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The Carter Effect

Regia di Sean Menard vedi scheda film

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La recensione su The Carter Effect

di DucaMinimo
7 stelle

Probabilmente il più grande schiacciatore della storia della NBA, Vince Carter fu designato, dopo il ritiro di Michael Jordan, come colui che ne avrebbe dovuto custordire l'eredità. Le cose non andarono proprio così: al netto di qualche stagione stellare, Carter cominciò non molto tardi un continuo declino (alimentato da vari infortuni) che lo costrinse a cambiare le proprie caratteristiche di gioco e ad adeguarsi a ruoli marginali (che ricopre tutt'ora); ad accettare l'eredità fu così dapprima un ragazzo cresciuto in Italia che stravinse trascinando i suoi Lakers, per poi passare a sua volta le redini a LeBron James, che le tiene saldamente al giorno d'oggi. Vince Carter ebbe comunque almeno due meriti di fondamentale importanza, entrambi trattati da questo piacevole documentario. Il primo fu quello di partecipare da protagonista ad uno degli eventi più leggendari della NBA: la gara di schiacciate del 2000. Con una prestazione incredibile si aggiudicò la vittoria e influenzò tutti i giovani che guardavano la TV e sognavano di essere come lui (tra questi scopriamo, grazie al documentario, esserci il rapper Drake, le due star NBA Durant e Curry e tanti altri). Il secondo merito fu quello di cambiare profondamente la città dove cominciò a giocare e che lo vide affermarsi; la città in questione è Toronto, dove a fine anni '90 non c'era praticamente nulla per divertirsi e dove lo sport più praticato era l'hockey (che non lasciava al basket neanche le briciole). Grazie a Carter ci fu un importante cambiamento culturale: Toronto divenne simbolo di divertimento e vita notturna, mentre il basket cominciò a farsi largo a spallate nel panorama nazionale; i tifosi non si sentivano più gli zimbelli della lega, ora Carter era uno di loro, avevano una squadra che vinceva e divertiva. Questa emancipazione legata al basket si estese a tutta la nazione: fu questo l'humus da cui presero vita rappers (che ormai non si sentivano più inferiori a priori nei confronti dei colleghi statunitensi) e nuove generazioni di giocatori (Tristan Thompson, Kelly Olynik, Cory Joseph, Andrew Wiggins...). Il documentario non è esente da difetti: anzitutto sarebbe stato interessante parlare non solo degli anni d'oro ma anche negli anni d'ombra di un atleta, capire cosa cambia a livello mentale, come muta il suo ruolo nella società, com'è passare da stare al centro delle telecamere ad essere inquadrato solo di contorno, ma mi rendo conto che tutto ciò mal si lega alla spettacolarità propria del personaggio in questione (che infatti è cavalcata) e agli intenti di questo documentario. Altra critica (sempre che la prima possa essere considerata tale) riguarda l'eccesso di partecipazione del già citato Drake, presente ogni due minuti, tanto che spesso si dimentica chi sia il protagonista. Nel complesso comunque mi è piaciuto, non so sinceramente quanto qualcuno che non conosca l'NBA possa trovarlo interessante.

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