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I briganti italiani

Regia di Mario Camerini vedi scheda film

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La recensione su I briganti italiani

di lamettrie
7 stelle

Un buon film sul brigantaggio. Semplice, ma fedele alla verità, e con un buon impianto spettacolare complessivo. Amori, ingiustizie, libertà, vendette…e  soprattutto un grande Gassman in un classico dell’italiano: pavido, falso, traditore, sempre pronto a saltare sul carro del vincitore, a fiutare il vento dove tira per andare dalla parte dei potenti, salvo tradirli ad andare dietro ai nuovi potenti, che magari prima erano i nemici. Alla verbosa  e maschia spavalderia e dignità, solo d’apparenza, di fascista memoria, fa da contraltare un grottesco e meschino opportunismo.

Sotto il profilo storico la narrazione non fa una piega, nella sua essenzialità. Il centro sono i poveri, oppressi dai violenti nobili padroni di prima (borboni) e da quelli di quel momento (piemontesi). Entrambi ingannano le moltitudini, per sfruttarle meglio: i borboni li lusingano per riprendere il potere con il loro aiuto, dopo averli angariati per secoli con infamia (e il protagonista, un valido Borgnine, si dimostra sorpreso assai da questa novità); d’altra parte i piemontesi si fingono continuatori dell’opera liberatrice di Garibaldi, dietro la maschera di chi in realtà si dimostra più che altro un invasore, e niente più (e lo stesso Garibaldi, con i suoi errori politici, aveva favorito questa ambiguità, che si è rivelata così disastrosa per il sud e per l’Italia tutta).

Si respira un clima “da 8 settembre”, dove non si sa da che parte stare: i coerenti finiscono uccisi e/o traditi, gli altri si barcamenano in quel servilismo “ a targhe alterne”, che conduce infallibilmente ad adulare il nuovo padrone, straniero o no. Splendide sono le figure da banderuola di Gassman, come anche del barone. Italiani servi sempre, come i vasi di coccio in mezzo ai vasi di ferro, ma anche costretti a subire e a non potere determinare il proprio destino in modo indipendente.

Se il brigante muore isolato, resta indimenticabile la scena dell’umiliazione inferta al barone stesso, costretto (per espiare una delle sue precedenti vessazioni) a portare inutilmente un sacco pesantissimo sulle spalle in mezzo agli scherni di quel popolo che bivaccava allegramente in casa sua, credendo di aver vinto la rivoluzione sociale, che doveva correttamente portare giustizia e terra a chi quelle terre le lavorava. Una tragica illusione, però: i pochi privilegiati riprenderanno il controllo, e il secolare corso del’ingiustizia potrà proseguire con sicurezza, superato anche questo temporaneo, per quanto pesantissimo, scossone. «Chi comanda non sta mai dalla parte dei disgraziati», ha imparato il rivoluzionario.

Non è comunque certo al livello delle due migliori, nonché splendide, opere dedicate al brigantaggio, ovvero “Il Brigante di Tacca del lupo” di Germi e dell’assai sorprendente “Li chiamavano…briganti” di Squitieri. Non c’è in dvd, è un’opera che si è cercato di far dimenticare, come molte di quelle che dicono la verità sul Risorgimento. Ben recitato. I tempi sono giusti. Belle le scene di battaglia a cavallo, anche se un po’ troppo “western”; fini anche quelle sentimentali, specie nel mostrare che i popolani hanno una loro profonda sensibilità e non sono bestie come li si è dipinti spesso in passato.

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