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Yellowstone

5 stagioni - 46 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 4

  • 2021-2022
  • 10 episodi

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mck

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La recensione su Yellowstone

di mck
9 stelle

Orfani e reietti di tutto il mondo. Erba sull’asfalto e rampicanti sui tetti.

 

È incredibile come, giunta alla 4ª stag., “YellowStone” – la serie epitome del “passo lungo” creata nel 2018 da Taylor Sheridan e John Linson e incentrata sull’assedio del fittizio più grande ranch statunitense, quello della schiatta Dutton, stretto tra la parte nord dell’omonimo Parco Nazionale, che prosegue verso sud in Wyoming, e la parte ovest della Crow (Apsáalooke in lingua Sioux) Indian Reservation, che si estende verso est e il South Dakota, e minacciato dalla parte più deleteria, nonché maggioritaria, del progresso/sviluppo, rappresentata dagli speculatori edilizi (cubature abitative cementizie, asfaltate piste aeroportuali e disboscate piste sciistiche) e finanziari – non faccia che crescere, qualitativamente, trovando pure tempo e modo per figliare non uno, ma due spin-off (“Y: 1883” s’appresta ad essere, tout court, già ai primi vagiti del 2022, come uno dei migliori film di quest’anno, mentre “Y: 6666” - che non è un post-western di fantascienza in cui gli orsi hanno soggiogato la specie umana, ma un neo-western basato per l’appunto sul Four Sixes Ranch texano - è in arrivo).

 


“Forse l’ovest è stato conquistato con i cavalli e il bestiame [e le armi, e la ferrovia; NdR], ma lo perderemo per colpa dei morti [defunti, dipartiti, estinti; NdR] e delle tasse. Nessun dubbio su questo.”

Comincia - dopo il prologo di un quarto d’ora che termina, neutralizzando in quattr’e quattr’otto il cliffhanger cui era rimasta appesa l’(in)interrotta tensione narrativa (tutti salvi, tranne i morti), col trotto d’un cavallo scosso dall’eco della marea di proiettili esplosi che si sta affievolendo mentre si procede con le impiccagioni sul campo - con un flash-back [situato un decennio dopo gli eventi che verranno di lì a poco narrati nella 1ªstag. di “Y: 1883”, mentre nell’8° ep. della serie madre il patriarca Dutton (Tim McGraw) tornerà ancora un’altra volta, e per l’occasione assieme alla consorte (Faith Hill), che lo attende a baita, a una stella da sceriffo appuntata sul petto e a una pallottola conficcata nelle ventre] messo a mo’ d’ellittico intermezzo che introduce al sopraggiungere di un jump-cut prolettico che riavvia la narrazione posizionandone la ripresa diversi mesi più avanti, “YellowStone 4”: il passato è analetticamente (il) presente, e il futuro è un flash-forward da realizzare ricordandolo così come lo s’era immaginato oramai generazioni fa: difendere la terra conquistata usurpandola.

 


“Questa terra è tutto ciò che hanno. Chi vive in Montana non è altro che un povero con una visione [orizzonte, paesaggio, prospettiva, veduta; NdR].”

Fra le new entry, una mefistofelica Jacki Weaver, una orange-dressed Piper Perabo e il giovane Finn Little, lo spala-merda (“I'm just the stall cleaner”), personaggio del quale, dopo l’intera stagione, si conosce solo il nome, e la cui tag-line potrebbe essere “Quando ho incontrato mia madre per la prima volta avevo 14 anni e ci stava provando con me.” E se il metaforico cromosoma x adottivo ce l’ha messo Kelly Reilly, buon per lui… (All’y c’ha pensato Cole “Big Guy, Black Hat” Hauser.)

Dal canto suo, lo stesso Taylor Sheridan ritorna, dopo la pausa dal PdV attoriale presasi l’annata scorsa, nei panni di Travis Wheatley, accompagnando Jimmy (Jefferson White), tra una cavalcata e l’altra, al 6666 Ranch, dove il giovane scoprirà che non esistono solo i rodeo, e che l’amore viaggia.

E Kevin Costner, e Kelsey Asbille, e Gil Birmingham fanno - come loro sanno fare, ognuno a suo modo - il resto, con Wes Bentley e Luke Grimes che arrancano un po’ dietro, mentre Will Patton (ottimo) e Josh Holloway, il primo alla fine e il secondo all’inizio, escono di scena.

Per contro, un pensiero anche ai caratteri “secondari” che restano e perdurano, nonostante tutto: ché no, non potevano toglierci né la figlia d’arte Eden Brolin (anche se in compenso ci hanno “dato” - o, meglio, hanno “dato” a Jimmy - la veterinaria da cui tutti vorrebbero farsi curare, Kathryn Kelly), né, soprattutto, la figlia d’arte Jennifer Landon: e a tal proposito, sì, “YellowStone” ribadisce concetti che già in “Little House on the Prairie” – la serie di romanzi (1932-1943) di Laura Ingalls Wilder e la serie televisiva (1974-1983) di Blanche Hanalis con Michael Landon come attore, regista e produttore – venivano esplicitati, ma lo fa da “YellowStone”.

E nemmeno, nonostante le botte ricevute (quelle che uno ha dato all’altro e viceversa, e poi quelle che Rip ha dato al ranchero senior), Forrie J. Smith (Lloyd) e Ryan Bingham (Walker: nomen omen, m’anche singer). A tal proposito, una menzione per le sempre ottime musiche di Brian Tyler e Breton Vivian.

“L’amara verità è che vogliono i terreni, e, se li ottengono, non sembrerà mai più la nostra terra. Questo è il progresso nel linguaggio moderno, perciò, se cercate il progresso, non votate per me: io sono l’opposto del progresso. Sono il muro contro cui il progresso va a sbattere. E non sarò io a spezzarmi.”

Taylor Sheridan (che co-produce assieme a John (figlio) e Art (padre) Linson e allo stesso Kevin Costner), dopo aver interamente scritto e diretto la 1ª stag., occupandosi di sceneggiare, sempre con l’aiuto di diversi autori, e passando la regia ad altri, la 2ª, ed essere tornato a scrivere interamente da solo la 3ª, pur senz’ancor dirigerne alcun ep., per questa 4ª stag. conferma il suo ruolo di sceneggiatore unico, ma ritorna pure dietro alla MdP dirigendo una coppia di ep., lasciandone un altro paio ciascuno a Guy Ferland e alla direttrice della fotografia Christina Alexandra Voros, mentre Stephen Kay si occupa dei due iniziali e dei due finali.

 


“The cancer of entitlement is eating away at everything.” - (The Life and Death of) Judge Mitch Davis.

Poi, e la cosa non credevo fosse possibile, questa 4ªstag. di “YellowStone” non solo ha superato sé stessa per quanto riguarda l’epifanica fibrillazione estatica nei confronti dell’argomento “Cavalli”, ma, forse, ha pure surclassato quel capolavoro di David Milch e Michael Mann ch’è Luck: incutono meraviglia tanto i lunghi momenti delle gare di reining (lavorare/manovrare di redini), la disciplina dell’equitazione americana (qui - ♣$♣ - un po' di orgoglio orobico) più o meno, a torto o a ragione, accostabile/paragonabile al dressage europeo e del resto del mondo, sfocianti nel climax dello sliding-stop, quanto quelli, ed è lo stesso Taylor Sheridan (che nel 2021 è stato inserito nella Texas CowBoy Hall of Fame, trovando posto accanto a, tra i colleghi cinematografari, Tommy Lee Jones, e che qui, a latere, compete anche con Peter Griffin per il titolo di maggior fan al mondo di “Road House”, il film che c’ha i pugni nelle mano, e al quale partecipò anche l’immenso Sam Elliott, protagonista di “Y: 1883”...) in sella, relativi alle esibizioni della NRCHA (National Reined Cow Horse Association), con l’equino, guidato del cavaliere, a fare da “cane pastore” (lo stesso procedimento descritto nel prologo del pilot 4x01 ambientato nel 1893).

Orfani e reietti di tutto il mondo. Erba sull’asfalto e rampicanti sui tetti. 

 

Stag. 1 (9 ep., 2018)

Stag. 2 (10 ep., 2019)

Stag. 3 (10 ep., 2020)

Stag. 4 (10 ep., 2021)

 

Appendice: Western. Oggi.

 

Postilla: 4ª stag. inserita in: //www.filmtv.it/playlist/718930/: "Del-meglio-di-'sto-gran-meglio (2021)" + Girlhood #7: Amyl and the Sniffers.

 

* * * * ¼ - 8½ 

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