Chiedo per conto un amico che vorrebbe sentirsi meno solo – il documentarista Adam Curtis – e pongo la questione senza inutili formalismi: passate anche voi le notti insonni a chiedervi cosa cacchio stiamo combinando? Non singolarmente, quello è tutto un altro capitolo che avrebbe bisogno di sostanze alcoliche o quantomeno di una bevanda calda e avvolgente. Adam Curtis intende a livello collettivo, di società: cosa cacchio stiamo combinando? Va tutto bene? È veramente necessario continuare a mordersi la coda e a girare su noi stessi come il più adorabile canetto stupido del mondo?

L’ultima domanda è mia, e l’unico canetto presente in Shifty funziona da parentesi piuttosto esilarante. Shifty, invece, è l’ultima docuserie in forma di saggio visuale realizzata per BBC da Adam Curtis, tizio interessante che negli anni ‘70, con in saccoccia un dottorato in scienze politiche, era ben lanciato nel mondo dell’accademia. Dopo aver notato che l’ambiente non era così romantico come sperava, però, decide che è più sensato il posto fisso nel pubblico ed entra nei ranghi della BBC come regista di qualsiasi cosa gli capitasse per le mani – compresi programmi come That’s Life!, settimanale di satira votato alla tutela del consumatore, in pratica Striscia la notizia ma fatto da persone serie. Nel giro di pochi anni, Curtis si trasforma in un documentarista vincitore di 5 premi BAFTA, rigoroso e schierato su posizioni socialiste nella sua analisi del presente tramite le lenti accademiche della sociologia, della psicologia, della filosofia e della storia politica.

Shifty è un documentario narrativo (e non compilativo), costruito dal montaggio di filmati d’archivio contrappuntati da brevi didascalie. L’idea di Curtis è quella di raccontare come decenni di trasformazioni politiche, culturali e tecnologiche abbiano eroso il senso di scopo collettivo che un tempo univa le persone, sostituendolo con un mondo atomizzato in cui il personal branding spesso prevale sul bene pubblico. È la morte in diretta del potere del popolo, perché un popolo non esiste più. Esiste una vita parcellizzata (e vissuta online) che ha dimenticato il senso di comunità. E se la tua tesi è che la traiettoria della democrazia britannica negli ultimi decenni è in una fase di inesorabile declino, effettivamente la scelta migliore (e più inquietante) per inaugurare la tua dissertazione è un filmato di Margaret Thatcher che accoglie nel suo ufficio una mezza dozzina di ragazzine accompagnate da Jimmy Savile, famigerato quanto impunito pedofilo. Difficile scovare un’immagine più simbolica e ominosa di così.

L’episodio pilota di Shifty racconta la fine di un’era a partire dal 1979. Ricordavate che la Thatcher stava per perdere le sue prime elezioni, nel 1979? Poi ha avuto la brillante idea di andare a Birmingham, grande città simbolo della mala gestione nel processo di deindustrializzazione e dei disagi operai dell’epoca, a fare un discorso in cui dava tutta la colpa agli immigrati, fomentando i disperati, riempiendone lo stomaco di rabbia e vincendo il voto popolare. Suona tanto diverso da quello che succede anche oggi? O che è successo un centinaio di anni fa in Italia e in Germania? A queste immagini, Curtis fa seguire un servizio subdolamente omofobo della tv pubblica – che va a esplorare la scena gay di Edimburgo di fine anni ‘70 come se si trattasse di una missione antropologica su un pianeta alieno e inferiore – che poi stacca sulle immagini dei minatori del Galles che si fanno la doccia insieme e si strigliano la schiena a vicenda. È un’atmosfera peculiare, quella di Shifty, che racconta una china inesorabile verso l’inferno, ma lo fa senza perdere il senso dell’umorismo.

Racconta un mondo vecchio di quasi cinquant’anni che è lo specchio e il seme di ciò che viviamo oggi come oggi. Mostra il ritorno dell’irrazionalità che, dalla fisica quantistica fino all’economia, sfida la logica e la scienza ponendosi un passo più avanti rispetto a loro. Apre una finestra sulle feste in casa dei metallari, sui ritrovi dei rasta giamaicani nelle cantine degli immigrati londinesi, sui resti di un pilota della Seconda guerra mondiale ritrovati nelle campagne del Kent che dovrebbero alimentare l’imperituro mito della Britannia e invece lo smontano, sullo scrittore anglo-irlandese J G Farrell che raccontava la morte dell’impero britannico ed è annegato fra i resti di un relitto francese che nel 1889 tentava di sbarcare in Irlanda per aiutare la rivoluzione locale contro gli inglesi, sulla manipolazione dell’economia nazionale con i proletari come carne da macello da buttare di fronte ai cannoni del monetarismo, su un elefante in carne e ossa in visita natalizia in un reparto psichiatrico e su un cane transessuale di nome Bruno la cui transizione naturale perplime assai la padrona. Nel nostro passato più recente c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno per leggere il presente. Ed è una lettura fondamentale e deprimente, il cui unico sollievo è un’ironia amara e sconsolata.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta