Sentirsi dire di essere sbagliati può essere liberatorio, dice il protagonista di What It Feels Like For a Girl, che sarebbe l’adattamento dell’omonimo romanzo di formazione autobiografico scritto da Paris Lees e da lei stessa trasposto in serie tv per gli amici di BBC Three. Solo che Byron dice così perché ha 15 anni ed è troppo brillante e deciso per farsi rallentare da due genitori divorziati, ignoranti e menefreghisti, e siccome non è il caso di farsi traumatizzare (apertamente) da adulti disastrosi, meglio prendere il toro per le corna. Se sono davvero così storto come mi additate – dice Byron, partendo dal presupposto che non vuole fingere di essere chi non è – per quale motivo, allora, dovrei impegnarmi a fare qualcosa di dritto? Posso essere chi voglio e fare ciò che voglio, con volontà e senza aspettative. Posso pensare di affrontare l’immenso vuoto lasciato da due genitori egoisti e inadeguati rifiutando di farmi vittimizzare, riempiendolo di eccessi ed errori che fanno male, ma che affermano la mia identità in formazione. Un messaggio potente.

Ma ripartiamo da capo. Siamo all’inizio degli anni 2000. Durante quel breve momento che intercorre tra il sospiro di sollievo post Millenium Bug e l’attentato alle Torri gemelle. Quel periodo fugace in cui il meglio del progresso novecentesco sembrava alla portata di chiunque: gli aerei costano poco, le gonne di donne e uomini si accorciano sempre di più, la festa sembra non finire mai, i soldi abbondano anche nelle tasche degli stolti, gli USA hanno ufficialmente vinto in tutto il mondo, anche nelle campagne più ritardatarie del Regno Unito. Sono gli anni di Britney Spears, delle boyband e delle discoteche giganti che vanno in ecstasy ogni fine settimana, puntuali come Pac Man che entra nel labirinto.

Puoi fare tutto quello che ti pare in questa piccola addenda degli anni 90. Sempre con la fondamentale postilla che è meglio essere maschio bianco etero cisgender e preferibilmente anglofono. Il quindicenne Byron, per esempio, ha tutte le caratteristiche di cui sopra tranne due, ed è un grosso sfavore. Perché comunque, nel 2000, era ancora divertente dire in tv cose come “Non vi preoccupate, non state vedendo sui vostri schermi dei mostri cannibali. Sono solo uomini che si sono truccati!”, e la profonda provincia della contea del Nottinghamshire non era certo Londra in quanto ad apertura mentale.

Impotente di fronte ai bulli e a una famiglia assente e non particolarmente ricettiva nei suoi confronti, per usare un simpatico eufemismo, Byron scopre per la prima volta di avere potere su qualcuno quando inciampa sul sesso e fa conoscenza con la perversione di certi uomini adulti, disposti a pagare una manciata di sterline per farsi masturbare di nascosto da un minorenne in divisa da liceale. Finché si tratta di tenere a bada qualche bavoso represso di mezza età, tutto bene. Quando Byron, però, comincia ad avere a che fare con un gruppo di reclutatori – che lo presentano a Max, il suo primo magnaccia – la situazione scappa di mano fin troppo in fretta. Anche se le proporzioni della spirale distruttiva sono completamente offuscate dall’amore appassionato che nasce tra Byron e Max.

Quello che per lo spettatore medio puzza di squallore e di degrado, per il giovane protagonista (interpretato dal pazzeschissimo Ellis Howard) è l’unica possibilità percepita – vista l’estraneità dell’ambiente che lo circonda – di reggere le briglie della propria vita e, per una volta, sentirsi in controllo della situazione. Per ribadire ancora meglio il concetto, Paris Lees non teme di mostrare il momento in cui Byron (ovvero se stessa) perde la verginità, anche perché è uno dei pochi atti di amore puro che l’adolescente si concede all’inizio delle sue sperimentazioni mal guidate e sempre più eccessive.

Tante storie si concentrano – più che giustamente – su chi è stato vittimizzato e quasi annichilito dalla dismorfia, dalla negligenza, dall’omofobia e dalla transfobia. La storia di What It Feels Like For a Girl e di Paris Lees ha il privilegio di poter raccontare la parabola di una persona che è riuscita nell’arduo compito di non rinunciare mai a se stessa, e nel farlo non ha paura di mostrarcela fallace, arrogante e anche capace di cattiveria durante il suo accidentale percorso verso la totale accettazione. Non un’eroina consapevole del movimento transgender, bensì un essere umano su un’isola in cerca di se stessə e dispostə a rompere TUTTE le uova per preparare la migliore frittata possibile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta