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Sorelle d'Italia

Regia di Lorenzo Buccella, Vito Robbiani vedi scheda film

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La recensione su Sorelle d'Italia

di Spaggy
8 stelle

Un’Italia desolata e desolante il cui spaccato desta motivo di smarrimento e preoccupazione per vari motivi, primo tra tutti la disinformazione imperante sia a destra sia a sinistra. Nonostante gli anni di lotta e le rivoluzioni del 1968 nell’immaginario collettivo delle donne italiane sembra quasi non esistere un’idea chiara del momento sociopolitico che si sta attraversando. Questo è quello che emerge a prima vista dalle 101 interviste realizzate dai due registi ticinesi, Lorenzo Buccella e Vito Robbiani. 


Campione delle interviste sono le donne incontrate procedendo da Nord a Sud, si parte da Villa San Martino ad Arcore per arrivare a Villa Certosa a Porto Rotondo, le due dimore private più celebri del nostro attuale Presidente del Consiglio.
 


Il modo in cui le interviste sono condotte è talmente semplice che dovrebbe rientrare in tutti i manuali di metodologia della ricerca sociale: l’intervistatore non pone domande, chiede semplicemente di esprimere un pensiero su Berlusconi lasciando libere le intervistate di scegliere la dimensione della risposta, vita politica o vita privata che sia. In questo modo si risolve il problema dell’indirizzamento delle risposte, troppo spesso condizionate in esperimenti del genere da domande faziose (anche solo per un uso consapevole degli aggettivi) e/o dai loghi che tempestano telecamere e microfoni. 


Ci si muove con una camera a mano, con un microfono mai sulla scena e si ottiene la sensazione di ritrovarsi di fronte ad una lunga chiacchierata tra amiche anche grazie al sapiente montaggio delle risposte, legate tra di loro da un sottile filo logico che non protende mai in nessuna direzione. Il passaggio da una risposta ad un’altra viene reso per continuità e/o opposizione semantica, per cui se si parla dello scandalo delle escort (non siamo ancora ai tempi del Rubygate ma la questione è già abbastanza sentita per via del “caso Noemi” e della “vicenda D’Addario”) ci si ritrova tra la signora romana che inneggia alla vitalità del Premier e la ragazza che invece rifugge l’idea della donna oggetto, tra chi colpevolizza l’arrivismo delle donne coinvolte e chi invece si scandalizza per la “calendarizzazione” dell’attuale Governo.


Lo stacco tra una città e l’altra è sottolineato da una scena intervallo per lo più su un mezzo di trasporto per garantire continuità, accompagnata da libere reinterpretazioni dell’inno italiano, fatte appositamente per il film, da parte di 3 musicisti (Sandro Schneebeli, Rino Scarcelli, Maurizio Forte) che in alcuni casi generano rabbia per un sentimento che sembra scomparso, quello dell’unità nazionale.
 
Non stupisce la divisione netta del Paese, non esistono posizioni intermedie, in 15 anni Berlusconi ha diviso a metà l’Italia: o lo si ama o lo si odia, qualunque sia l’argomento che viene toccato. Si parte inevitabilmente dalle osservazioni dirette di chi ha avuto l’occasione di incontrarlo prima della sua discesa in politica ad Arcore, se ne vantano i meriti dell’uomo imprenditore sempre disponibile con i vicini di casa e pronto ad aiutar di tasca sua chi ha veramente bisogno e che ha un saluto e un sorriso per chiunque… c’è chi ricorda come sin da piccola sia stata costretta dalla maestra in asilo a salutare lo “zio Silvio” e chi sostiene che non esiste conflitto di interessi, “dopotutto le televisioni erano sue sin da prima e sarebbe ingiusto oggi levargliele”, anche perché Mediaset offre programmi più interessanti di quelli della Rai che ospitano quella “faccia di c….” di Santoro, a cui taglierebbero volentieri la lingua per essere così ostile nei confronti di un uomo tutto “casa e lavoro”, incompreso anche dalla moglie incapace di stargli accanto e colpevole di averlo lasciato solo.  Si attraversa l’Italia (Arcore, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Porto Rotondo) e si ha quasi la sensazione che per metà del Paese ogni problema sia stato risolto: niente più spazzatura a Napoli, in Abruzzo ognuno ha la sua casa, la situazione internazionale non sembra essere così problematica o denigratoria, anzi… Berlusconi “ci fa fare bella figura”, è stato capace di andare avanti nonostante i mezzi di informazione della sinistra gli siano ostili per via del loro retaggio culturale e formativo, infonde fiducia (non come Prodi che dormiva in parlamento) in chi lo ascolta ed ha risolto le magagne della burocrazia. È un uomo del popolo, non come l’ex intelligentia che si atteggia a vecchia nobiltà con la puzza sotto il naso. C’è addirittura chi avanza un paragone forzato: Berlusconi è come Michael Jackson, riabilitato dopo la morte dalla ritrattazione delle accuse di pedofilia… nessuno ha obbligato le ragazze ad andar con lui, anzi: sono state anche ben pagate per andare con un uomo interessante nonostante sia basso! Del resto la colpa è da attribuire alla sete di soldi delle ragazzine spesso spinte anche dalle loro madri, si veda ad esempio Noemi… e per di più è il presidente della loro squadra del cuore, il Milan, e ha dato lavoro al proprio figlio.


È l’Italia del settimanale “Chi” che fa capolino dalle mani di un’intervistata. È l’Italia del Tg4, la maggioranza di queste donne è data dal target tipico del notiziario di Emilio Fede, voce di un Paese che gode di ottima salute e in cui certi retaggi culturali sono troppo radicati per essere sovvertiti. La famiglia tradizionalmente arcaica è retta dal pater familias, persona di ferro, a cui si perdonano le scappatelle in nome del suo buon operato, in nome della sua facciata, in nome del suo aspetto bonario da saltimbanco, da giullare di corte.
 


A far da contraltare arriva l’Italia del Tg3, quella profondamente critica che avvalendosi anche di una cultura fondata (e formata) su anni di lotta politica e di conquiste appartenenti alle rivoluzioni del 1968 pone subito l’accento sulla questione etica e morale. Incontriamo subito chi attraverso le parole di Borsellino ricorda i legami tra Berlusconi e il mondo della criminalità organizzata, c’è chi sostiene che il suo circondarsi di guardie del corpo sia dovuto alla paura di una ritorsione per il male che ha fatto.


E inevitabilmente gran parte delle intervistate parla dei legami tra il Presidente del Consiglio e le donne, le veline ministro e le escort. C’è chi racconta di quella volta che incontrandolo in un centro commerciale venne apostrofata con un volgarissimo “Ciao, bella” e chi si indigna di come nessuno sembri ricordare che l’espressione femminista “il corpo è mio e me lo gestisco io non vuol dire sono una putt…”, nonostante l’ipocrisia dell’uso della parola “escort” anziché “prostituta”. Ovvio che l’argomento ricada sulle componenti femminili di Parlamento e Governo la cui unica dote principale è la bellezza o la capacità di attirare pubblico, citando l’onorevole Carlucci o la “calendarista divenuta Ministro delle Pari Opportunità”, prendendo ad esempio la famosa battuta rivolta alla Bindi “più intelligente che bella”. Ci si imbatte anche in chi discute dell’immagine dell’Italia all’estero: Paese deriso e compatito dalla stampa anche a causa delle continue gaffes come la celebre caduta di stile sull’ “Obama abbronzato” e i continui scandali sessuali che sembrano aver fermato il tempo agli Anni Cinquanta quando il maschio medio da bar aveva come obiettivo primario i soldi e le donne.
E la politica interna non è certo confortante: si è arrivati ad una deriva quasi totalitaristica e folle, come nel “Grande dittatore” di Chaplin, aiutata anche dal breve percorso che intercorre tra Palazzo Venezia, sede del Comitato fascista, e Palazzo Grazioli, attuale abitazione romana di Berlusconi. A Napoli poi di fronte alla spazzatura nascosta sotto i tappetini non mancano i riferimenti ai collegamenti camorristici e le donne sembrano ancora più battagliere di quelle di Bologna, rimarcando la politica del “festa, farina, forca”. Non manca, infine, chi gli consiglia di ritornare a fare l’animatore, dopotutto è un buon imbonitore capace di vendere pentole che frequenta solo piazze e congressi circondato da gente accondiscendente, senza mai confrontarsi direttamente con i problemi di operai, senza mai avvicinarsi alle fabbriche ad esempio: del resto è un “quaquaraquà” che adesso si vede ritornare contro un meccanismo che lui stesso ha avviato. Ricordano infatti di come sia stato Berlusconi a mettere in piazza per primo la sua vita privata con foto della sua famiglia perfetta e di conseguenza adesso non si lamenti dell’ “invasione della sfera intima”. Ed è certo che tutti sanno cosa succeda nella villa in Sardegna e a che cosa servano gli ulivi piantati, non certo per meditarci sotto come Grazia Deledda.
 


Raggelanti sono le scene di apertura e chiusura del documentario, legate al ruolo delle Forze dell’Ordine che inevitabilmente finiscono con l’essere uno strumento del potere, fermando i due registi sia nelle vicinanze di Villa San Martino sia nei pressi di Villa Certosa: si seguono degli ordini che arrivano a sfiorare il paradossale, vietando anche di stare sul semplice suolo pubblico.


Il progetto si presta a diverse letture e può intercettare un pubblico variegato. A me però viene voglia di condividere le idee di una bambina e di un’anziana donna intervistata a Bari, le uniche ad apparire equidistanti, neutre, per via del loro essere realiste: la prima non si fida già a partire dall’aspetto fisico, la seconda invece pone l’accento sulla povertà che dilaga mostrando nel suo stretto dialetto le bollette da pagare e avanzando una richiesta semplice: “Se venisse a Bari, lo fermerei io e gli parlerei per chiedergli come dobbiamo vivere”…




Ultima nota: il film si chiude con una serie di messaggi e richieste dirette a Berlusconi. Si chiede un po’ di tutto ma si rabbrividisce di fronte ad una ragazza, presumibilmente tunisina, che chiede al Premier di invitarla a cena a casa sua… è lo specchio dei tempi! Sarebbe interessante vedere come e se è cambiata la situazione sei mesi dopo la realizzazione del documentario e a Rubygate scoppiato e avanzato.

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