Design, per sostituirlo con una serie di opere d’arte e di oggetti che soddisfano il loro piano d’azione: fare della villa un elemento perturbante. Gli intenti sono chiari fin dalle prime sequenze.

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La donna si ferma con la sua auto davanti al cancello dell’abitazione e viene abbagliata sgradevolmente dalla superficie metallica che riflette la luce dei fari; parcheggiata l’auto, la si vede circondata dalle alte mura in cemento che sembrano stringersi attorno a lei, affliggendola. Appena dopo, un’altra auto si ferma davanti al cancello nel frattempo richiusosi, e un piede sbuca dalla portiera. Non sapremo mai a chi appartenga quel piede né chi sia l’uomo che ha seguito Susan.

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Gli interni mostrano un living dalla vista resa magnifica dalle amplissime vetrate, ma l’ambientazione in notturna non procura il senso di quiete che ci si aspetterebbe. L’inquadratura successiva concorre a enfatizzare il disagio: è una veduta della facciata, parzialmente coperta dalla presenza di un gru e da un gigantesco, sinistramente incongruo Balloon Dog di Jeff Koons.

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Le riprese in diurna non attenuano il turbamento. Ora la macchina da presa sonda l’interno della casa avvicinandosi alla protagonista, che sembra minacciata perfino dalla scultura cinetica di Alexander Calder (23 Snowflakes) che la sovrasta.

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Un primo piano frontale svela, alle sue spalle, un’opera di Mark Bradford e – a dire ancora una volta di come il miglior design italiano goda di riconoscibilità internazionale – poggiata su un comodino, una lampada Atollo, disegnata da Vico Magistretti per Oluce nel 1977.

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L’edificio resta un organismo ostile: la protagonista si taglia con la carta spacchettando il libro inviatole dall’ex marito Edward; dietro di lei si nota un cupo dipinto di Sterling Ruby. L’accoppiata arte/design italiano in funzione ‘oppressiva’ si ripete curiosamente in un’altra sequenza: la donna è nel suo studio, prospetticamente schiacciata e quasi assorbita dal rosso della parete su cui si staglia un quadro di John Currin, Nude in a Convex Mirror, la cui prospettiva distorta sembra la perfetta epitome degli avvenimenti.

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A destra, in primo piano, appare invece la splendida lampada da tavolo Tizio, progettata da Richard Sapper per Artemide nel 1972. Trascorrono pochi minuti prima di scoprire una delle più intelligenti soluzioni scenografiche adottate dalla coppia Ford/Valentino: la presenza, all’ingresso, della foto Desert Fires #153 di Richard Misrach, che rimanda iconograficamente all’ambientazione del romanzo dell’ex coniuge, portando in dote il suo malessere dentro la residenza.

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Un malessere di cui Susan spera di liberarsi abbandonando la villa nella sequenza finale per raggiungere il locale in cui aspetterà invano la comparsa di Edward; un’inquietudine da cui non riuscirà a purificarsi – come sancito da tutti i bicchieri consumati nell’attesa e da quella lacrima che non riesce a trattenere – perché le è entrata dentro: un animale notturno posseduto da un altro animale notturno fatto di cemento, vetro e legno, immobile ma non per questo impossibilitato a seguirla e a tormentarla ovunque vada.

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Autore

Andrea Pirruccio

Si laurea in Storia e Critica del Cinema a Torino. Da oltre 20 anni fa parte della redazione della rivista Interni e dal 2022 collabora al dizionario Il Mereghetti. Da quanto ricorda, frequenta le sale da sempre, ma fa risalire il proprio imprinting cinematografico a un pomeriggio domenicale di tanti anni fa, quando i suoi genitori pensarono bene di portarlo a vedere 1997: Fuga da New York e, quando si accorsero che il film era stato sostituito da Pierino medico della SAUB, decisero di entrare lo stesso.

Il film

locandina Animali notturni

Animali notturni

Drammatico - USA 2016 - durata 120’

Titolo originale: Nocturnal Animals

Regia: Tom Ford

Con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Armie Hammer, Isla Fisher, Aaron Taylor-Johnson

Al cinema: Uscita in Italia il 17/11/2016

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