HBO ci tiene a rimarcare che The Pitt non è, in nessun modo, un sequel di E.R. (c’è una causa in corso, intentata dalla moglie di Michael Crichton), ma, nello stesso tempo, che di E.R. è la diretta erede. Una discendenza che parte da cast & credit: il creatore è R. Scott Gemmill, uno dei più celebrati sceneggiatori di quel seminale medical drama; a produrre c’è un peso massimo della network tv anni 90 e Duemila, John Wells (oltre a E.R., in curriculum anche The West Wing); e, come star principale (in un ampio cast di ottimi quasi sconosciuti, per quanto fitto di figlie d’arte), co-produttore e spesso anche co-sceneggiatore c’è Noah Wyle: nel pilot di E.R. era il novellino e impacciatissimo dottor Carter, nel primo episodio di The Pitt è il veterano dottor Michael “Robby” Robinavitch, supervisore di un pronto soccorso di Pittsburgh, che accoglie, a sua volta, un gruppetto di tirocinanti alle prime armi.

Ma c’è un altro innovativo show della golden age anni Zero nella genealogia di The Pitt, ed è 24: come quello raccontava, in altrettante puntate, le 24 ore consecutive di una tremenda giornata dell’agente antiterrorismo Jack Bauer, questo srotola, in 15 episodi, le 15 ore di un massacrante turno nell’emergency room di un ospedale sovraffollato di pazienti e sfornito di infermieri, letti e medici. E se 24, per tenere alto il ritmo narrativo, s’infilava in una spirale sempre più inverosimile di colpi di scena, a The Pitt basta - più o meno - chiedere alla nostra sospensione dell’incredulità di credere che questa specifica giornata al Pittsburgh Trauma Medical Center sia una di quelle particolarmente intense, in cui al flusso costante di casi medici, più o meno gravi (con un’escalation benissimo apparecchiata nella seconda metà di stagione), si assommano coincidenze professionali ed emotive potenzialmente deflagranti.

Premiata con l’Emmy per la miglior serie drammatica, The Pitt pare quasi un’aliena nel panorama seriale d’oggi, quando in realtà rivivifica tutti i punti di forza della miglior network tv che fu - la dimensione procedurale, il cast corale, il ritmo incalzante, l’accessibilità trasversale - facendo tesoro delle libertà concesse dal via cavo/streaming - la durata malleabile, l’assenza di censura, un’attenzione “cinematografica” per la messa in scena (sono meno appariscenti dei pianisequenza di The Studio, The Bear e Adolescence, ma i long take di The Pitt si inseriscono a pieno in una tendenza che, a livello di piccolo schermo, ha le sue radici proprio in E.R. e nei walk & talk di The West Wing).

Con un’attenzione per la verosimiglianza medica e le procedure ospedaliere che è stata notata e lodata dagli addetti ai lavori, The Pitt ci scaraventa nel mezzo di un’azione concitata e volutamente frastornante, per poi costruire il suo mondo e tratteggiare i suoi personaggi a partire da dettagli, azioni e interazioni, e nel frattempo individua nel pronto soccorso un crocevia ribollente di questioni contemporanee, un illuminante microcosmo allegorico del nostro presente; mentre scala il volume della catastrofe in cui siamo immersi, ci indica anche a chi possiamo guardare nel cuore del disastro: ai soccorritori, a chi, pur dentro la fatica quotidiana di dubbi e macerie, offre aiuto con compassione, competenza, cura.
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