A volte – e sono fra quelle migliori in assoluto – ti si presenta davanti una serie che, sulla carta, dovrebbe fare il suo sporco mestiere e togliersi di mezzo senza lasciare eccessiva traccia; ma che invece, alla resa dei conti, è proprio meglio di quanto non dovrebbe essere. Una serie simil procedurale come Death Valley, per esempio, da contratto è l’ennesima commedia gialla con un superbo investigatore amatoriale che utilizza le proprie sconfinate doti deduttive per aiutare la polizia della provincia più profonda a risolvere casi complessi e intricati. Una roba che, molto probabilmente, è il cliché più sfruttato dalla tv programmata per intrattenere e rassicurare gli anziani, specialmente nel Regno Unito ma non solo. Death Valley promette apertamente di essere un’altra Signora in giallo, o un altro ispettore Barnaby, o altri Giardini e misteri.

Tutte serie di culto e di successo, ma tendenzialmente non titoli da segnalare qualora rimanessero inediti – ragionando per assurdo, anche se non esistessero comunque Don Matteo sarebbe in grado di colmare l’eventuale vuoto. Death Valley vuole espressamente essere quel tipo di televisione lì, eppure lo fa talmente bene, e in maniera talmente curata e adorabile, da essere più irresistibile e significativa rispetto alle sue colleghe. Merito innanzitutto di un cast che funziona a meraviglia, con la giovane gallese Gwyneth Keyworth – nella quarta stagione di Black Mirror, nell’episodio sulle dating app Hang the DJ, era l’insopportabile morosa temporanea del protagonista – che duetta in punta di fioretto comico con il grande vecchio Timothy Spall, che da Čechov a Harry Potter, passando per Mike Leigh, si è sempre dimostrato in grado di eccellere.

Qui interpreta il detective amatoriale della situazione, John Chapel. Un attore in pensione, con un talento per l’investigazione pari a quello proverbiale del personaggio televisivo che l’ha reso celebre: il detective Caesar, protagonista dell’eponimo procedurale poliziesco d’antan e mente deduttiva sopraffina, che quando deve mettersi a investigare si calca il cappello in testa e profferisce il suo stucchevole, adorabile mantra-tormentone “Non sono aduso a permettere agli omicidi di farla franca! Forza, non cincischiamo, il crimine non aspetta nessuno”. Chapel, grazie alle sue affilate doti da osservatore degne di un grande attore nonché icona tv, è in grado di notare i dettagli più insignificanti e di cogliere le incongruenze più sottili nel comportamento umano. Allo stesso tempo, però, è anche un burbero, pomposo, arrogante, egocentrico, scontroso eremita, anche se quest’ultima è solo una facciata. In realtà è solo in attesa dello stimolo giusto per riattivarsi e tornare ad avere un’attività che riesca a nutrire il suo affamato ego da attore leggendario (e un po’ mitomane).

Lo stimolo giusto potrebbe essere la morte violenta di un suo vicino di casa nell’affluente quartiere gallese in cui si è ritirato dopo la pensione, rispettando il tradizionale anatema dei vecchini che fanno gli investigatori in tv e intorno a loro l’incidenza dei crimini da ergastolo aumenta del 900%. A investigare sul caso c’è l’arrembante sergente Janie Mallowan (“32 anni, scorpione”) una ragazza goffa e invadente che abita con la madre ed è esageratamente ossessionata da Caesar; ma che è anche una detective volenterosa, pragmatica, coraggiosa e ambiziosa. I due, arrancando, collaborano alle indagini nonostante sia vero il detto che, nel dubbio, è meglio non incontrare mai i propri idoli per non rischiare di macchiare le utopiche aspettative che nutriamo nei loro confronti. Chapel, al contrario di Caesar, è una primadonna testardamente convinta che il suo acume superiore basti a risolvere i casi più impossibili. Janie, punta nell’orgoglio di detective certificata e professionista, lavora invece seguendo il protocollo, cercando prove fisiche e inconfutabili, non fantasticando in un gioco di ruolo dal vero.

Le due metodologie opposte si incastrano in maniera esilarante grazie a una bizzarra coppia di protagonisti, che presi singolarmente sono due liste viventi di difetti spiacevoli – lui è un anziano fastidioso e lei una trentenne “scintillantemente irritante” – ma che messi uno a fianco all’altra diventano una coppia irresistibile. Come direbbe Chapel, insultando velatamente Janie facendole al contempo un complimento che sbiadisce in confronto a quello che dedica a se stesso: io sono ispirazione e tu sei perspirazione.
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