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Killers of the Flower Moon

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Killers of the Flower Moon

di mck
9 stelle

“Can you find the wolves in this picture?”

 

 

In tempi nei quali chi non ha alcunché da dire sbraita uggiolando che le narrazioni letterarie, cinematografiche, musicali, pittoriche, fotografiche, scultoree postmoderno-massimaliste sono in crisi quando in realtà lo stato dell’arte è costituito, ad esempio, da scrittori di science-fiction che diventano mainstream, e viceversa, Martin Scorsese, nella forma, tra Robert Altman (“A Prairie Home Companion”) e, casualità dello zeitgeist, Wes Anderson (“Asteroid City”), e, nella sostanza, tra Kevin Costner (“Dances with Wolves”), Steven Spielberg (“Schindler's List”, “Saving Private Ryan”), Clint Eastwood (“Unforgiven”, “Letters from Iwo Jima”, “J. Edgar”), Terrence Malick (“the New World”), Paul Thomas Anderson (“There Will Be Blood”) e Taylor Sheridan (“YellowStone”, “1883”, “1923”), gira – scrivendo il copione con Eric Roth (“the Onion Field”, “Forrest Gump”, “the Postman”, “the Horse Whisperer”, “the Insider”, “Ali”, “Munich”, “the Good Sheperd”, “the Curious Case of Benjamin Button”, “Luck” e il prossimo “Here” sempre di Zemeckis da McGuire) - o con lo stesso PTA? - basandosi sulla quasi omonima non-fiction novel di David Grann (“the Lost City of Z”, “the Old Man & the Gun”) del 2017, “Killers of the Flower Moon: the Osage Murders and the Birth of the FBI” – il suo metamediale “Tristram Shandy”, “Mobi Dick”, “les Rougon-Macquart”, “la Cognizione del Dolore”, “Gravity’s Rainbow”, “Horcynus Orca”, “Suttree”, “the Counterlife”, “Seven Dreams”, “Underworld”, “Infinite Jest”, “Plowing the Dark” e lo stesso “Here”, anticipando contro-storicamente di un quarto di secolo (in quel periodo Edith Wharton, anche lei reduce dalla Prima, Grande, Guerra Mondiale, vista dal fronte francese, scrive e pubblica d’altre tribù, newyorkesi, attraverso “the Age of Innocence”, che Scorsese metterà in scena, a seconda del PdV, più di 70 anni dopo rispetto al romanzo, ambientato mezzo secolo prima del sistematico massacro degli Osage diluito nel tempo camuffandolo da cronaca nera, o giusto 30 anni fa, rispetto all’oggi di “Killers of the Flower Moon”) l’uso anacronistico (mentre “ebreo” è sempre un insulto sulla cresta dell’onda e le amerinde Gray Horse War Mothers sfilano forzatamente col Ku Klux Klan in una non-ancora-selvaggia parata di veterani: ma il sangue del massacro, le macerie della distruzione e le braci degl’incendi di Tulsa del 1921 erano roba fresca) del termine genocidio (coniato da Raphael Lemkin nel 1944 per colmare un vuoto descritto da Winston Churchill nel 1941 quale “un crimine senza nome”) per raccontare di un’ulteriore sopraffazione perpetrata dai vincitori...

 

 

...contro gli sconfitti (il massacro di Wounded Knee, pietra tombale delle American Indian & Frontier Wars, durate 300 anni, fu commesso trent’anni prima, nel 1890, allorché la Nazione Osage iniziò a trasferirsi, a causa della pressione colonizzatrice dei caucasici e degli incessanti scontri a fuoco derivati - iperbolicamente: il futuro non esiste, è solo la Storia che si ripete -, dai territori del MidWest di Missouri, Arkansas e Kansas in quelli del confinante West South Central, in Oklahoma - la canna della pistola che disegnano i confini di quello stato è una striscia neutrale -, a partire dal 1870) che la subiscono come diretta conseguenza dell’aver ricevuto dal Big Country una riparazione palliativa che si rivelerà essere una non preventivata e difficile da gestire in assenza di un distaccamento non corrotto del potere central-federale idrocarburica manna dal sottosuolo che per contropartita attirerà subumani mafiosi.

 

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Il prezzo reale di ogni cosa, ciò che ogni cosa realmente costa all’uomo che vuole procurarsela, è la fatica e l’incomodo di ottenerla.
Adam Smith – “la Ricchezza delle Nazioni” – 1776

Il risultato di tutte le nostre invenzioni e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono investite di vita spirituale e l’esistenza umana viene istupidita e degradata a forza materiale.
Karl Marx - “Discorso per l’Anniversario di «The People’s Paper»” - 1856

Il sogno e l’azione non sono così diversi come molti pensano. Tutte le azioni degli uomini sono sogni all’inizio. E alla fine le loro azioni si dissolvono nei sogni.
Theodor Herzl – “Vecchia Terra Nuova” – 1902

(A proposito di Corsa all’Oro - giallo, nero, bianco, rosso, verde, blu che sia -, le citazioni sopra riportate sono ricavate dall’esergo di “Salt - A World History” di Mark Kurlansky del 2002, edito in Italia da Nutrimenti nel 2023.)

 

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Leonardo DiCaprio (Ernest Burkhart) corre il rischio, camminando sul filo di un crinale purgatoriale che divide il gigioneggiare dal macchiettsmo, di scindersi e rotolare giù da entrambe le parti, ma ne esce vincitore danzando perennemente in bilico, con la grazia naturalmente ricercata di un James Dean (“Giant”) e con quella più selvaggiamente impostata di un Marlon Brando (da “the Chase” a “the Missouri Breaks”). Rober De Niro (William King Hale), che con Marlon Brando non ci ha lavorato, ma lo ha... interpretato, si diverte un mondo a scudisciarlo con una mazza da cricket, ma soprattutto incarna non tanto la banalità del male, quanto soprattutto la sua facilità (ripetendo in tutte le salse al nipote avido e tonto che gli osage sono predestinati a perdere: il Sogno Americano "distorto" e pretestuosamente veicolato dal, per l'appunto, Destino Manifesto a guisa di - sineddoche per atto violento e criminale - polvere da sparo e compagnia).

 

 

Lily Gladstone (“Certain Women”, “Buster’s Mal Heart”, “First Cow”, “the Unknown Country”) del film è l’anima (Mollie Kyle), punto. Poi arriva Jesse Plemons (“the Master”, “Breaking Bad”, “Olive Kitteridge”, “Fargo - 2”, “Black Mirror: USS Callister”, “the IrishMan”, “El Camino”, “I'm Thinking of Ending Things”, “Judas and the Black Messiah”, “the Power of the Dog”, “WindFall”), nel ruolo di Thomas Bruce White Sr. (che già fu, parafrasato, di James Stewart in “the FBI Story” di Melvin LeRoy da Don Whitehead), in missione per conto di una mazzetta, pardon, per conto di un mai inq.to J. Edgar Hoover (allora col BoI e poi con l’FBI dedito a combattere il gangsterismo prima di dedicarsi al controspionaggio durante la WW2 e successivamente al KKK, e non ancora sopraffatto dall’invasione comunista, afroamericana ed omosessuale, povero tapino) su mandato del 30° Presidente degli U.S.A., il repubblicano Calvin Coolidge, inq.to di spalle.

 

(Blooper: fotoritocco: nell'ingrandimento della 2ª foto - l'originale ritrae, da sx a dx, le sorelle Minnie, Anna, Mollie e Reta - la spalla dx di Reta e quella sx di Anna, sedute al fianco di Mollie, vengono espunte dall'immagine: di loro non rimane altro che un'ombra.)

 

Chiudono il cast Tantoo Cardinal (la madre di Mollie, che le preferisce la più esuberante Anna), John Lithgow (sottotono il giusto), Brendan Fraser (sfrenato), Louis Cancelmi (scagnozzo di Hale, con quella faccia lì, appropriata), Scott Shepherd (il fratello più sveglio di Ernest, braccio destro di Hale), Cara Jade Myers, JaNae Collins, Jillian Dion (le tre sorelle di Mollie, tutte vittime di Hale), Jason Isbell (chitarrista roots-southern rock e alternative country, con un’ottima caratterizzazione del personaggio di Bill Smith, marito prima di Minnie e poi di Reta, due delle tre sorelle di Mollie, da ambiguo a limpidissimo, tanto in fase di sceneggiatura quanto d’interpretazione), Sturgill Simpson (anch’egli country-rocker, già colonna portante di “the Dead Don’t Die”, e poi anche in “the Hunt” e “Queen & Slim”, e qui bravissimo nel rendere più che inquietante il suo fuorilegge assassino Henry Grammer), Pete Yorn (alternative indie folk-rocker, qui Acie Kirby, esperto dinamitardo, non altrettanto bravo con le rapine a mano armata), William Belleau (il primo marito di Mollie e poi una delle vittime di Hale), Ty Mitchell (John Ramsey, non proprio il più sveglio del circondario, e tragicamente cattivo controvoglia), Tatanka Means (agente amerindo dell’FBI), Barry Corbin (dopo essere stato il co-protagonista del mitopoietico “Northern Exposure” almeno due, tra le tante, comparse fulminanti: nella 5ª stag. di “Better Call Saul” e al ranch 6666 nella 4ª di “YellowStone”, e qui becchino), e poi Pat Healy, Steve Witting, Steve Routman, Gene Jones, eccetera eccetera… Mentre merita una menzione a parte un indimenticabile cameo del country-bluesman Charlie Musselwhite: “Mio genero dice che dovrei tenere la bocca chiusa, o quella banda ucciderà anche me. Ma il mio tempo sta per scadere, quindi voglio dire chi è stato.”
Ed infine (casting di Ellen Lewis), tra le voci del “podcast” radiofonico ante-litteram, vi sono Jack White, Larry Fessenden e Vince Giordano, oltre allo stesso Scorsese.

 


“Non ricorderanno. Non gl’interessa.” - William Hale a Ernest Burkhart a proposito delle persone e delle ingiustizie.

 

 
Quello che le immagini/frame fotografate da Rodrigo Prieto (dietro alla MdP per Scorsese da “the Wolf of Wall Street”, qui con, cronologicamente, uno zoom in avanti che da dolly sembra quasi trasferirsi in una camera a mano, durante la lettura del fittizio, ma iperrealistico, libro per bambini “Lilly’s Wild Tales Among the Indians”, e due panoramiche a schiaffo di 45° verso sinistra sul perno d’un cavalletto, l’una a precedere la punitiva iniziazione massonica e l’altra ad inseguire i ricordi di Alvin Reynolds, e un’altra, della stessa misura, ma verso destra, e ammortizzata su steadycam, durante una carrellata che percorre prima tangenzialmente e poi ortogonalmente la processione), montate da Thelma Schoonmaker (al taglia e cuci per Scorsese la prima volta con “Who's That Knocking at My Door”, un esordio per entrambi, e poi ininterrottamente alter ego & doppelgänger gemellare del regista in fase editoriale da “Raging Bull” in poi), scenografate da Jack Fisk (D.Lynch, T.Malick, P.T.Anderson) ed innervate senza ostentazione (ma con realistici tocchi gore/pulp/splatter) dagli effetti speciali di Pablo Helman non possono restituire al lettore di una recensione…

- perciò, “off” (?) topic, ecco qua, con the Red Road Ensemble, la…

 

 

…“Ghost Dance” da “Music for The Native Americans” del 1994 -

…è la colonna sonora di Robbie Robertson (1943-2023, di madre Mohawk e di padre ebreo: “You could say I’m an expert when it comes to persecution!”), collaboratore di Scorsese dai tempi di “the Last Waltz” (1978) e qui al suo meglio con una partitura virulentemente viva. Accanto a lui, un altro sodale del regista, il music supervisor Randall Poster, che stila un repertorio folk fiammeggiante attingendo a piene mani dagli antologici lavori di recupero etno-antropologici di Alan Lomax (1915-2002) e Harry Smith (1923-1991). Produzione esecutiva, fra gli altri, di Marianne Bower.

 


Killers of the Flower Moon” (200 minuti che paiono 20, e 200 milioni di dollari che si vedono tutti, specie nelle minuzie) termina con un mandala (the Last Temptation of Christ → Kundun → Silence) umano. Kyrie eleison.

 


“Can you find the wolves in this picture?”

 


* * * * ½ - 9.00      

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